Berlinguer ti voglio bene

A teatro •Eugenio Allegri, sul palco la Storia d’Italia tra Moro e il compromesso storico; «Da Krapp a Senza parole», prontuario beckettiano; «Duetto», trasmigrazioni danzate

A teatro •Eugenio Allegri, sul palco la Storia d’Italia tra Moro e il compromesso storico; «Da Krapp a Senza parole», prontuario beckettiano; «Duetto», trasmigrazioni danzate

Più che una biografia del segretario del Pci, lo spettacolo dell’Archivolto diviene racconto degli anni ’60 e ’70, e di una pratica politica lontana anni luce dall’oggi Peccato davvero che lo spettacolo abbia appena concluso, per questa stagione, la sua tournée, sarebbe tornato utile per il pubblico averlo come punto di sponda per qualche personale considerazione, durante la tracimazione in corso del politichese ad usum mediorum dalle tv, dai giornali e dai palazzi nobili delle istituzioni.

Lo spettacolo del Teatro dell’Archivolto è dedicato infatti fin dal titolo a Berlinguer. I pensieri lunghi , inusuale proposizione sulle scene di un personaggio, delle sue idee e delle sue parole, che risuonano oggi ancora forti, capaci di uscire dalla stretta sfera politica e scuotere le coscienze, anche di chi non sia stato schierato con lui lungo i quarant’anni della sua vita pubblica. Fino a quella che fu la sua ultima elaborazione, che non a caso proprio in questi giorni è stata rilanciata dal presidente Napolitano, il «governo delle larghe intese», che il segretario del partito comunista chiamava «compromesso storico», dopo che Moro aveva elaborato la geometria poco euclidea delle «convergenze parallele».

Berlinguer costituisce il filo d’acciaio della narrazione che Eugenio Allegri conduce da solo (testo e regia sono di Giorgio Gallione), in abito grigio, in un palco spoglio che si anima solo grazie alle belle immagini montate in video da Francesco Frongia. Il racconto comincia proprio nel 1944, e proprio a Sassari, dove il giovanissimo rampollo di borghesia agraria capeggia i moti del pane, in una città martoriata oltre che dalla coda violenta del fascismo, dalle bombe inglesi. È il suo debutto nella politica, che lo porterà rapidamente ai vertici nazionali dei giovani comunisti, e quindi alle esperienze internazionali che gli faranno conoscere grandezze ed orrori di Mosca e di Stalin. Per la cui morte piange nel ’53, salvo poi entrare in crisi nel ’56 sentendo quanto viene riferito al ventesimo congresso.

Attingendo ai suoi scritti pubblici e privati, lo spettacolo illustra la sua maturazione austera e il suo sviluppato senso critico, come quando affermerà un famoso «odio gli indifferenti». Ma non si creda che si tratti «solo» della sua biografia, che semmai un limite dello spettacolo è proprio l’enormità dell’arco temporale percorso: non solo quei quarant’anni di Berlinguer, ma quasi una storia d’Italia vera e propria. Con tutte le sue implicazioni internazionali per di più. E in quel contesto ogni tanto lo zoom narrativo fa luce su Enrico Berlinguer: la storia di quel periodo, si sa, è molto densa, in particolare in quei decenni sessanta e settanta che parevano ribaltare l’universo mondo e finirono per stabilire nuovi e più ferrei rapporti di classe. Dal palcoscenico ogni tanto giunge un brivido, ma le sferzate vere sono I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini sull’odissea sindacale verso il sud dei boia chi molla, e la malinconia degli Inti Illimani che accompagna la morte di Allende per mano del golpe di Pinochet. Il ’72 e il ’73 risultano così gli anni più risolti nella drammaturgia del nostro paese, anche se via via non mancano immagini e parole di altre presenze illustri, da Italo Calvino allo stesso Allende, da Saramago a Gramsci a Pasolini. C’è quasi pudore a raccontare i drammi consumatisi nelle scatole sovietiche delle Botteghe Oscure (la radiazione del manifesto è appena sfumata), e il non detto sugli scontri anche aspri che vi si consumarono, porta il pudore sull’orlo dell’agiografia.

Resta il piacere il ripercorrere temi che ormai paiono lontanissimi, come tutto il dibattito sull’eurocomunismo ad esempio, che parve allora capitale e decisivo per l’Europa futura, inghiottito oggi dalla caduta dei Muri, e non solo. Ma certo sul confronto con Moro, e la vicenda del massacro di questi, restano ancora molte vaghezze politiche, che forse necessariamente sulla scena restano ombre teatrali, da cui emergono al massimo l’umanità morotea e la rigida dirittura morale di Berlinguer.

Poi, c’è solo quasi la tragedia del suo malore sulla piazza di Padova, la morte, i funerali. Si potrebbe pensare a un sequel, incentrandolo magari, sempre a partire da Berlinguer, su parole chiave come austerità, o cultura, a cui si appellò tra gli ultimi. Sono solo osservazioni, che nulla tolgono al valore dello spettacolo, e che nascono anche dall’avervi assistito in un luogo privilegiato, la sua Sassari. Nel nuovissimo teatro comunale, gigantesco, quasi fuori scala rispetto ai teatri che si costruiscono oggi (e forse con qualche sospetto difettuccio di acustica e planimetria) la sala non era esaurita, ma agguerrita e desiderosa di partecipare. Tutti (a parte i giovanissimi) parlavano molto informati del loro Berlinguer, della famiglia borghese imparentata con i Segni e i Cossiga, ma soprattutto del ricordo e della «nostalgia» che ha lasciato in molti di loro, con la sua idea e la sua pratica della politica. Una bella esperienza, davvero lontana anni luce dal pollaio a cristalli liquidi che oggi ci appitona.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password