L’epistolario di una generazione politica

Pubblicate da Rubbettino le lettere di Emilio Sereni, dirigente del Pci e uno dei massimi storici delle campagne
Pubblicate da Rubbettino le lettere di Emilio Sereni, dirigente del Pci e uno dei massimi storici delle campagne

Dal dialogo costante con intellettuali, militanti noti e sconosciuti emerge un affresco della storia italiana del dopoguerra Icinquant’anni dalla pubblicazione della Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni hanno ispirato molte iniziative: Laterza ha ristampato il testo, giunto alla diciassettesima edizione rispetto alla prima del 1961; l’Istituto «Cervi», che custodisce la biblioteca e una parte dell’archivio di Sereni, ha organizzato una serie di eventi (www.fratellicervi.it/content/ view/400), fra i quali un convegno internazionale e una mostra itinerante ( Paesaggi agrari: l’irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni , a cura di M. Quaini, catalogo edito da Silvana); il Museo della Civiltà Contadina di Bentivoglio, nel bolognese, ha ripubblicato alcuni contributi sereniani Per la storia del paesaggio agrario e del pensiero agronomico dell’Emilia- Romagna, con interventi di R. Finzi e F. Cazzola.

Di grande interesse è anche l’edizione, curata da Emanuele Bernardi per Rubbettino, di una scelta delle Lettere scritte da Sereni fra 1945 e 1956 e conservate presso l’Istituto Gramsci romano. La citazione brechtiana che apre la Prefazione di Luisa Mangoni, tolta da A coloro che verranno del 1939, offre a quelli che, come gran parte di noi, sono «scampati» ai «tempi bui» toccati in sorte a Sereni e compagni, la giusta prospettiva per ripensare le eventuali «debolezze» di quella generazione di militanti. In effetti Sereni fu «travolto» dai «gorghi» degli anni Trenta e Quaranta: imprigionato nelle carceri fasciste e in quelle staliniane, esule a Parigi e sottoposto ad accuse e processi interni nel travaglio del Pcdi, condannato a morte a Mosca e poi ancora dai fascisti, che dopo lunghe torture lo passarono alla custodia delle SS. Riuscì tuttavia, per restare ancora ai termini di Brecht, a «emergerne» e senza perdere la fiducia nel comunismo: dirigente della Resistenza, membro della Costituente, ministro nei governi unitari postbellici, parlamentare ed esponente di primo piano della politica e della cultura del Pci.

A fine volume, ne ricostruisce efficacemente il percorso un ampio saggio di Giorgio Vecchio, oltre cento pagine di preziose Note per una biografia , qui anticipate in vista di una più ampia pubblicazione autonoma, che si annuncia di grande rilievo, poiché manca una solida biografia di Sereni. Le 261 lettere pubblicate, in ordine cronologico, testimoniano della sua frenetica e multiforme attività: sono in gran parte di suo pugno (anche se di fatto le dettava), ma non mancano esempi di missive ricevute, come quella del maggio 1945 scritta dall’allora ministro delle finanze e compagno di partito, l’economista Antonio Pesenti, con cui si apre la raccolta.

Gli interlocutori di Sereni sono personalità importanti della politica e della cultura italiana (Parri, Croce, De Gasperi), dirigenti comunisti (Amendola, Togliatti, Grieco) e socialisti (Basso, Morandi), intellettuali di sinistra (Fortini, Rossi-Doria, Luporini), tecnici e scienziati (Medici, Padoa, Haussmann), storici (Bulferetti, Valiani, Zangheri), artisti e letterati (De Sica, Treccani, Scotellaro): fan capolino anche Sartre, Luckács e Hobsbawm. Di grande interesse sono le corrispondenze con gli editori e i loro collaboratori, Giulio Einaudi su tutti, ma anche Balbo e Feltrinelli. Parte del carteggio riguarda meno noti militanti, che si rivolgono al «compagno Sereni» per realizzare una tesi di laurea, ricevere consigli per affrontare lo studio del marxismo o comprendere come applicare la linea del partito.

Si possono seguire attraverso quattrocento pagine di epistolario gli impegni di governo e l’elaborazione della politica comunista: importanti, ad esempio, gli scambi con Togliatti, la traduzione del «caso Lysenko», le polemiche culturali (il marxismo come «filosofia di massa» e «pugno nello stomaco») e la stessa ricezione dei fatti del 1956. Accanto alla politica e alla politica culturale, gli studi e dunque i progetti editoriali, i libri e le ricerche minuziose: lo «studiar qualcosa che agli altri sembra strano ed inutile» cui dedicava un serrato lavoro notturno, che ne fece uno dei più grandi storici delle campagne italiane, curioso e raffinato, capace di spaziare dall’antichità al Novecento. Non mancava di interessarsi persino di giardinaggio, dischi microsolco e romanzi di fantascienza, come emerge dalle lunghe e intense lettere ai familiari.

«Ancora oggi – scriveva nell’aprile del 1953 alla sorella Lea – non rinunzio mai a battermi contro quel che mi pare non vada bene, anche se si tratta, qualche volta, di battere la testa contro il muro. So che, in politica, e perciò anche dal punto di vista morale, ciò non è sempre giusto; ma anche alla mia età, e con la mia corporatura (che oramai è piuttosto da Sancho) non ho saputo sinora trovare troppo ridicolo l’ideale di Don Chisciotte».

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