INTERVISTA – Incontro con Sylvain George che ha portato al Tff e a Filmmaker «Vers Madrid-The Burning Bright!», un documentario sulle mobilitazioni sociali degli M-15
INTERVISTA – Incontro con Sylvain George che ha portato al Tff e a Filmmaker «Vers Madrid-The Burning Bright!», un documentario sulle mobilitazioni sociali degli M-15
TORINO. «Dopo i fatti spagnoli sono andato a Madrid C’era un’energia incredibile, la gente unita a lottare per una causa importante» Gli studi sono di filosofia, la passione è per il cinema, tra sperimentazione e poesia, politica e musica: Sylvain George vive e lavora a Parigi. Portano la data 2005 le prime due parti di Contrefeux, serie in quattro episodi attorno a interrogativi sulla vita in Europa, oggi, realizzata negli anni successivi assieme ad altri corti. Nel 2009 è per la prima volta al Tff con L’impossible – Pages arrachées, torna nel 2010 con Qu’ils réposent en revolte (premio Fipresci al Bafici di Buenos Aires) e l’anno scorso vincendo con Les Éclats (ma gueule, ma révolte, mon nom) nella sezione «internazionale.doc». Abbiamo incontrato Sylvain George per parlare di Vers Madrid, passato fuori programma al Tffdoc venerdì 30 novembre, per essere in concorso il giorno dopo a Filmmaker di Milano.
Come mai hai deciso di filmare il movimento M-15?
Vers Madrid-The Burning Bright! si è imposto in funzione delle circostanze e più precisamente degli avvenimenti politici e delle mobilitazioni sociali e politici in atto in Spagna da oltre un anno ormai. M15 prende il nome dal 15 maggio 2011 in cui questo movimento era nato subito dopo le Primavere arabe: mi ero chiesto, come molte altre persone, se siamo davanti a una nuova rivoluzione nell’occidente, la prima del XXI secolo nelle società del benessere. Da qui mi è nata la voglia di vedere da vicino, per comprendere. Mi sono recato sul luogo con l’idea di fare qualche ripresa, senza pensare di farne un film. Anche perché non conoscevo Madrid, né parlo lo spagnolo. Volevo «esserci». Poi, una volta là, ho sentito l’atmosfera, l’energia formidabile che regnava nelle strade e nelle piazze. Era straordinario il modo in cui tutta questa gente parlava di politica nelle assemblee di quartiere, tutti insieme per un fine comune. Non avevo mai visto prima tante persone muoversi nelle strade…
Sei rimasto sempre da solo, visto che non parli spagnolo?
Qualche contatto sono riuscito a crearlo, ho filmato ovviamente con il limite della lingua e del fatto di avere poco tempo a disposizione. Ciò ha prodotto uno «straniamento», esperienza alquanto frustrante perché ovviamente molte «verità del momento» mi sono sfuggite e inoltre non disponevo di molte informazioni. Ho voluto però essere il più vicino possibile ai fatti, a ciò che mi sembrava il fulcro più evidente: il fatto che si tornasse di nuovo a parlare di politica e anche nelle interviste ho cercato di evitare di focalizzarmi su singoli individui, come si usa nei documentari più tradizionali.
Quante volte ci sei andato dato che proponi varie fasi delle proteste?
Dapprima due volte per una settimana nel 2011, poi altre due nei mesi di maggio e luglio nel 2012 e un’ultima volta nel settembre scorso. Per vari motivi non sono riuscito né a trovare fondi per la produzione né quindi a essere più presente per filmare. Piano piano ho raccolto molto materiale interessante così da mettermi subito al lavoro.
Come è avvenuta la selezione
Ho cercato una «forma» adatta alle intenzioni del movimento, al desiderio di scendere in piazza, all’assenza di fondi produttivi e al fatto di non aver potuto realizzare un lavoro «a immersione» o di lunga osservazione. Da quasi subito ho pensato alla newsreel nell’idea di Robert Kramer ai tempi del 68 e che per altro rinvia al «cineocchio» di Dziga Vertov nei primi anni del XX secolo in Russia o alle esperienze del gruppo Medvekine. Rimanda anche all’istantaneità dei filmati girati coi telefonini o altre piccole macchine per essere postati su internet dagli stessi attivisti o da chi desidera contribuire con proprie testimonianze filmate. Inoltre, questa modalità «newsreel» può servire al contempo ad analizzare la totale disinformazione nella stessa Spagna, dove i grandi media sono agli ordini del potere, modificano la realtà, non parlano di ciò che davvero accade nelle piazze. Ho invertito la dialettica solita e ho inserito anche elementi «assenti» o «mancanti». Nel creare questa «newsreel sperimentale» ho volutamente evitato la costruzione di personaggi o di piccole storie, per concentrarmi sulle singolarità, ossia le persone, le discussioni, le lotte politiche, lontano da una poetica aristotelica (inizio, sviluppo, fine, della storia, ndr) puntando sul flusso ininterrotto delle energie… A mio modo ho aggiunto un mattone alla «rivoluzione spagnola».
Alla fine del film citi Garçia Lorca e Walter Benjamin, un binomio intrigante…
Sono inviti alla riflessione. Le frasi di Benjamin sono estratte dalle sue tesi sulla filosofia della storia, dove lui antepone un concetto di storia incentrato sulla liberazione dal passato e da un presente che ci opprime. Sono tesi in cui si legge anche un nuovo concetto di rivoluzione, per esempio l’idea che in ogni istante un qualsiasi atto rivoluzionario può invertire l’ordine delle cose e quindi il corso della storia. Benjamin usa metafore illuminanti per spiegarci le sue tesi rivoluzionarie: il salto della tigre nel passato per esplorare quelle epoche, o i girasoli voltati verso il sole, la luce, per esprimere il nutrimento dell’evento rivoluzionario.
Come le hai messe in relazione con la Plaza Puerta del Sol?
Attraverso il poema di Wiliam Blake, Tiger, in cui ci vengono descritte bellezza e forza rivoluzionaria della tigre, nonché Romancero gitano di Lorca. La figura del poeta andaluso mi si era imposta a poco a poco, in primo luogo essendo la sua vita tragicamente legata al franchismo e in secondo luogo perché è una figura ancora oggi estrema attualità: nella fossa comune in cui dovevano giacere i resti del suo corpo non sono state rinvenute le sue ossa. Ciò ha suscitato non poche polemiche. La triste eredità del franchismo è una problematica che si pone proprio a causa del M15: mettere in questione il sistema politico vuol dire analizzare la sopravvivenza del sistema franchista, in qualche modo la deriva di gran parte dell’ideologia attuale.
«Romancero gitano» è il il filo rosso?
Le tre parti del film riprendono il termine «romancero» in riferimento diretto al testo di Lorca, così come il gioco con le forme, i colori e la sostanza del fuoco sviluppano alcune sue metafore poetiche. Cinematograficamente, ho voluto raccontare alcune realtà per (far) parlare della rivoluzione spagnola, a partire da cosiddette vedute documentaristiche e dall’invenzione di immagini, e metafore poetiche e pittoriche.
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