Lo storico: anche lui fece di tutto per non rivelare l’eccidio delle Fosse Ardeatine ma alla fine l’Italia è riuscita a compiere un atto di civiltà
Lo storico: anche lui fece di tutto per non rivelare l’eccidio delle Fosse Ardeatine ma alla fine l’Italia è riuscita a compiere un atto di civiltà
ROMA — «Il valore di una democrazia si misura nella capacità di dare sepoltura a un criminale di guerra. Ma l’opacità che avvolge l’atto e il luogo della sepoltura mi appare un segno di grandissima debolezza». Tra gli studiosi italiani del fascismo e del nazismo, Emilio Gentile è tra i più conosciuti nella scena internazionale.
Professor Gentile, perché la segretezza è spia di fragilità? Non riusciamo a fare i conti con le tragedie del Novecento?
«La democrazia italiana si sente vulnerabile. Dopo settant’anni teme ancora che il corpo morto del nemico nazista possa suscitare entusiasmo, passione e pellegrinaggi. Questo significa che non è riuscita a vaccinare una parte dei suoi cittadini dal fascino torvo di queste mitologie. È mancata una sufficiente educazione civica».
Quindi non riesce a seppellire il cuore nero del XX secolo.
«Sì, non riesce a liquidare questo passato temendo che possa tornare. Teme soprattutto che possa esercitare fascino sulle nuove generazioni, in un momento
storico segnato da profonda crisi delle istituzioni. La fragilità scaturisce da qui, dalla consapevolezza che è in gioco la credibilità stessa della democrazia».
Ma questo da cosa nasce? L’Italia ha liquidato troppo frettolosamente il capitolo nazifascista e i suoi fantasmi ancora resistono nella coscienza collettiva?
«Sì, sicuramente noi non abbiamo fatto i conti con quella storia. Nel dopoguerra la neonata Repubblica ha avuto bisogno di voltarsi da un’altra parte, rimuovendo o caricaturizzando la portata del fascismo italiano. Però questa spiegazione oggi non basta. Dopo settant’anni non possiamo continuare a dare la colpa ai fondatori repubblicani, a quella Italia che rinasceva alla democrazia nella rimozione. Questo rischia di diventare un buon alibi. La colpa va cercata altrove».
Di chi è la responsabilità?
«Delle classi dirigenti che sono venute dopo. Delle generazioni che non sono riuscite a rendere la nostra una democrazia forte. Della classe politica che non ha saputo trasformare la Costituzione in una pratica quotidiana. Ed è nel guscio vuoto della nostra democrazia che va cercata l’incapacità di chiudere con il Novecento. I fantasmi del nazismo sono in realtà il riflesso della nostra fragilità nazionale.
In una democrazia davvero solida, in un paese che gode della piena fiducia dei cittadini nelle istituzioni, la sepoltura di Priebke sarebbe stata un atto quasi normale, magari oggetto di macabro folclorismo, ma non un pericolo nazionale ».
Però l’Italia non è venuta meno al gesto dovuto di dignitosa sepoltura.
«Questo sì, è stato un atto di dignità innanzitutto verso se stessa. E nella segretezza agisce come una sorta di nemesi rispetto alla morte procurata dallo stesso Priebke. Non dimentichiamoci che volle tenere segreto l’eccidio delle Fosse Ardeatine, scoperto soltanto dopo la liberazione di Roma».
Quei corpi poi non ebbero dignitosa sepoltura. Ed è anche qui la differenza tra dittatura e democrazia.
«Le modalità furono atroci. Venivano ammazzate cinque persone alla volta e i corpi finivano ammassati gli uni sopra gli altri, formando
un magma spaventoso. L’attuale sepoltura di Priebke in un cimitero carcerario mi sembra corrispondere alla sua condanna all’ergastolo. Mi chiedo però perché l’Italia sia stata condannata a conservarlo anche dopo morto. E perché non sia stata la Germania a trovare una soluzione alla vicenda. In fondo Priebke è il figlio della sua storia».
Nessuno vuole il corpo del boia.
«Però Rudolf Hess ricevette sepoltura in Baviera in un cimitero religioso. E’ vero anche che si trasformò in luogo di pellegrinaggio e la chiesa evangelica che lo gestiva preferì riconsegnare la salma ai famigliari. I quali la cremarono e sparsero le ceneri in mare. Una soluzione più che dignitosa».
Pur con una storia ancora più terribile, i tedeschi hanno saputo fare i conti con il Novecento meglio di noi.
«La nostra democrazia non ha fiducia in se stessa e nella propria capacità di testimonianza. Ma non è nascondendo le salme o portando i negazionisti in tribunale che si renderà meno vulnerabile. La cura va trovata in altro modo».
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