I dubbi tardivi del ministro Terzi

Strano modo per fare autocritica. Un convegno molto ufficiale, molto ingessato, molto chiuso, molto selezionato come quello di ieri alla Farnesina». E così tardivo da indurre qualche sospetto sui suoi reali obiettivi. L’Italia dopo aver fatto l’impossibile per non vedere quelle che l’organizzatore dell’evento, il ministro degli esteri Giulio Terzi, ha definito «atrocità  mostruose», per tutto il tempo del regime militare (’76-’83) scelse poi di «tacere o minimizzare» il massacro dei 30 mila desaparecidos (fra cui 1600 italiani o italo-argentini). Ci vollero quasi 20 anni perché il governo italiano decidesse di costituirsi parte civile nei processi di Roma, in contumacia, contro alcuni dei genocidi.

Strano modo per fare autocritica. Un convegno molto ufficiale, molto ingessato, molto chiuso, molto selezionato come quello di ieri alla Farnesina». E così tardivo da indurre qualche sospetto sui suoi reali obiettivi. L’Italia dopo aver fatto l’impossibile per non vedere quelle che l’organizzatore dell’evento, il ministro degli esteri Giulio Terzi, ha definito «atrocità  mostruose», per tutto il tempo del regime militare (’76-’83) scelse poi di «tacere o minimizzare» il massacro dei 30 mila desaparecidos (fra cui 1600 italiani o italo-argentini). Ci vollero quasi 20 anni perché il governo italiano decidesse di costituirsi parte civile nei processi di Roma, in contumacia, contro alcuni dei genocidi.
Ieri Terzi è sembrato scendere dal pero quando, mescolando i suoi ricordi di giovane diplomatico di primo pelo ai tempi della tragedia argentina, ha detto di essersi più volte domandato, allora, «la ragione per la quale l’Italia tenesse una posizione defilata nella crisi argentina», le ragioni di «alcuni eccessi di prudenza di istituzioni italiane» (fra cui il suo antico collega a Buenos Aires, l’ambasciatore Enrico Carrara, che nell’agosto ’76, dichiarava impudicamente: «Qui mi sembra che la questione dell’ordine pubblico sia stata brillantemente risolta»).
Dove viveva allora e dove vive oggi il ministro Terzi? Per rispondere ai suoi dubbi e domande giovanili, basta l’elenco (parziale) di qualche nome che circolava in quel tempo: i dc Rumor, Andreotti, Moro, Forlani, Malfatti fra palazzo Chigi e la Farnesina; il cardinale Pio Laghi (il compagno di tennis di Massera) alla nunziatura e papa Wojtyla in Vaticano; Gelli, Ortolani e Calvi di casa a Buenos Aires e Montevideo; i piduisti Tassan Din e Franco di Bella al Corriere della sera; Fiat, Pirelli, Eni, Magneti Marelli, Techint, Banco di Napoli, Bnl, Banco ambrosiano, il Corsera presentissimi in Argentina; Pci e Cgil a far da muro per troppo tempo e l’Unità a sostenere troppo a lungo la follia di un Videla «moderato» e «male minore»… Basterebbe aprire gli archivi (ma tutti) della Farnesina perché anche il ministro Terzi capisse l’antifona. E basterebbe che Claudio Tognonato facesse arrivare a Terzi una copia del recente libro da lui curato «Affari nostri – Diritti umani e rapporti internazionali fra Italia e Argentina». A parte il giovane diplomatico Terzi, e Giulio Andreotti che ancora nel 2001 osava dire «non sapevo niente», in Italia tutti sapevano fin dall’inizio. Purtroppo aveva ragione Massera che, intervistato, nell’82 disse: «Anche da voi si sapeva tutto».

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Ieri 14 ergastoli

Un tribunale argentino ha condannato ieri 14 persone all’ergastolo e altre tre a pene comprese tra i 17 e i 18 anni di carcere per «crimini contro l’umanità» commessi durante il periodo della dittatura (1976-1983) a Bahia Blanca, nel sud del paese. Lo scrive l’agenzia France Press citando fonti giudiziarie. L’inchiesta era focalizzata sui crimini messi in atto da alcuni vecchi militari dell’esercito o delle forze di sicurezza contro 90 prigionieri in un campo di detenzione clandestino allestito nella città. Tra le vittime due donne incinte, entrambe scomparse insieme ai loro bambini.

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