Investitori e speculatori sono liberi di muoversi come uno sciame di insetti. Ma esattamente come le cavallette hanno bisogno ogni tanto di posarsi, di estrarre valore dai territori dove si fermano e di ripartire, lasciando dietro di sé il deserto. Il territorio è l’obiettivo del capitale, ma può essere anche la sua debacle. Se le comunità sapranno trasformarsi da silenti in insorgenti, un nuovo spazio si può aprire davanti a tutti noi. Il #16Nov a Pisa, Napoli, a Gradisca di Isonzo ed in Val di Susa quelle comunità saranno in cammino e chiamano a raccolta chi ha deciso di non stare più a guardare.
Investitori e speculatori sono liberi di muoversi come uno sciame di insetti. Ma esattamente come le cavallette hanno bisogno ogni tanto di posarsi, di estrarre valore dai territori dove si fermano e di ripartire, lasciando dietro di sé il deserto. Il territorio è l’obiettivo del capitale, ma può essere anche la sua debacle. Se le comunità sapranno trasformarsi da silenti in insorgenti, un nuovo spazio si può aprire davanti a tutti noi. Il #16Nov a Pisa, Napoli, a Gradisca di Isonzo ed in Val di Susa quelle comunità saranno in cammino e chiamano a raccolta chi ha deciso di non stare più a guardare.
Il capitale ed i suoi addentellati sono come uno sciame di cavallette. Percorre migliaia di chilometri su rotte precise, segnate dalla fame di profitto e dall’estrazione del valore come stelle di riferimento, ma spesso ha bisogno di posarsi per ritornare ad avere un contatto con la terra e la realtà concreta. Per quanto la finanza sia immateriale e volatile tanto quanto un software, ha bisogno di legami con l’hardware e con l’operatore che sta dietro la tastiera. Il Leveraged Buy Out estrae valore dalle aziende decotte, facendo leva sul’indebitamento e trattando impresa e lavoratori come variabili dipendenti degli appetiti degli investitori. Il mercato del carbonio, e la speculazione che lo anima, ha bisogno di imprese inquinanti e di molecole di CO2 realmente rilasciate in atmosfera. I grandi fondi di investimento hanno bisogno di imprese che trasformano quelle cifre virtuali in cemento, infrastrutture, investimenti immobiliari.
Come ogni sciame di cavallette, il capitale lasciato libero di muoversi e di ritenersi intoccabili non arricchisce il suolo dove si posa ma lo desertifica, estraendo tutto il valore possibile dalle comunità per poi lasciarli in cerca di altre possibilità.
Il territorio è, soprattutto oggi, uno dei fattori di riproduzione del capitale. Senza un suolo da consumare, una foresta da valorizzare, senza lavoratori da sfruttare soprattutto nei Paesi del Sud del Mondo, tutto l’immenso castello di carte, prima o poi, ricadrebbe su se stesso. Ma il territorio può anche essere il suo limite, l’inizio della sua debacle perchè, come sottolinea John Holloway, “la dominazione è inconcepibile senza resistenza. Lo stesso fatto che pensiamo alla rivolta significa chela dominazione non è totale”. E la resistenza, per avere gambe per camminare e testa per progettare, deve avere i piedi ben piantati per terra, in mezzo ai bisogni ed alle contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo. E’ dal quotidiano che comincia l’opposizione reale a questo sistema: dall’insostenibilità dell’ennesima cementificazione delle nostre città e delle nostre campagne; della nuova linea ferroviaria a misura di merce, inutile e costosa; della gestione criminale del ciclo dei rifiuti che per interesse delle imprese normali, e con la collaborazione delle mafie, avvelena ed uccide in nome del profitto immediato.
Il territorio da silente diventa insorgente. Da oggetto di investimento, da usare come merce di scambio attraverso politiche discutibili come l’apertura di aree di libero scambio capaci di derogare su diritti e normative, diventa soggetto di cambiamento, capace fare opposizione a partire dalla creazione di reti sociali concrete, fatte di donne e uomini che dell’economia locale e di relazione e della ricostruzione di una vera socialità hanno fatto il punto di partenza per una possibile emancipazione sociale.
Il 16 novembre quelle comunità insorgenti ritroveranno un filo comune. In Val Susa, dove migliaia di persone si opporranno all’opera più costosa, inutile ed insostenibile degli ultimi decenni, dimostrando che non saranno le minacce a mettere il bavaglio ad un movimento ormai radicato e ben sedimentato. A Napoli e nella Terra dei fuochi, dove i territori violentati dalla ricerca di profitto di quell’economia normale che si serve della mafia hanno scelto di reagire collettivamente ad un ambiente avvelenato e ad un’economia locale in crisi. A Pisa, dove il Municipio dei Beni Comuni e l’ex Colorificio liberato rappresentano la punta avanzata della lotta alla speculazione immobiliare e al consumo di suolo, perchè con l’intoccabilità del concetto di proprietà privata affronta uno degli elementi chiave di tutto il sistema, sottolineando come ogni azioni politica, ogni atto amministrativo si scontrino inevitabilmente con un’interpretazione distorta della proprietà, che dimentica la sua funzione sociale a tutto vantaggio della difesa incontrastata della sua titolarità. O a Gradisca di Isonzo, dove si proverà a mettere la parola fine ad una politica migratoria criminale, che dimostra come alla libertà di movimento permessa alle cavallette della speculazione, non corrisponda un’analoga libertà per chi di quelle cavallette è vittima incolpevole.
Il 16 novembre in Val Susa, a Napoli, a Pisa e a Gradisca di Isonzo si incroceranno conflitti e vertenze tra loro complementari e non necessariamente sovrapponibili. Ma c’è un filo rosso che lega questi appuntamenti ed è la nuova idea di comunità insorgente, un movimento di donne e di uomini che a partire dai territori hanno scelto di bloccare lo sciame impazzito che sta consumando la vita di ognuno di noi. Lo faranno in modo determinato ed a viso scoperto, contrapponendo le relazioni (tra persone, tra comunità e ambiente, tra comunità) al potere atomizzante e distruttivo di un’economia che non ha più limiti.
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