La nipote della rivoluzione

«Molti, giornalisti ma non solo, arrivano a Cuba e pretendono di dirci subito cosa dobbiamo fare e cosa no». Intervista a Mariela Castro, la figlia del presidente Raàºl. Che dice di «non essere d’accordo» con lo zio Fidel quando si assume tutta la responsabilità  della persecuzione degli omosessuali negli anni ’60

«Molti, giornalisti ma non solo, arrivano a Cuba e pretendono di dirci subito cosa dobbiamo fare e cosa no». Intervista a Mariela Castro, la figlia del presidente Raàºl. Che dice di «non essere d’accordo» con lo zio Fidel quando si assume tutta la responsabilità  della persecuzione degli omosessuali negli anni ’60

BELLINZONA. Mariela Castro è la battagliera figlia di Raúl e la nipote di Fidel. Da anni conduce la lotta per i diritti degli omosessuali a Cuba, lotta non facile in un paese e in una regione in cui il machismo è ancora parte della cultura dominante («i compagni machisti rivoluzionari», li chiama). Ma come figlia dell’attuale presidente e nipote di un «líder máximo» sempre sulla breccia, è anche molto di più e, dalla sua posizione privilegiata, con lei si può parlare di tutto, tutto ciò che riguarda Cuba, piccolo-grande paese che suscita grandi amori e odi mortali. Insieme ortodossa (come nel giudizio canonica sui dissidenti) ed eterodossa («in molti casi sono anch’io una dissidente»), non risparmia le critiche al paese guidato da suo padre e suo zio e non nasconde i problemi.
Estremamente comunicativa e sfoggiando sempre un forte senso dell’humor, è stata l’ospite d’onore nella festa dell’Amca, l’associazione Assistenza medica per il Centro America fondata e guidata dal professore Franco Cavalli, oncologo e compagno svizzero ticinese, che la settimana scorsa ha celebrato i suoi 25 anni di cooperazione a Bellinzona. Dove l’abbiamo incontrata.
Fidel ha fatto autocritica e si è assunto la responsabilità della persecuzione degli omosessuali negli anni ’60. Tu hai detto che sei d’accordo con lui, perché?
Lo capisco e lo rispetto. Però credo che bisogna partire da un fatto: che l’omofobia è un dato culturale molto antico e non solo a Cuba. In tutto il mondo le culture dominanti fino a oggi sono state profondamente omofobiche e Cuba in quel momento riproduceva quel processo storico, radicatissimo anche nella cultura cubana. Soprattutto nella cultura spagnola e africana. Quindi si può capire che a quei tempi la gente e anche i leader considerassero gli omosessuali dei malati mentali da curare, degli immorali e dei perversi come diceva la chiesa. Fidel riproduceva ciò che aveva appreso come parte di quella stessa cultura. Allora erano poche le voci che dissentivano: la Federazione delle donne cubane, qualche intellettuale come Haydée Santamaría e Alfredo Guevara. Per questo io dico che Fidel non deve sentirsi il colpevole per l’omofobia di quegli anni. Sono convinta che se avesse avuto un’informazione più completa su questo tema e non fosse stato educato dentro una cultura omofobica, avrebbe detto basta con le discriminazioni. Lui, come líder máximo, si assume la responsabilità politica per non essersi occupato anche dell’omofobia e averla fermata.
Resta comunque una macchia della rivoluzione cubana…
Una macchia. E sai perché? Perché una rivoluzione il cui obiettivo principale è conquistare, imporre la giustizia sociale non può permettersi di creare nuove forme di discriminazione. Per questo è contraddittorio che nella rivoluzione cubana da un lato si lotti per conquiste così importanti nel campo della giustizia sociale e dei diritti umani e dall’altro mantengano dei fattori di esclusione e discriminazione come in questo caso. Ecco perché, con tanti altri cubani, mi sono impegnata in questo lavoro.
Credi che questa macchia sia stata cancellata ora?
Io non so se si possa dire che sia stata cancellata. So che sto lavorando per cancellarla, e credo che dopo il lavoro che abbiamo fatto in tutti questi anni, quantomeno la società cubana sta discutendo il tema.
Altro tema. L’inatteso ritorno in scena di Fidel. Non credi che questo possa aggiungere un problema nel processo di riforme annunciato come inevitabile e urgente da tuo padre, visto che Fidel e Raúl non sempre hanno avuto le stesse posizioni su diversi temi?
Guarda, non so fino a che punto sia sempre stato tutto determinato da Fidel. A volte credevo che ci fossero cose deciase da lui poi mi è capitato di ascoltare aneddoti anche famigliari che dicono non fosse esattamente così. Comunque io credo che sia ottimo che Fidel sia tornato. Primo perchè lui continua a essere il líder máximo. Ci saranno contraddizioni? Benvengano, la storia è fatta sulle contraddizioni.
Quindi non credi alla lettura di molti «cubanologi» per cui il ritorno di Fidel ha creato tensioni fra lui e Raúl, o addirittura che sia tornato per dare uno altolà alle riforme annunciate da tuo padre?
