Giustizia è fatta ma troppi interrogativi in sospeso sulla regia del sequestro. Restiamo umani GAZA La Corte militare chiude con pesanti condanne il processo per l’omicidio di Vittorio Arrigoni Carcere a vita e lavori forzati ai due esecutori, 10 anni all’ex amico del pacifista Giustizia è fatta, commenterà qualcuno. Che amarezza però. Ci sarebbe più di un motivo per essere soddisfatti. Gli imputati sono stati condannati per il delitto che avevano confessato eppure la tristezza è tanta in queste ore. Nessuna condanna potrà ridarci Vik.
Giustizia è fatta ma troppi interrogativi in sospeso sulla regia del sequestro. Restiamo umani GAZA La Corte militare chiude con pesanti condanne il processo per l’omicidio di Vittorio Arrigoni Carcere a vita e lavori forzati ai due esecutori, 10 anni all’ex amico del pacifista Giustizia è fatta, commenterà qualcuno. Che amarezza però. Ci sarebbe più di un motivo per essere soddisfatti. Gli imputati sono stati condannati per il delitto che avevano confessato eppure la tristezza è tanta in queste ore. Nessuna condanna potrà ridarci Vik. Neppure quella severa inflitta ieri dalla corte militare di Gaza city ai quattro giovani palestinesi accusati del sequestro e dell’omicidio del giovane attivista e giornalista che, come nessuno nella sinistra italiana di questi ultimi anni, aveva saputo attirare tanta attenzione verso la causa dei palestinesi di Gaza. Il pensiero corre in queste ore alla madre e alla sorella di Vittorio. Come hanno accolto la sentenza, ci chiediamo. Due donne che con fermezza e dignità, nel rispetto degli ideali di Vik, si erano subito espresse contro la condanna a morte degli assassini. «Vogliamo giustizia» non vendetta scrissero in una lettera inviata ai famigliari degli imputati che imploravano clemenza.
I giudici ieri hanno inflitto il carcere a vita e un periodo di lavori forzati a Mahmud Salfiti e Tamer Hasasna, due esecutori materiali del sequestro ideato assieme al giordano Abdel Rahman Breizat e al palestinese Bilal Omari, entrambi rimasti uccisi in un conflitto a fuoco con la polizia di Hamas. Ad un anno di carcere è stato condannato Amr al Ghoula, il fiancheggiatore che aiutò tre membri del gruppo a nascondersi dopo l’assassinio. Al Ghoula è già a piede libero da mesi.
Dieci anni di prigione dovrà scontare Khader Jiram, vigile del fuoco e amico di Vittorio Arrigoni, accusato di aver fornito informazioni decisive ai killer sui movimenti dell’italiano a Gaza. Questa condanna se da un lato può apparire adeguata al reato commesso da Jram – che non ha preso parte diretta al rapimento e all’assassinio – dall’altro provoca tanta rabbia. Jram a ben guardare è il più colpevole di tutti perché conosceva Vik che lo aveva anche citato in uno dei suoi racconti, dopo un attacco aereo alla stazione dei vigili del fuoco sul lungomare di Gaza city. Jram avrebbe dovuto respingere la richiesta di Hasasna di «tenere d’occhio» l’italiano per capirne i movimenti e le abitudini. Si prestò invece all’organizzazione di un crimine contro un attivista impegnato a diffondere le ragioni dei palestinesi sotto occupazione, che quotidianamente andava nei campi coltivati della «zona cuscinetto» per proteggere, con la sua sola presenza, i contadini dagli spari israeliani. Un giovane coraggioso che aveva passato mesi assieme ai pescatori di Gaza tenuti sotto tiro dalla Marina militare israeliana. Durante l’interrogatorio Jram spiegò agli investigatori di aver accettato di seguire i movimenti di Vittorio «perché non poteva respingere l’insistenza di Hasasna». E per quella insistenza ha tradito e fatto uccidere un amico. Certo anche Bilal Omari, che pure conosceva Vittorio, merita disprezzo ma lui ha pagato con la vita il crimine che ha commesso.
Vittorio fu rapito da una cellula del gruppo qaedista Tawhid wal Jihad, rivale di Hamas, la sera del 13 aprile 2011. Abdel Rahman Breizat, il capo della cellula, sperava di convincere il governo di Hamas a rilasciare un leader salafita, Hisham al-Saidni, un teorico del salafismo jihadista arrestato a Gaza qualche settimana prima. Vik fu mostrato il giorno successivo bendato e gravemente ferito alla testa in un video postato in internet dai sequestratori. Nelle ore successive la polizia fu in grado di inviduare la casa dove l’italiano veniva tenuto ostaggio ma prima che le forze speciali di Hamas facessero irruzione nell’appartamento a nord di Gaza, i rapitori uccisero Vittorio, peraltro ben prima dello scadere dell’ultimatum fissato per il rilascio di Saidni. Hasasna e Jmar furono arrestati subito. Breizat, Omari e Salfiti provano a fuggire ma furono individuati in un appartamento di Nusseirat dalla polizia. Dopo un lungo assedio Breizat e Omari morirono in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza dai contorni mai chiariti del tutto. Salfiti, rimasto ferito ad una gamba, fu arrestato e incarcerato. Saidni è stato recentemente liberato senza imputazioni dopo essersi impegnato a non disturbare l’ordine pubblico, ha annunciato Hamas. Il gruppo Tawhid wal Jihad non ha ancora commentato la sentenza.
La severa condanna per due dei quattro imputati ha parzialmente legittimato le autorità giudiziare di Gaza, dopo un processo zoppicante, segnato da udienze brevissime e da rinvii inattesi e dall’assenza di un vero dibattimento. Forse Hamas ha voluto dare un segnale all’Italia e ai tanti amici e compagni di Vik che chiedevano giustizia. Questa sentenza però chiude solo una parte della vicenda. Troppi interrogativi rimangono senza una risposta. I rapitori hanno agito per conto di un regista esterno? Avevano deciso di eliminare in ogni caso Vittorio? Sono gli unici colpevoli? A noi resta una sola certezza: la scomparsa di un giovane che amava Gaza – non Hamas come ha affermato ieri un giornalista italiano -, che credeva nella giustizia, nella legalità, dei diritti di tutti i popoli. Nel rispetto della dignità dell’uomo. «Restiamo Umani» ci diceva sempre. Sì, Vik, resteremo umani, anche grazie a te.
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