La storia di uno dei più gravi incidenti sul lavoro in Italia: da pochi giorni è cominciato il processo di appello

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Il rogo alla ThyssenKrupp, 5 anni fa

Il rogo alla ThyssenKrupp, 5 anni fa

La storia di uno dei più gravi incidenti sul lavoro in Italia: da pochi giorni è cominciato il processo di appello

Il rogo alla ThyssenKrupp, 5 anni fa

La storia di uno dei più gravi incidenti sul lavoro in Italia: da pochi giorni è cominciato il processo di appello

Intorno all’una della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, sulla linea 5 dell’acciaieria di Torino della ditta ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni, un getto di olio bollente in pressione investì un gruppo di otto operai dell’azienda. Nel corso del mese successivo morirono sette di loro: Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi (il più giovane, 26 anni), Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino.

Degli operai coinvolti nell’incidente, l’unico superstite e testimone oculare si chiama Antonio Boccuzzi: al momento dell’incidente aveva 34 anni, lavorava nella Thyssen da 13 ed era un sindacalista della UILM. Alle successive elezioni del 2008 venne candidato con il Partito Democratico e attualmente è deputato. Il suo ruolo è stato centrale nella denuncia delle colpe dell’azienda.

Le denunce
Dopo l’incidente, i sindacati denunciarono immediatamente l’inadeguatezza delle misure di sicurezza nello stabilimento, in cui lavoravano circa 200 persone. Boccuzzi e gli altri operai accorsi sul posto dell’incidente parlarono di estintori scarichi, telefoni isolati, idranti malfunzionanti, assenza di personale specializzato. Non solo: venne fuori che alcuni degli operai coinvolti nell’incidente lavoravano ininterrottamente da dodici ore, avendo accumulato quattro ore di straordinario. Lo stabilimento Thyssen di Torino, in corso Regina Margherita, era in via di dismissione e le linee produttive dovevano essere portate a Terni: venne fuori che da tempo l’azienda non investiva adeguatamente nelle misure di sicurezza e nei corsi di formazione. Sei operai su otto, tra quelli feriti, non avevano ricevuto alcuna formazione antincendio.

Questo è il racconto dell’incidente – e di quello che non funzionò – reso il giorno dopo da Antonio Boccuzzi.

La reazione dell’azienda
La ThyssenKrupp, la più importante azienda d’Europa nel settore siderurgico, negò di avere responsabilità e mostrò fin dal primo momento un atteggiamento piuttosto ostile alla magistratura e all’opinione pubblica, scossa dalla gravità dell’incidente. Accusò gli operai morti di avere provocato l’incidente con loro distrazioni e addirittura con “colpe”, poi si corresse e parlò di “errori dovuti a circostanze sfavorevoli”.

Nel corso delle indagini, la Guardia di Finanza sequestrò ad Harald Hespenhahn, amministratore delegato, un documento riservato in cui si leggeva che Antonio Boccuzzi – che intanto continuava a raccontare quanto aveva visto sui giornali e in tv – «va fermato con azioni legali». Il documento criticava pesantemente il pubblico ministero di Torino, Raffaele Guariniello, e l’allora ministro del Lavoro del governo Prodi, Cesare Damiano (del neonato PD, ex sindacalista della FIOM-CGIL) sul quale non poter fare affidamento perché schierato dalla parte dei lavoratori.

Il rinvio a giudizio e il processo
Le indagini si chiusero in un tempo relativamente breve. La procura di Torino chiese il rinvio a giudizio per sei tra i massimi dirigenti dell’azienda tedesca e il giudice dell’udienza preliminare accolse le tesi dell’accusa: il presunto reato era omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso. Incendio doloso e omicidio colposo con colpa cosciente per gli altri imputati, dirigenti dello stabilimento di Torino.

Questo perché, si leggeva nel dispositivo, «pur rappresentadosi la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali, in quanto a conoscenza di più fatti e documenti» e «accettando il rischio del verificarsi di infortuni anche mortali sulla linea 5», i dirigenti avrebbero «cagionato» la morte dei sette operai omettendo «di adottare misure tecniche, organizzative, procedurali, di prevenzione e protezione contro gli incendi».

Il processo cominciò a gennaio del 2009. Durante le udienze emersero altri particolari del funzionamento dello stabilimento. Un operaio raccontò che la fabbrica veniva pulita solo in corrispondenza delle visite della ASL. Un altro operaio raccontò che l’impianto si fermava solo in caso di problemi alla produzione, se no si interveniva con la linea in movimento. Altri testimoni raccontarono che gli incendi sulla linea 5 erano molto frequenti ma gli operai venivano invitati a usare il meno possibile il pulsante di allarme.

Risarcimento danni e sentenze
Lo stabilimento di Torino è stato chiuso nel marzo del 2008 con un accordo tra la ThyssenKrupp, i sindacati, le istituzioni locali e i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, in anticipo sulla data prevista. Il primo luglio del 2008 la ThyssenKrupp ha versato quasi 13 milioni di euro alle famiglie dei sette operai uccisi, e queste si sono impegnate a non costituirsi parte civile.

La sentenza di primo grado della seconda Corte d’assise di Torino è arrivata il 15 aprile 2011. I giudici hanno accolto in pieno la tesi dell’accusa. L’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario, è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione. Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento di Torino, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, membri del comitato esecutivo dell’azienda, sono stati condannati a 13 anni e 6 mesi per omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) e omissione delle cautele antinfortunistiche. Daniele Moroni, membro del comitato esecutivo dell’azienda, è stato condannato a 10 anni e 10 mesi.

La novità della sentenza di primo grado fu che per la prima volta, in un caso di incidente sul lavoro, ci fu una condanna per omicidio volontario. Alcuni dei dirigenti, tra cui Marco Pucci, allora responsabile del marketing, non erano mai stati nello stabilimento di Torino prima dell’incidente. Harald Espenhahn lasciò il posto di amministratore delegato di Thyssen Acciai Speciali Terni allo stesso Pucci e oggi guida lo stabilimento di Bochum, in Germania.

La linea 5 dell’acciaieria è ancora sotto sequestro, ferma nell’enorme capannone alla periferia di Torino. Pochi giorni fa, la mattina del 28 novembre, è cominciato a Torino il processo d’appello. La tesi della difesa sarà quella di evidenziare le responsabilità che avrebbe avuto, nell’incidente, un comportamento scorretto degli operai, di cui sarebbero emerse alcune prove già durante il processo di primo grado: una linea che il comitato dei lavoratori ThyssenKrupp ha già criticato come «ignobile».

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