Non credo proprio. Perché lui, da quando ha cominciato a riprendersi, ha partecipato sempre ai dibattiti e alle proposte, è stato sempre consultato. Non credo che il suo ritorno abbia creato più tensioni di quelle che ci sono state sempre nel gruppo dirigente della rivoluzione. Tensioni naturali fra punti di vista diversi. L’ha detto anche mio padre, in pubblico e in privato.
Le riforme avviate da Raúl sono sufficenti per la crisi economica del paese o dovrebbero essere più radicali e rapide?
Sono solo l’inizio. Richiedono tempo e sistematicità per poter calibrare i cambiamenti, senza ritardi e senza burocratismi.
… ma la burocrazia a Cuba…
… è pesantissima, un ostacolo. E’ un problema da risolvere e il popolo lo ha posto con forza. Non mi piace dirlo io, ma sono stati alcuni politologi cubani ad affermate che la burocrazia a Cuba è quanto di più contro-rivoluzionario ci sia. Anch’io credo che sia un grandissimo ostacolo al processo socialista cubano. Non possiamo riprodurre la stessa burocrazia dei paesi ex-socialisti. Il popolo deve presentare il conto ai burocrati. E lo sta facendo.
È un fatto visibile a (quasi) tutti che a Cuba, nonostante le conquiste della rivoluzione, la gran maggioranza della gente vive male. Quanto dovranno aspettare ancora i cubani, dopo 50 anni, per poter sperare di vivere meglio, senza gli affanni e le angustie quotidiane?
Io lo direi in un altro modo. Direi che la gran maggioranza o in generale la popolazione cubana è insieme soddisfatta e insoddisfatta rispetto alla rivoluzione, ha necessità risolte e irrisolte. Il vincolo con la rivoluzione è profondo nella maggioranza della popolazione, ma è innegabile che ci siano forti contraddizioni. Cuba è un paese povero ma la povertà è «equitativa», un paese che in certi campi ha raggiunto livelli di sviluppo importanti, paragonabili a quelli dei paesi ricchi. Ma ha ancora molti problemi irrisolti, specie a livello della vita quotidiana, che, chi più chi meno, toccano tutti. Ci sono cose buone, altre da migliorare e altre da creare. Per questo stiamo discutendo.
Però sono passati 50 anni…
Ma 50 anni molto difficili. Abbiamo dovuto spendere tutte le nostre energie per difenderci dal terrorismo di stato (e che stato!), e qualsiasi progetto in situazione di difesa trova enormi difficoltà per avanzare e porta in superfice tendenze schematiche e dogmatiche anziché liberare altre idee più interessanti che pure c’erano.
I problemi cubani sono solo dovuti all’assedio di 50 anni e al blocco Usa?
No, per niente. È un contesto, non un solo fattore. L’ostilità esterna ma non solo. C’era gente che proponeva idee nuove e altra che voleva imporre la stessa strada degli altri paesi del blocco socialista. Sono stati 50 anni difficili ma che ci hanno insegnato molto. E guarda che il popolo ha appreso la lezione perché sta facendo proposte molto interessanti. Che per fortuna adesso si tengono più in consderazione di prima.
Il problema più grave è quello della doppia economia, del doppio salario che rischia di avere effetti sociali perversi…
Li ha già creati. Dagli anni ’90 quando si creò la doppia economia e la doppia moneta – che fu indispensabile perché ci ritrovammo soli e non saremmo sopravissuti – sono sorte diseguaglianze, non classi ma strati sociali diversi. Ma si sarebbe dovuto uscire da tempo da questi meccanismi, le decisioni però hanno tardato a venire. Io non sono economista e non so dire come si possa fare. So solo che si sta cercando di rafforzare l’istituzionalità del paese.
I dissidenti. Un problema che crea altri problemi. Noi a sinistra diciamo che il dissenso è il cuore della democrazia…
Anch’io lo penso. Senza dissenso non possiamo avanzare come società…
Come è possibile che a Cuba non si trovi la strada per rompere l’equiparazione automatica e schematica dissenso-tradimento, dissidenti-mercenari?
A Cuba tu puoi dissentire senza essere considerato un traditore. Io per esempio spesso dissento, anche da mio padre. Un discorso diverso è quello sui mercenari. Sono pagati.
In Europa, per alcuni, anche a sinistra, Cuba è diventata un’ossessione. Critiche, critiche, solo critiche…
Cuba è diventata il nemico di moda. Quando un nemico diventa di moda i giornali non parlano che di lui, fino a quando ne trovano un altro. In Europa Cuba è diventata un cliché noiosissimo. Che barba. Se trovassero argomenti interessanti saremmo anche noi interessati a partecipare. Se dicessero la verità ci metterebbero in difficoltà, invece mescolano alcune piccole verità con molte menzogne. Uno degli argomenti fissi è che a Cuba non c’è un’opposizione. Il fatto è che non c’è un’opposizione autentica. Il giorno che ci fosse un’opposizione autentica, che rispondesse davvero agli interessi del popolo meglio del governo, vedresti che il popolo andrebbe sicuramente verso l’opposizione. Ma finora non c’è. Pensate che il popolo sia tonto? Noi abbiamo bisogno di nemici più liberi, autentici e creativi per perché ci sia un dibattito vero. In tanti, giornalisti e no, arrivano a Cuba a dirci cosa dobbiamo fare. Credono che noi siamo cretini e non capiamo quello che sta capitando qui, quello che stiamo vivendo, quali sono i nostri problemi?
(Ha collaborato Gianni Beretta)

