Collera, voglia di potere, miti infranti Redford racconta l’America ribelle

Esce il 20 nelle sale “La regola del silenzio” il nuovo film dell’attore e regista dedicato ai “Weathermen”. Erano nati nel 1969 come scheggia violenta, giovani che negli anni ’70 volevano rovesciare il sistema. Quella lotta armata è stata sconfitta. Nel mondo c’è sempre un 1 per cento più ricco. La storia è un ritorno a quel cuore di tenebra dei sopravvissuti alla guerra al potere

Esce il 20 nelle sale “La regola del silenzio” il nuovo film dell’attore e regista dedicato ai “Weathermen”. Erano nati nel 1969 come scheggia violenta, giovani che negli anni ’70 volevano rovesciare il sistema. Quella lotta armata è stata sconfitta. Nel mondo c’è sempre un 1 per cento più ricco. La storia è un ritorno a quel cuore di tenebra dei sopravvissuti alla guerra al potere

WASHINGTON. «Un tempo – mormora la voce catramosa della grande Julie Christie nella parte di Mimi, l´Irriducibile Rivoluzionaria – da questa casa si poteva vedere tutto il lago. Oggi gli alberi sono cresciuti e non si vede più niente». Una frase apparentemente banale, una semplice constatazione.
mA questa frase, pronunciata mentre già si avverte nell´aria del Lago Michigan il pulsare delle pale degli elicotteri dello Fbi come nelle sequenze iniziali di Apocalypse Now, è la chiave per aprire la porta del mistero che Robert Redford racconta nel suo The Company You Keep, tradotto male – al solito – in La regola del Silenzio, oggi presentato al Noir di Courmayeur e dal 20 dicembre in sala.
La chiave è la foresta oscura della vita. È la selva della vecchiaia, del dubbio, dei pentimenti ma anche dei rimpianti nel quale si era smarrita una giovinezza rivoluzionaria americana fino alla violenza e al terrorismo. Che resta come sedimento incancellabile, e non soltanto giudiziario, in coloro che negli «anni della collera» ‘60 e ‘ 70 pensarono di rovesciare il «sistema» (ricordate?) e imporre finalmente la vera democrazia negli Stati Uniti. La storia di Jim Grant, alias Sloan, alias Graves, alias molti altri nomi, il tranquillo avvocato di campagna, padre vedovo di una ragazzina di undici anni, che il passato fra i «Weathermen» torna a ghermire e risucchiare, non è soltanto un remake in chiave di thriller politico del celebre Fugitive con Harrison Ford. È un altro ritorno a quel cuore di tenebra che batte dentro la vita dei sopravvissuti ai giorni della bombe e della guerra al potere.
I «Weathermen» erano nati nel 1969, come «splinter» come scheggia violenta degli «Sds», gli studenti per una società democratica che l´incubo della leva militare e dunque della spedizione in Vietnam avevano ingrossato. Ispirati dal verso di un pezzo di Bob Dylan, «non hai bisogno di un weatherman, di un meterologo, per sapere da che parte soffia il vento», secondo una poetica che proprio nel vento aveva trovato tanta ispirazione, Blowing in the wind, gli uomini e le donne, tutti giovanissimi, tutti bianchi, quasi tutti figli della prosperità annoiata degli anni 60, avevano scelto quello che gli imitatori europei avrebbero poi chiamato la lotta armata. Ottenendo, alla fine, gli stessi risultati. Qualche morto inutile, sei orfani, molti detenuti, un paio di professori universitari ripescati e riciclati per le solite facoltà di sociologia e di scienze politiche. Ma neppure un graffio al «sistema» che infatti, quarant´anni più tardi, deve oggi riscoprire con orrore che l´uno per cento stringe tra le dita ancora più ricchezza di quanta ne controllasse allora.
La fuga di Sloan alias Jim Grant dalla propria tranquilla vita di provincia nel tranquillissimo Vermont verso il «cuore di tenebra» della propria giovinezza ribellista passa attraverso la riscoperta dei vecchi compagni e compagne tormentati dallo stesso passato. Ha la forma intensa di una fiction politico-poliziesca, condotta con angosciosa maestria e pochi soldi da Redford. Può essere letta e goduta come un complesso «whodonit», chi è il colpevole e chi è l´innocente, ma la forma serve soltanto a condurre lo spettatore meno giovane a rivisitare le illusioni che accompagnarono la propria militanza e i più giovani a confrontare le proprie tentazioni con la realtà. «Siamo diventati vecchi senza diventare grandi» dice rieccheggiando un magnifico verso di Euripide nella Baccanti, («siamo diventato vecchi senza accorgercene») uno degli attempati compagni nascosti nell´ underground, nel sottosuolo delle loro vite borghesi, a fare la madri di famiglia, i piccoli imprenditori, i professori al college, i contrabbandieri di «grass», di marijuana sul filo della legalità.
E nel loro tormento sono tutti magnificamente bravi e credibili, questi «meteorologi» invecchiati, in una sfilata di cammei affidati alla sempre grande Susan Sarandon, a Nick Nolte, a Julie Christie, a Stanley Tucci, ovviamente allo stesso Redford, attori che non sembrano recitare, ma raccontare loro stessi e la loro generazione. Una ricerca nel passato affidata all´unico attor giovane della compagnia, Shia LeBeouf, nel ruolo del reporter per un agonizzante giornale di provincia che tenta di sopravvivere affidandosi a quel giornalismo investigativo, quel giornalismo che il tempo della Rete, dei blog, dei tweets e del frullato d´informazione istantanea e solubile, come il caffè in cristalli, sta uccidendo.
Anche qui, nella ricostruzione della vita del giornale, nella burbera figura del direttore assediato dalla necessità di tagliare costi e personale, nella ostinata fede del ragazzo con la penna e il taccuino risucchiato dalla passione per la «story», per il servizio, Redford paga un tributo alla propria giovinezza e a un´età dell´innocenza che pare tanto distante e morto quanto gli «espropri proletari», le bombe contro i tribunali e i ministeri e le solite banche, dei «Weathermen». È tempo del caso Watergate, di «Tutti gli uomini del presidente», della redazione del Washington Post nei primi anni ‘70, quegli stessi che videro prima l´ascesa e poi la decomposizione della rivoluzione armata negli Usa, i giorni di Redford e Dustin Hoffman giovani negli abiti di Woodward e Bernstein sulle tracce di un presidente, Nixon, che sarebbero riusciti a ferire a morte, senza sparare un proiettile.
Gli uomini e le donne stanno passando, i sogni sono invecchiati e appassiti, i figli ribelli sono diventati madri e padri ansiosi più dei compiti a casa che della rivoluzione ed è toccante ascoltare Julie Christie che dice a Redford, rincontrandolo trent´anni dopo, «dio, come sei diventato vecchio», una frase che un regista-protagonista meno sincero e più vanesio del sempre più stropicciato «Sundance Kid» avrebbe potuto benissimo tagliare. Ma le idee e le ingiustizie, avverte Mimi, l´ultima giapponese impenitente del vecchio gruppo ormai assediato dall´impalacabile Fbi, rimangono. Sono soltanto diventate più difficili da vedere, nascoste dagli alberi cresciuti nella foresta della vita.

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