Saggi, diari e inediti a sessant’anni dalla fine del fascismo
Saggi, diari e inediti a sessant’anni dalla fine del fascismo
“La lunga estate del ’43” durò appena quarantacinque giorni. Anzi, quaranta perché l’armistizio annunciato l’8 settembre era stato firmato cinque giorni prima, il 3 settembre, nella campagna di Cassibile, sotto una tenda caldissima e con le ausiliarie che servivano whisky con ghiaccio. In verità, nelle intenzioni degli Alleati, l’annuncio avrebbe dovuto essere dato il 12, e l’anticipo colse di sorpresa quanti sapevano. Poche ore prima della firma, all’alba del 3 settembre, era avvenuto lo sbarco anglo-americano in Calabria e da qui iniziava la liberazione del continente europeo. Comunque su quei quarantacinque giorni continuiamo a riflettere, a ricordare, a giudicare. Ed è giusto così perché le prime pagine della storia della nuova Italia sono state scritte in quel mese e mezzo. Ne sono prova anche i libri, gli inediti che continuano a venire alla luce, le testimonianze preziose di chi c’era, i documenti cinematografici e fotografici che, forse meglio delle scritture, danno il senso della verità e trasmettono momenti di struggente vicinanza con i luoghi e le persone.
Tra gli inediti, uno in particolare colpisce perché si tratta del diario di un cardinale che nel 1943 dirigeva, come arcivescovo, la Congregazione di Propaganda Fide ed era in costante contatto con Pio XII, Celso Costantini. Il diario che ha visto la luce nel 2010 con scarsa eco, abbraccia quasi un decennio di eventi: Ai margini della guerra (l938-1947). Diario inedito del Cardinale Celso Costantini, a cura di Bruno Fabio Pighin (Marcianum Press, pagg. 636, euro 50). È un documento che mostra, tra le altre cose e pensando proprio al 1943, come ai vertici della Chiesa alcuni abbiano partecipato con passione e con preciso giudizio storico dei sentimenti e delle emozioni di quella lunga estate. Ecco l’emozione del 25 luglio: «Questa sera, alle ore 10 circa, la radio ha annunciato che Mussolini ha dato le dimissioni.(…) Un senso di sollievo e di respiro ci libera dall’incubo poliziesco in cui era degenerata la politica di Mussolini. Non se ne poteva più. Mussolini, un misto di brillanti qualità e di incredibili lacune, ha potuto, nella sua infatuazione, credere di sostituire se stesso, come un idolo, come un feticcio magico, onnisciente, alla dignità e alla vita di 45 milioni di uomini (…) Finalmente si respira!».
Un riscontro laico di questi sentimenti è in un altro testo che, scritto nel 1944, è ora pubblicato integralmente ed è di grande interesse. L’autore fu testimone dall’interno della strategia messa in atto per provocare la caduta del fascismo perché in rapporti professionali e di amicizia col duca d’Acquarone, regista perfetto del colpo di Stato del 25 luglio. Si tratta di Enzo Storoni, autorevole esponente dell’antifascismo liberale il cui “memoriale” è un racconto lucido e di assoluta obbiettività critica della svolta avvenuta tra il 25 luglio e l’8 settembre (La congiura del Quirinale,
a cura di Francesco Perfetti, Le Lettere, pagg. 80, euro 10). Il titolo non è di Storoni e la parola “congiura” sembra forzata, perché l’analisi condotta nel “memoriale” spiega e chiarisce le ragioni politiche dell’azione del re, l’abile tattica di Acquarone, il clima dell’antifascismo, l’attenzione degli Alleati, le scelte che non sono state fatte (ad esempio rompere l’alleanza con la Germania il giorno stesso dell’arresto di Mussolini, fare sbarcare gli Alleati a nord di Roma, proclamare immediatamente la pace) che hanno pregiudicato lo svolgimento degli avvenimenti dopo l’8 settembre.
Negli stessi giorni in cui Storoni scriveva il memoriale, Paolo Monelli iniziava il suo famoso Roma 1943, apparso nel 1945 e ora ristampato a mia cura da Einaudi (pagg. 430, euro 14), opera di grande giornalismo e intensa testimonianza morale di eventi che hanno messo a nudo il dramma dell’Italia. Per Monelli il 1943 è stata «una lezione terribile per tutti noi e spesso, scrivendo, mi pareva di fare un doloroso esame di coscienza ». Un esame di cui si fece interprete lo scrittore antifascista Giaime Pintor in uno straordinario testamento politico scritto dopo il dramma dell’8 settembre, (Giaime salterà su una mina il 1° dicembre 1943, a soli 24 anni) ora pubblicato da Castelvecchi (L’ora del riscatto. 25 luglio 1943,
pagg. 57, euro 7,50), che si conclude con una profonda speranza, con l’immagine di una possibile Italia nuova, maturata dalla tragica esperienza della guerra e di quei quarantacinque giorni: «Ormai l’Italia uscirà da questa crisi attraverso una prova durissima: la distruzione delle sue città, la deportazione dei suoi giovani, le sofferenze, la fame. Questa prova può essere il principio di un risorgimento soltanto se si ha il coraggio di accettarla come impulso a una rigenerazione totale; se ci si persuade che un popolo portato alla rovina da una finta rivoluzione può essere salvato e riscattato soltanto da una vera rivoluzione».
Anche per la giovane, entusiasta fascista Luce D’Eramo la fine del fascismo fu un’occasione per scrivere, nell’agosto di quell’anno una sorta di racconto. È la inattesa scoperta della verità di una guerra perduta e di un sogno svanito. Sono pagine molto belle rimaste inedite fino al 1999 e ora ripubblicate da Elliot (pagg. 56, euro 7,50). Vanno lette quasi come una nota al margine di un testo di grande respiro dello storico americano Charles Delzell che, apparso nel 1961 con grande successo di lettori, viene opportunamente ripubblicato da Castelvecchi (I nemicidi Mussolini. Storia della Resistenza armata al regime fascista, pagg. 663, euro 29). È una storia che comincia nel 1924 e ripercorre tutte le vicende di un paese di cui il 1943 è solo l’anno decisivo e la sfida finale tra fascismo e antifascismo, e la conclusione una Resistenza cominciata da lontano e sublimata nella lotta armata che porterà al 25 aprile e all’alba dell’Italia democratica.
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