Carvalho nelle fogne di Stato

Dopo gli spari, la coppia indietreggiò senza voltare le spalle ai presenti e intanto puntavano le loro pistole verso i quattro punti cardinali della Caffetteria Snack Guijuelo. I clienti abituali non seguirono alcuno dei modelli di condotta proposti dal cinema e dalla televisione, ossia né si gettarono per terra, né si lanciarono sugli aggressori, nessuna moglie abbracciò il marito mentre gridava isterica.

Dopo gli spari, la coppia indietreggiò senza voltare le spalle ai presenti e intanto puntavano le loro pistole verso i quattro punti cardinali della Caffetteria Snack Guijuelo. I clienti abituali non seguirono alcuno dei modelli di condotta proposti dal cinema e dalla televisione, ossia né si gettarono per terra, né si lanciarono sugli aggressori, nessuna moglie abbracciò il marito mentre gridava isterica.

Carvalho non solo verificò la superficialità dell’influenza del cinema e della televisione sul comportamento umano in situazioni eccezionali, ma anche che l’istinto di sopravvivenza aveva suscitato una schizofrenia generale e tutti sembravano essere lì senza esserci, come se nulla dell’accaduto fosse mai accaduto. Soltanto quando gli assassini uscirono con passo sicuro e Carvalho stava per chinarsi nel tentativo di verificare la vita o la morte di Guijuelo, qualcuno domandò timidamente al detective: «È stato con una 9 millimetri Parabellum, vero?». «Lei insinua che sono stati i baschi dell’Eta?».
L’audace Sherlock Holmes impallidì e si ritirò quasi gattonando mentre proclamava: «Io non ho detto be’. Non voglio casini». Guijuelo era ancora un po’ vivo. Aveva aperto gli occhi e un po’ alla volta riconobbe Carvalho. «Sono stati loro…! “I maiali iberici”!». «I patas negras? ». Guijuelo fece no con la testa, ma Carvalho lo perse di vista perché gli avevano piegato le braccia e ora, costretto a rimettersi in piedi, aveva davanti agli occhi una strana tessera che voleva sembrare autentica e legale a tal punto che accettarlo diventava una questione di fede, e in più si sentì attanagliare da muscoli ben più vigorosi dei suoi.
«Tranquillo, annusapatte, tranquillo…» gli sussurrò una voce da tenore drammatico all’orecchio, e quasi non fece in tempo a vedere la strada perché, tra la porta del locale e l’auto che l’aspettava, un fazzoletto gli venne appiccicato al naso e a Carvalho tornò il ricordo della sua infanzia, più concretamente l’anestesia a base di cloroformio, l’operazione di appendicite e sua madre che gli diceva: «Quando ti svegli, avrò pronto per te un panino al fuet». Il fuet,
quell’ottimo e sottile salame catalano della sua infanzia del dopoguerra, fatto con carne d’asino, dicevano i disamorati del regime franchista.
Quando si svegliò stava seduto su una sedia metallica, sua madre non c’era, e nemmeno il panino, ma invece un omaccione calvo, più stagionato degli altri tre omaccioni che lo circondavano.
«Benvenuto nelle fogne».
Dieci anni prima avrebbe risposto qualcosa di spiritoso, ma l’odore di cloroformio gli sapeva di morto e quei tizi lo spaventavano. L’omaccione calvo aveva cultura, una buona parlantina e forse buone maniere.
«Le fogne del governo, dello Stato, del sistema… non è così che gli intellettuali critici definiscono questi luoghi?».
«Tanto peggio per loro».
«Non finga, Carvalho. Qui si sa tutto. Lei è un anarco-marxista che odia i fondi riservati. Non sa di che si tratta. Ha sbagliato millennio».
Lo misero in piedi sollevandolo da dietro e si sentì soavemente spinto a seguire il capo, mentre alle sue spalle si piazzavano gli altri figuranti. Il capo camminava con autorità e gli parlava senza guardarlo in faccia. Percorrevano un ampio corridoio sotterraneo scandito da piccoli uffici cinti da vetrate e chiusi, nei quali si muovevano burocrati convenzionali sotto luci lattiginose, attenti a scoprire se Valdano avrebbe ottenuto un Real Madrid competitivo con il Barcellona, la squadra della borghesia catalana, e di tanto in tanto ai rumori e oggetti che ricevevano attraverso certe tubazioni provenienti dal piano superiore.
«Le tubazioni delle fogne. Ogni ufficio riceve informazioni confidenziali dai centri di potere di questo Paese… Siamo appena passati davanti a uno di quelli dediti al Ministero dell’Interno… ».
«Il signor ministro lo sa?».
«Dopo la faccenda di Roldán preferiscono non saperlo».
«E prima?».
«Lo sapevano, ma non ne sapevano niente. Barrionuevo, Corcuera… una delizia di ministri… “Voi non vi dovete sentire coartati. Anche se siamo socialisti crediamo che qualsiasi metodo sia buono per difendere la democrazia e…”, insomma. Corcuera era un tipo proprio a posto. Quando qualcuno parlava di qualcosa legato ai fondi riservati, si portava i ditini alle orecchie e scoppiava a ridere. “Io non ne voglio sapere, eh?… Io non ne voglio sapere…”. E lui continuava a mettere la mano sul fuoco per tutti i suoi subordinati. È così che si ritrova, monco di entrambe le mani.Qui vige un’altra logica. Lei si trova nel pianeta dei fondi riservati».
