Presidente Monti, se 46 giorni bastano batta un colpo

Se 46 giorni di digiuno a staffetta vi paion pochi. Così avrei voglia di rivolgermi al Presidente del Consiglio Monti a cui ci siamo rivolti 47 giorni fa con una «Lettera aperta» per chiedere un provvedimento contro il sovraffollamento delle carceri.

Se 46 giorni di digiuno a staffetta vi paion pochi. Così avrei voglia di rivolgermi al Presidente del Consiglio Monti a cui ci siamo rivolti 47 giorni fa con una «Lettera aperta» per chiedere un provvedimento contro il sovraffollamento delle carceri.
La mobilitazione coinvolge decine di rappresentanti delle maggiori associazioni che si occupano di giustizia e di carcere e di venti garanti dei diritti dei detenuti con una richiesta semplice e ultimativa al governo: subito un decreto legge per far cessare lo stato di illegalità delle prigioni e per cancellare le norme più vergognose e “affolla-carcere” della legge sulle droghe, alla radice della crescita incontrollata del numero dei detenuti. La lettera era stata inviata anche alla ministra della Giustizia Severino e al Ministro Riccardi. Nessuno dei destinatari dell’Appello ha ritenuto di rispondere anche con un minimo cenno. Ieri mi sono chiesto se siamo di fronte a un governo di tecnici o di maleducati. Ora non conosciamo la sorte del governo Monti, ma insisteremo fino all’ultimo minuto politicamente utile, cioè fino allo scioglimento delle camere nella richiesta di un provvedimento giusto, costituzionalmente motivato e indispensabile per rispondere all’invito del presidente Napolitano che ha invitato all’approvazione di misure strutturali per superare una condizione carceraria che vanifica l’art. 27 della Costituzione (oltre a umiliare l’Italia in Europa).
Ripeto fino alla noia che il sovraffollamento non è una calamità naturale né un mostro invincibile ma il prodotto di leggi criminogene che hanno provocato il disastro. L’anno scorso sono entrate in prigione per violazione della normativa antidroga 28.000 persone (fra consumatori, piccoli spacciatori o coltivatori di una piantina di canapa), mentre sono oltre 15.000 i tossicodipendenti ristretti su un totale di 68.000: insomma la metà dei detenuti ammassati e stipati nelle patrie galere hanno a che fare con la legge sulle droghe. Il presidente Napolitano ha parlato di una questione di «prepotente urgenza»: questa affermazione, se non la si vuole far diventare un mero esercizio di retorica, obbliga il governo a fare qualcosa, a compiere cioè un atto che eviti l’arresto agli accusati di fatti di lieve entità riguardo alla detenzione di sostanze stupefacenti e per far uscire i tossicodipendenti e destinarli a programmi alternativi (oggi preclusi da vincoli assurdi e dall’applicazione della legge Cirielli sulla recidiva).
La richiesta che avanziamo non è estremista, anzi è pacata e ragionevole. Anche il Consiglio superiore della magistratura ha presentato una proposta per affrontare il sovraffollamento carceri elaborata da una commissione presieduta dal prof. Glauco Giostra. Il documento è stato presentato il 29 novembre a Roma, purtroppo la ministra Severino ha disertato l’incontro. Avrebbe ascoltato una relazione impegnata nella condanna della logica emergenziale che ha caratterizzato per tanti anni gli interventi dei governi per limitare la concessione di misure alternative e soprattutto la proposta di adozione con decreto legge delle proposte di modifica normativa più significative tra cui quelle in materia di stupefacenti e recidiva.
I soggetti deboli e fragili che affollano il carcere subiscono la violenza del potere e vivono senza speranza. Non immaginano rivolte ma protestano nel silenzio delle parole, con il linguaggio del corpo, cancellando la propria vita o con atti gravi di autolesionismo. Il sangue scorre in carcere e l’indifferenza cinica è responsabile di una strage annunciata.
I protagonisti della catena non vogliono essere complici, neppure per omissione.

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