«Non mi avete convinto» di Filippo Vendemmiati è una lunga intervista con l’intellettuale, poeta e leader della sinistra. Il dvd in edicola con l’Unità dal 15 dicembre.
Dietro quegli ordigni, e dietro quelli che avevano tramato la strage di Brescia, càerano una volontà e un odio che andava oltre l’atto che compivano. Credo ci fosse un attacco profondo contro tutta una storia del nostro Paese, contro la sua eredità e la sua ricchezza più grande.
«Non mi avete convinto» di Filippo Vendemmiati è una lunga intervista con l’intellettuale, poeta e leader della sinistra. Il dvd in edicola con l’Unità dal 15 dicembre.
Dietro quegli ordigni, e dietro quelli che avevano tramato la strage di Brescia, càerano una volontà e un odio che andava oltre l’atto che compivano. Credo ci fosse un attacco profondo contro tutta una storia del nostro Paese, contro la sua eredità e la sua ricchezza più grande.
Contro una svolta storica che si era compiuta nel nostro secolo, contro quell’atto fondante di tutta la nostra vita, quella pagina alta che si chiama la Resistenza italiana. Furono anni grandi e terribili ma straordinari quelli che vivemmo allora, quell’esperienza occupò tutta la vita del pianeta e per quelli di noi che vi parteciparono fu davvero uno scontro totale per la vita e per la morte.
Sentimmo che era in gioco la ragione per cui scriviamo questo nome «antifascismo» e lo portiamo dentro l’animo nostro, le nostre carni, la nostra vita e lo facciamo vivere nelle nostre bandiere.
Fummo costretti a combattere un nemico totale, implacabile, che non chiedeva questo o quello, ma che voleva tutto, che mirava al dominio del mondo. Perciò in quei giorni sentimmo che ci giocavamo tutto e che si discuteva non della sorte di uno o di altri e nemmeno di un solo popolo ma davvero di qualcosa di profondo e di generale.
Scoprimmo un orizzonte nuovo, imparammo cose che fino ad allora a tanti di noi, quale che fosse la loro corrente, ancora non erano pienamente chiare. Scoprimmo un senso dell’uomo, una concezione nuova della libertà, una visione dei popoli, della loro identità, della loro storia. E imparammo che la libertà non poteva essere divisa e valere solo per alcuni e non per altri e l’indipendenza non poteva essere riconosciuta a un popolo senza che fosse minacciata poi anche per altri popoli (…).
Non per caso si trovarono improvvisamente l’uno di fianco all’altro uomini che avevano pensieri distanti, uomini di fede cristiana e altri di fede marxista, e collettivisti e liberali, e laici e socialisti. Ma tutti imparammo a condurre una battaglia comune per affermare la volontà di riconoscersi come nazione, di affermare il diritto e la capacità di decidere da sé. La vera vittoria che noi cercavamo non era solo colpire il nemico, ma fare crescere il popolo, la sua unità, la sua volontà di combattere e di difendere se stesso, la sua capacità di vivere un’esperienza comune. E così diventare più forti, ciascuno come individuo, conquistare una libertà più grande, una capacità di trasformare non solo piccole cose, ma tutta intera la vita intorno a noi (…).
Proprio questa grande speranza di fare crescere una vita del popolo, in cui non tutte le teste diventano uguali ma restano diverse e riescono lo stesso a ritrovarsi e a costruire insieme un avvenire comune, era quella che più odiavano gli uomini della strage di Piazza della Loggia. Avevano paura che ci incontrassimo, che ci ritrovassimo. Questo volevano colpire e distruggere. Perché la crescita di questo grande incontro, di questa civiltà nuova di un mondo del lavoro che si organizza, non solo era la negazione totale del fascismo, ma era un fatto straordinario. È la grande impresa cominciata in questo secolo e che, se riusciremo a farla camminare, romperà domini secolari, spezzerà antiche oligarchie, chiamerà ciascuno di noi finalmente a pensare, vivere, organizzarsi in modo nuovo. Perciò quello che avvenne il 28 di maggio del 1974 a Brescia non fu un episodio tra i tanti, ma fu un punto nodale di un grande scontro nella vita italiana. Dinnanzi a questo popolo che cresceva c’è stato chi, terrorizzato, mise in piedi e portò avanti la strategia della tensione che non fu solo morte e sangue, ma fu un disegno, un complotto, un tentativo di spaccare il Paese.
Chi spara e mette le bombe non vuole che ci siano organismi, partiti, sindacati, circoli, di idee diverse, che imparano a tessere un dialogo e a fare crescere la lotta comune. Non vuole che a contare siano molti perché chi vuole ridurre la vita dell’Italia a uno scontro di killer ha voi lavoratori nel mirino. Vi vuole cacciare dentro le case, vuole bloccare le assemblee in cui si discute, colpire quello che invece noi vogliamo ardentemente. Quante volte hanno raccontato, nei secoli, che chi decideva erano quelli che stavano in alto? E voi avete sperato, insieme, che venisse un tempo in cui non decide uno o un altro, ma tutti insieme. Questa speranza della politica è di tutti, non la lasceremo morire, la porteremo avanti con tutte le forze nostre.
Perché abbiamo imparato che così davvero possiamo contare e fare crescere noi stessi. Se ci dividiamo, se ci rompiamo, se abbiamo paura, se ci chiudiamo nelle case, se lasciamo la decisione alla pistola e alle bombe tutti perdiamo il meglio di noi stessi e alla fine, anche quando viene ammazzato uno che non è della parte nostra, siamo anche noi che paghiamo perché diventiamo più deboli (…). Noi rispondiamo che vogliamo e possiamo difendere insieme il diritto alla vita, il diritto alla libertà e al tempo stesso l’unità del nostro Paese senza cancellare le differenze, il confronto delle idee, proprio perché abbiamo imparato a concepire l’unità non come qualcosa in cui diventiamo tutti uguali e tutti gli stessi, ma come ricchezza, creatività, pluralità di idee che però sa darsi un orizzonte, un progetto, un metodo comune. La democrazia voluta nella Costituzione sa aprire nuovi orizzonti, sa rinnovare la vita nostra, sa correggere guasti, ingiustizie, sa cancellare oppressioni. E qui c’è un messaggio che dobbiamo far arrivare alle nuove generazioni per impedire che passi chi predica ai giovani sfiducia, chi insinua il disprezzo della libertà e della vita comunitaria, chi addirittura gli dice ma sì, dedicati all’esaltazione della prepotenza, buttati alla guerra dell’uomo contro l’uomo.
Testo tratto dal discorso di Pietro Ingrao a Brescia per il quinto anniversario della strage di Piazza della Loggia
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