Sfociarono in un ufficio per niente cinto da vetrate — al contrario, sembrava un bunker sigillato — , la grossa porta fu chiusa alle sue spalle e il capo lo guardò in faccia per dirgli: «Lei è sicuro che Roldán sia mai esistito?».
«Se mi comincia a parlare con un tono confidenziale, non le pare una cafonata tenere questi quattro gorilla alle mie spalle?».
«Quali gorilla?».
Carvalho si voltò. I gorilla erano scomparsi. Il capo, invece, sorrideva e gli porgeva la mano.
«Il tenente colonnello… be’, diciamo pure… Cigales…».
Quel tizio o era un buon bevitore di rosato o era di Valladolid e, di sicuro, era un uomo di buone maniere. *** Cigales era un’architettura cubica abbronzata, coronata da quella testa rapata a zero, con occhi neri e piccoli da inquisitore innamorato
del suo mestiere. Era un design perfetto di capo dei servizi segreti della transizione tra la modernità e la piena postmodernità. Aveva perso i tratti dell’insensibilità rigida, cinica e fredda dei suoi colleghi durante la Guerra fredda e per il momento poteva mascherarsi come più gli piaceva, scegliendo qualsiasi tradizione delle fogne del passato, prima di venir sostituito dai capi robotici.
«I suoi clienti sono roba da ridere. Tre riccastri di Saragozza incaricano un detective privato in decadenza di rintracciare un uomo che è il segreto più importante di questo Stato… Immagina lei che Roldán spifferi tutto quello che sa, per esempio del Gal? I suoi clienti sono roba da ridere e anche la sua indagine».
«Non ho altri clienti. E neppure un’altra indagine. Lei ha tutte le tubazioni e tutti i poteri della Spagna. La mia deontologia professionale mi obbliga a trovare Roldán. Come anche la vostra».
«Sì. Bisogna trovare Roldán. Né vivo né morto… ».
Cigales stava ridendo. Roldán, né vivo né morto.
«Questo l’ho già sentito da qualche altra parte. E sulle labbra di uno di quei clienti che secondo lei sono roba da ridere».
«Le pare una contraddizione?».
«Diciamo un paradosso».
«È la consegna sotterranea del nostro ex direttore generale: “Roldán, né vivo né morto”. C’è una serie di situazioni precedenti che devono essere risolte, per esempio archiviare definitivamente la faccenda del Gal, quello che voi chiamate terrorismo di Stato».
«I due sbirri condannati passano al terzo grado».
«Quello del terzo grado è un eufemismo. Gli unici membri del Gal identificati sono già stati neutralizzati, condannati e purificati dalla prigione. Sono nel limbo e Roldán deve finire nel limbo. Il Gal non esiste più. Roldán… Carvalho… non esiste. È un’idiozia che lei cerchi di trovarlo. Non esiste in quanto pericolo, né in quanto vittima, né in quanto boia… È stato l’eccezione che conferma la regola delle fogne: il silenzio. Noi vigiliamo e taciamo. L’ubbidienza cieca è passata alla storia, adesso tutto il nostro impegno è “la vigilanza cieca”».
«Per cosa?».
«Per se stessa. Bisogna tenere tutto sotto controllo».
«Per chi?».
«Non si sa mai. Ma l’informazione riservata sarà sempre necessaria e i fondi riservati pure».
«Riservata, a chi? Contro chi?».
«I nemici non verranno mai a mancare».
Cigales, sorridente e muto. L’udienza era finita. La porta si aprì con una soavità impropria per le sue dimensioni e due hostess leggere come piccoli boccali di birra senza alcol lo invitarono a seguirle con un sorriso un po’ pallido per via delle tante fogne, ma pur sempre un sorriso. «Ricordi il motto della fogna castrense, Carvalho… Agli amici si dà il culo, i nemici li si incula… ».
Le ragazze rimasero imperturbabili udendo una simile volgarità e non vi furono che sorrisi e attenzioni per il pavimento appena incerato, finché Carvalho superò una porta che lo lasciò nella stazione della metropolitana di Callao. Una volta orientato, fallì nel tentativo di rintracciare nella parete il rettangolo della porta da cui era uscito davanti all’attenzione divertita dei viaggiatori sulla banchina e alla presenza coercitiva di un uomo della sicurezza.
«Ha perso qualcosa?».
«Roldán».
(Traduzione di Hado Lyria) © 1994 Heirs of Manuel Vázquez Montalbán © 2013 Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
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IL LIBRO
Il brano qui presentato in esclusiva per l’Italia è un estratto da Luis Roldán né vivo né morto di Manuel Vázquez Montalbán (Feltrinelli, 128 pagine, 10 euro. Traduzione di Hado Lyria). Uscito in Spagna nel ’94, è l’ultimo giallo della popolare serie di Pepe Carvalho che da noi ancora non era stato pubblicato

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