Italiano muore in un carcere francese, è giallo

Daniele Franceschi, 34 anni, di Viareggio. Alla mamma aveva detto: mi maltrattano.·E’ morto martedì in una cella della prigione di Grasse, nell’entroterra di Cannes

Daniele Franceschi, 34 anni, di Viareggio. Alla mamma aveva detto: mi maltrattano.·E’ morto martedì in una cella della prigione di Grasse, nell’entroterra di Cannes

FIRENZE – «Mi hanno messo in una cuccia per cani. Piccola, claustrofobica. Gli agenti mi maltrattano, ce l´hanno con me perché sono italiano». Daniele Franceschi lo aveva scritto diverse volte nelle lettere che inviava alla madre in Italia. Parlava di maltrattamenti, intimidazioni e soprusi subiti dalle guardie. E di un clima di intolleranza. «Non mi curano, qui siamo considerati feccia, io non reagisco, altrimenti finisce male». Parole che ora suonano come un´accusa al sistema carcerario francese. Trentaquattro anni, residente a Viareggio, Franceschi è morto martedì in una cella della prigione di Grasse, piccolo borgo nell´entroterra di Cannes, in circostanze ancora da chiarire.
Per le autorità francesi il decesso è avvenuto per un «collasso cardiocircolatorio», ma i familiari sono convinti che sulla fine del giovane versiliese la storia raccontata da direttore e sanitari del carcere faccia acqua da tutte le parti. Anche perché la notizia della sua morte arriva venerdì, con tre giorni di ritardo e solo grazie a Francois Gonzales, l´avvocato che la famiglia ha ingaggiato cinque mesi prima dopo il suo arresto. Sposato, separato e padre di un bambino di 9 anni, era arrivato in Costa Azzurra a marzo per una vacanza con gli amici. I guai per il carpentiere impegnato nei cantieri del porto viareggino iniziano nel Casinò di Cannes, quando decide di acquistare fiches con una carta di credito falsa. Il personale se ne accorge, Franceschi viene denunciato alla gendarmeria, arrestato e portato nella prigione di Grasse. Lì passano mesi e mesi senza che per lui venga istruito un processo.
«Erano state indette alcune udienze, ma sempre rimandate – racconta lo zio Marco Antignano – Era complicatissimo andare a trovare mio nipote. Mia sorella era riuscita ad entrare in carcere solo due volte, ogni volta l´avevano controllata in una maniera non solo minuziosa, ma anche umiliante. Il ragazzo era tranquillo ma parlava e scriveva di soprusi, di ore di lavoro estenuante, di maltrattamenti e vessazioni». L´ultima volta Daniele si fa sentire proprio con lo zio e la madre Cira una decina di giorni fa. «Era riuscito a procurarsi un telefonino – continua lo zio – Ci aveva raccontato che un mese fa aveva avuto 41 di febbre. Aveva chiesto aiuto ma nessuno l´aveva curato per quattro giorni. Diceva che guardie e detenuti non sopportavano gli italiani, forse, a causa del calcio». Ma è soprattutto la ricostruzione delle ultime ore a non quadrare: «Io ho parlato con il direttore del carcere. Sosteneva che l´avessero controllato in cella alle 13,30 e Daniele stava bene. Poi di nuovo alle 17,30, e lo avevano trovato morto. All´avvocato francese che ci assiste invece hanno detto che l´avevano accompagnato in infermeria per un malore, ma che non avevano riscontrato nulla di grave». Ieri mattina presto la madre Cira Antignano, l´altro figlio Tiziano e la cugina Grazia sono arrivati a Nizza, dove è stato trasportato il corpo per l´autopsia che si svolgerà oggi.
«Non ce l´hanno fatto vedere – dice la madre – avevamo saputo che avremmo potuto prendere un medico di fiducia da affiancare al medico legale. Così venerdì ho mandato un fax al ministero della Giustizia chiedendo aiuto ma non ho ricevuto risposta. In più hanno anticipato l´autopsia di un giorno. E ora ci dicono che non sarà più possibile avere un medico di parte. Così dopo l´autopsia i francesi potranno raccontarci quello che vorranno». A curare gli interessi della famiglia in Italia è l´avvocato Aldo Lasagna, che si è rivolto alla Farnesina e al ministero della Giustizia. E un appello è arrivato anche dal Pd. Sandro Favi, responsabile carceri dei Democratici, chiede ai ministri Frattini e Alfano di «acquisire tutte le informazioni necessarie per fare piena chiarezza sull´accaduto» e di «accertare eventuali responsabilità».

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La madre è arrivata ieri sera a Nizza dove si svolgerà l´autopsia. “Nelle lettere che mi scriveva era disperato”

·”Impossibile che sia stato un infarto la verità è che là dentro aveva paura” ··

·”Aveva la febbre a quaranta, per curarsi aveva dovuto mettere la testa nel frigo” ·


FIRENZE – «Non ce lo fanno vedere, e ci dicono che non potremo nominare un nostro medico legale. Chiedo giustizia, il governo si attivi, voglio sapere cosa è successo davvero a mio figlio». Cira Antignano è la madre di Daniele Franceschi, il 34enne morto in un carcere francese. È arrivata da poche ore all´ospedale Pasteur di Nizza. Ancora sotto shock.
Signora, cosa ha scoperto sulla morte di suo figlio?
«I francesi ci dicono bugie. Daniele non è morto per un infarto fulminante. Faceva sport, era sano, mai avuto problemi di cuore. In questi mesi l´avevo visto due volte, ad aprile e a giugno. Ma mi scriveva regolarmente. Raccontava di soprusi, minacce e intimidazioni dalle guardie».
Di che tipo?
«Un mese e mezzo fa aveva avuto 41 di febbre, aveva avvertito i secondini ma nessuno lo considerava. Gli dicevano che il medico non c´era e che doveva stare zitto. Era svenuto. Per calmare la febbre metteva la testa nel frigo della cella. E solo dopo quattro giorni l´avevano curato. Oppure non gli facevano avere i soldi che gli spedivo, e si inventavano di aver perso il biglietto con cui chiedeva la spesa. Così non mangiava più, era dimagrito moltissimo».
Quando l´ha sentito l´ultima volta?
«Dieci giorni fa. Si era procurato un telefonino. Era stanco. Faceva turni di lavoro infernali in cucina. Una volta aveva provato a scioperare. Ma mi aveva detto: “Mamma, mi dicevano che se non smettevo mi avrebbero messo in isolamento o con i detenuti pericolosi”. Aveva paura. Una volta avevano trovato nella sua cella qualche grammo di hashish. “Mi hanno incastrato, io non c´entro niente”, aveva detto. Come è possibile passare cinque mesi in un carcere e morirci per una carta falsa?».
(m.n.)

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