PALESTINA Violenti scontri dopo la morte di un detenuto. In fin di vita un tredicenne
Commozione e rabbia ai funerali del giovane prigioniero Jaradat, ucciso nelle carceri israeliane. Abu Mazen: «Netanyahu vuole il caos nei Territori occupati»
PALESTINA Violenti scontri dopo la morte di un detenuto. In fin di vita un tredicenne
Commozione e rabbia ai funerali del giovane prigioniero Jaradat, ucciso nelle carceri israeliane. Abu Mazen: «Netanyahu vuole il caos nei Territori occupati» GERUSALEMME. È un ragazzino di 13 anni, Muhammad al-Kirdi, del campo profughi di Aida (Betlemme), il ferito più grave degli scontri di ieri tra palestinesi e forze di occupazione. Mohammed ieri sera era in ospedale in fin di vita. L’esercito israeliano nega di aver fatto uso di munizioni vere e comunica di aver sparato solo proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Ma all’ospedale i medici dicono di aver estratto una pallottola dal torace di Mohammad. La notizia ha ulteriormente aggravato la tensione in una giornata che ha avuto i riflettori puntati su Sair (Hebron) dove migliaia di palestinesi hanno partecipato alle esequie solenni di Arafat Jaradat, il giovane morto sabato in una cella nella prigione israeliana di Megiddo. Per il medico israeliano che ha effettuato l’autopsia, Jaradat non è stato torturato. Allo stesso tempo non ha trovato segni della patologia cardiaca che avrebbe ucciso il detenuto. Allora come è morto? Per i palestinesi è tutto chiaro: Jaradat è stato picchiato e torturato da chi lo aveva interrogato nei giorni scorsi. Per questo, aggiungono, è necessaria un’inchiesta internazionale indipendente per fare luce sull’accaduto.
La commozione era forte ieri a Sair, tra i parenti di Jaradat e i suoi amici. La madre e la moglie incinta del giovane detenuto morto, devastate dal dolore e dall’emozione, sono svenute più volte. Tra i tanti partecipanti ai funerali anche due alti dirigenti del movimento Fatah: il ministro per i prigionieri Issa Qaraqe e l’ex capo del servizio di sicurezza Jibril Rajoub. Jaradat era un attivista di Fatah e il movimento lo considera come un martire. La salma è giunta a bordo di un veicolo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), avvolta nella bandiera nazionale e scortata da ufficiali della sicurezza. Quando la jeep si è fermata, poliziotti e uomini della sicurezza hanno sparato in aria lunghe raffiche di mitra per rendere onore al giovane morto in carcere. Poi si è mosso il corteo funebre e dietro alla salma si sono raccolte migliaia di persone tra le quali i rappresentanti delle maggiori forze politiche palestinesi, incluse Hamas e Jihad. Jaradat infine è stato inumato nel cimitero di Sair con il picchetto d’onore delle Brigate dei Martiri di al Aqsa (ufficialmente non più esistenti e che ieri sono riapparse minacciando «vendetta») sull’attenti davanti alla tomba. «È responsabilità della comunità internazionale fare pressione per mettere fine a questa occupazione», ha detto durante la cerimonia funebre Jibril Rajoub. «Le uccisioni di palestinesi a sangue freddo, la politica degli insediamenti colonici e l’assedio sono l’essenza del terrorismo ufficiale esercitato (da Israele, ndr) contro di noi», ha aggiunto, sottolineando «Speriamo che il mondo capisca che le azioni israeliane porteranno a una situazione esplosiva». Subito dopo in Cisgiordania, in particolare nella zona di Hebron, sono divampati scontri violenti, simili a quelli di domenica, tra giovani palestinesi e soldati israeliani. A Nablus, Ramallah, Tulkarem, Nablus e in altre località si sono viste scene che ricordano da vicino l’Intifada contro l’occupazione tante volte evocata, con timore, dai media israeliani. Tra gli scontri più intensi ci sono quelli avvenuti per il sesto giorno consecutivo davanti alla prigione militare di Ofer. I feriti, tra cui alcuni ragazzi, sono stati numerosi.
Nelle stesse ore il premier israeliano Netanyahu era impegnato in consultazioni sulla situazione nei Territori occupati. Non ha mancato l’occasione per chiedere, per la seconda volta in due giorni, al presidente palestinese Abu Mazen di contenere le proteste e di svolgere il ruolo di garante dell’ordine pubblico che gli accordi di Oslo assegnerebbero all’Anp. Parole forse volte a mettere in imbarazzo Abu Mazen che da parte sua ha risposto con fermezza che «Israele vuole creare il caos nei Territori occupati». «Vogliamo pace e libertà per i nostri detenuti – ha detto Abu Mazen – e non importa quanto duramente cercheranno di trascinarci nei loro schemi, non saremo trascinati». Infine ha concluso affermando «Abbiamo perso Arafat Jaradat, che è stato arrestato ed è rientrato in una bara e questo non può passare con leggerezza».
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