SOCCORSO ROSSO

Senza l’assillo vendoliano sulle primarie per scegliere il candidato premier della coalizione di centrosinistra, questo strumento di democrazia politica probabilmente non avrebbe fatto molta strada, prima nel dibattito politico nazionale, poi nella concretezza delle ultime campagne elettorali, a cominciare da quella che incoronò Romano Prodi. Primarie tanto strenuamente sostenute dal leader di Sel da essere diventate sinonimo di «nuova politica», «alternativa democratica», «rinnovamento della classe dirigente».

Senza l’assillo vendoliano sulle primarie per scegliere il candidato premier della coalizione di centrosinistra, questo strumento di democrazia politica probabilmente non avrebbe fatto molta strada, prima nel dibattito politico nazionale, poi nella concretezza delle ultime campagne elettorali, a cominciare da quella che incoronò Romano Prodi. Primarie tanto strenuamente sostenute dal leader di Sel da essere diventate sinonimo di «nuova politica», «alternativa democratica», «rinnovamento della classe dirigente».
Desta così qualche stupore l’incertezza manifestata in queste ore da Nichi Vendola sull’opportunità di una sua candidatura nella corsa verso la leadership dello schieramento di centrosinistra. Specialmente se motivata con la necessità di capire la sua posizione nell’inchiesta che lo vede coinvolto nello scandalo della sanità in Puglia. Una vicenda indubbiamente seria, ma nota da tempo.
Più verosimile è invece il fatto che questa storia delle primarie ha assunto una piega inedita con la candidatura del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, configurando una sua incongrua sovrapposizione con una battaglia tutta interna alla linea politica del Pd, come se le primarie avessero decisamente sterzato deragliando dall’iniziale percorso: non più una contesa per l’investitura del futuro candidato alla guida del centrosinistra ma un cavallo di Troia congressuale per diradare le nebbie di un partito, il Pd, alla ricerca della propria identità. Al punto che ai nastri di partenza di queste elezioni primarie sono più i nomi piddini che quelli esterni al partito di Bersani. Con il rischio, per il segretario del partito, di non raggiungere una maggioranza significativa di consensi. Dunque un passo indietro, un soccorso rosso vendoliano per rafforzare Bersani.
Se sta qui il vero motivo della mossa di Vendola, è naturale porgli qualche domanda.
Non sarebbe questa nuova contendibilità della leadership nazionale e di governo una ragione importante per condurre in campo aperto una battaglia di contenuti? E, di conseguenza, non sarebbe un’ammissione di subalternità politica fare un passo indietro e così disinnescare la scommessa «contro il populismo e il liberismo» di cui il leader di Sel continua a professarsi alfiere? Se allearsi con il Pd non significa ammainare la bandiera di un’alternativa di sistema (e la firma di Vendola per i referendum sull’articolo 8 e 18 lo testimonia) sottrarsi alla sfida delle primarie non contraddice clamorosamente quella firma?
La situazione politica italiana somiglia oggi a un’equazione con troppe incognite. A cominciare dall’indecoroso balletto dei partiti sulla legge elettorale, proseguendo con la pantomima di Berlusconi, fino alle spericolate prove tecniche di democrazia telematica di Grillo. Aggiungere al menù anche questa partita a scacchi sulle primarie certo non aiuta lo sfiduciato elettore a ritrovare la speranza di una sinistra unita, come la durezza della crisi sociale pretenderebbe.

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