**************************************

La lucida verve del vecchio Fidel
M.M.
Fidel Castro sarà anche vecchio e malandato, ma certamente dimostra una verve e una lucidità strabilianti. In pochi giorni ha «sparato» un paio d’interviste a due giornali stranieri (il messicano La Jornada, pubblicata dal manifesto, e alla rivista Usa The Atlantic) che hanno fatto il giro del mondo (e smentito per l’ennesima volta i tanti «cubanologi»). Ieri è intervenuto sull’oscena pratica dell’espulsione dei Rom da parte della Francia di Sarkozy. «Vittime della crudeltà dell’estrema destra francese» e «di una specie di olocausto razziale». Giudizi sacrosanti, ma che hanno fatto arrabbiare i francesi e quanti ricordano solo l’olocausto degli ebrei dimenticando quello degli zingari, mezzo milione inghiottiti dai lager nazisti. Prima Fidel aveva criticato – rompendo il vecchio cliché secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico – l’iraniano Ahmadinejad per il suo antisemitismo e la sua negazione dell’olocausto ebraico. Allora andava bene.
Prima ancora si era accusato – «il responsabile sono io» – per la «grande ingiustizia» commessa negli anni ’60 con la persecuzione degli omosessuali. Meglio tardi che mai, ma anche qui bene. Poi la sorprendente affermazione sul «modello cubano» che «ormai non funziona più neanche per noi». Un appoggio chiaro al fratello Raúl impegnato nel difficile e doloroso tentativo di rimettere in carreggiata una situazione economica che non è esagerato definire drammatica, in un senso che per forza di cose dovrà contraddire l’egualitarismo fidelista e diminuire il peso dello stato, finora assoluto nel bene e nel male. Ecco i «cubanologi», che avevano già letto il ritorno di Fidel come uno schiaffo a Raúl, leggere le parole del líder máximo come la prova del fallimento del socialismo cubano tout court e l’elogio senile del capitalismo. «Esattamente il contrario», ha replicato Fidel venerdì all’università dell’Avana.
«La mia idea è che il sistema capitalista ormai non serve né per gli Usa né per il mondo, che trascina a una crisi dopo l’altra sempre più grave, globale e ripetuta». Quelle parole suonano anch’esse come un’autocritica. Ma di tipo diverso e in appoggio all’ardua impresa del fratello: il «modello» economico cubano, se ha mai funzionato, non regge più e va corretto, cambiato prima che sia troppo tardi. Ma non con il ritorno a un fallimentare capitalismo. Fidel sarà vecchio, non rincoglionito.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password