I nuovi schiavi del «mini-job» all’europea

«Germania anni dieci. Faccia a faccia con il mondo del lavoro» di Günther Wallraff. Una serie di inchieste del giornalista tedesco sulla trasformazione dell’occupazione dei «working poors»
«Germania anni dieci. Faccia a faccia con il mondo del lavoro» di Günther Wallraff. Una serie di inchieste del giornalista tedesco sulla trasformazione dell’occupazione dei «working poors»

La creazione di 7,5 milioni di «mini job» dal 2002 a oggi in Germania è stata festeggiata come la prova di un sistema economico capace di produrre crescita e occupazione. I «mini job» sono lavori intermittenti, senza contributi o assicurazione contro malattia o infortuni, a 450 euro al mese, l’analogo dei «contratti a zero ore» in Inghilterra (si dice che siano 1 milione) o i contratti a termine italiani. Non riguardano solo i «giovani», ma i professionisti, i migranti di prima o seconda generazione, i dipendenti licenziati ultracinquantenni che non avrebbero probabilmente altro modo di rientrare sul «mercato del lavoro». In cambio di un lavoro qualsiasi, si negano i diritti fondamentali del welfare state, questa è una regola sancita a livello europeo. L’utilità macroeconomica dei «mini job» è determinante per riempire le casse degli istituti previdenziali con i contributi che non torneranno sotto forma di pensione a questo esercito di schiavi. E per dimostrare che l’economia produce «occupazione», una merce importantissima anche nel capitalismo finanziarizzato.
Si dice che i «mini job» vengano adottati per rispolverare l’argenteria di casa, attrarre investimenti o evitare sanzioni europee da parte degli Stati. Le inchieste esemplari condotte tra il 2010 e il 2011 dal giornalista tedesco Günther Wallraff, contenute in Germania anni dieci. Faccia a faccia con il mondo del lavoro (L’Orma, pp.194, euro 13), dimostrano qualcosa in più. La trasformazione dell’idea di «occupazione» in una condizione lavorativa intermittente, un universo di attività sempre meno remunerate, sicure e durature condotte alla Weinzheimer che produce panini per gli ipermercati Lidl. Oppure in una delle filiali di Sturbucks dove i baristas percepiscono meno di 8 euro all’ora, per mille euro netti al mese. Ha viaggiato a bordo dei camioncini della Gsl, specializzata nella consegna di merci o di pacchi. E non mancano storie di mobbing tra i manager della Deutsche Bahn, le ex ferrovie statali tedesche.
Walraff si è camuffato e si è fatto assumere dalle aziende. Panettiere, barista, autista o fattorino: in tutti questi casi il salario medio minimo in Germania oscilla tra i 5 e i 6 euro (per legge dovrebbe essere 9, al netto delle tasse). Questo stipendio obbliga il lavoratore ad un’attività che supera spesso le otto ore giornaliere. Un modo di lavorare che porta ad incidenti alle macchine o per le strade, oltre che a un controllo spasmodico dei tempi di produzione da parte delle aziende. E al licenziamento dei lavoratori infortunati, ammalati o «indisponibili». Il turn-over è altissimo.
Chi sono dunque i soggetti che si prestano a questa terribile disciplina? Sono working poors, poveri messi al lavoro che guadagnano una miseria, lavorano per brevi ma intensi periodi della propria vita, esplodono a causa dei ritmi, falliscono e sono costretti a vendere la casa, a rompere matrimoni, a non avere più una vita privata, sentimentale, «normale». E restano sempre al punto zero.
La creazione dei lavori interinali (nel 2012 erano 820 mila, + 500 mila in dieci anni), come degli stessi «lavoratori mini», risale all’Agenda 2010 voluta dal governo socialdemocratico di Schroeder. La legge è stata pienamente applicata durante il governo delle «larghe intese» tra Spd e Cdu, nella prima legislatura guidata da Angela Merkel. L’obiettivo di questa nuova legislazione è governare la transizione perpetua tra un regime lavorativo iperattivo ad uno di disoccupazione prevalente, e viceversa. In queste condizioni, la contabilità è sempre imprecisa perchè rappresenta un universo in movimento perpetuo. Un elemento è tuttavia certo: questi lavoratori sono impigliati in una rete che si conforma alle esigenze fiscali, di bilancio o di capitalizzazione delle aziende, come della pubblica amministrazione. E riguarda anche i lavoratori autonomi.
Wallraff conosce a fondo la durezza del mondo postmoderno delle occupazioni e fa un esempio magistrale. Quello degli «intermediari» nell’industria della logistica, e in particolare nel colosso tedesco Gls. Sono i cosiddetti «padroncini», dovrebbero guadagnare più dei loro autisti (1300 euro al mese). Gravati dalle tasse, esposti ai ricatti dei loro committenti, anche in questo segmento numeroso la mortalità imprenditoriale e la disoccupazione è altissima. I fallimenti si succedono a catena. Questa situazione riguarda anche il mondo del lavoro culturale, cognitivo, della conoscenza. In Germania, tra il 2002 e il 2012 il numero delle «imprese individuali», cioè delle partite Iva e simili, è salito da 1,7 a 2,2 milioni.
Bassi salari, cancellazione dei contributi e attività sottopagate, gratis o in nero, non sindacalizzate. Questo è il mondo descritto da Wallraff, impegnato con il sindacato Ver.di – e non solo – per tutelare queste attività. In Germania il «mondo del quinto stato» è composto da almeno 10 milioni di persone. Una bomba ad orologeria in un’economia dove cala la domanda interna, si prosciugano gli investimenti produttivi e milioni di persone non sono rappresentate.

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