L’ultimo recital e gli occhi di à‰dith

Chiacchiere parigine: la Piaf muore in scena come Molière 

Chiacchiere parigine: la Piaf muore in scena come Molière  Citazioni rétro.

«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi»… Voce allora einaudiana (di Cesare Pavese) di un esistenzialismo subalpino corrispondente alle caves tipo Juliette Gréco… E al chiacchiericcio parigino intorno all’ultimo récital di Édith Piaf: «Morirà in scena come Molière, magari cantando Je ne regrette rien, e magari proprio la sera per cui abbiamo i biglietti?»… Nonché, contemporaneamente al Giovanotto e la morte di Cocteau e Petit, rivisto a Caracalla dopo tanto tempo con Roberto Bolle pupone pieno di salute, e con una Morte partner in un pas-de-deux ove gli occhi — nella vastità sconfinata — bisognava presumerli con l’Immaginazione…
«Ce soir, on ira dansersans chemiseet sans pantalon»… E riecco Guido Alberti caratterista beato fra i «Peccatori in blue jeans», in margine al patronato del Premio Strega, quando Maria e Goffredo Bellonci erano ancora vispissimi, e si faceva dello spirito su «l’aquila a due tette» e «il grullo del focolare». Gran voga di soprannomi e nomignoli: pancia competente, l’incantatore di sergenti, l’amaro gambarotta.
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Considerazioni di fine-estate.
Occorrerà tirar fuori nuovi giovani, nuove crescite, nuovi sviluppi? E soprattutto nel nostro Paese, mettere in campo e in giuoco nuove vitalità o gradualità o alternative di idee, politiche, classi dirigenti? O digerenti? Creative, pure? («Ma de che?»).
Se lo domandano autorevolmente i più prestigiosi organi.
Come già negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta, del secolo precedente? Corsi e ricorsi di scioperi generazionali?
Ma i più indignati — secondo gli organi — vogliono soprattutto maggiore austerità, nell’attuale paesaggio di rovine etiche ed etniche verso un futuro di progresso formale, sostanziale e globale? O non cominceranno a pretendere poteri più forti per se stessi?
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Ancora pantaloni? Esce in California uno studio post-universitario di sociologia post-semiotica sulla iper-ordinarietà dei blue jeans, a cura di ricercatori. Chissà se menzionano che tanti anni fa i blue jeans ebbero i primi successi presentando un suggestivo davanti e un lusinghiero dietro, segni o feticci di maschilità emblematica, prima delle omologazioni. Si trovavano solo in un mercatino di Genova, allora.
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In Germania, una nuova biografia di Rainer Werner Fassbinder, morto trent’anni fa. Torna allora in mente il suo amico Armin Meier, suicida dopo essere apparso con lui in Deutschland im Herbst ove buttano le provviste di droga nel cesso, a causa delle perquisizioni poliziesche verso la fine degli anni Settanta, in seguito al tenebroso affare Baader-Meinhof, col suicidio probabile in carcere di una terrorista amica, ex moglie del direttore di un Playboy amburghese.
Armin era un avvenente macellaretto di Regensburg, cittadina dove il fratello del Papa dirigeva il coro di voci bianche nel duomo, e un potente feudatario locale (secondo i reportages sul processo) rapiva e tormentava i piccoli figli dei suoi funzionari forestali. Aveva una macchinetta sport verde chiara inconfondibile a ogni meeting di motociclisti, e rifaceva benissimo i versi degli animali macellati. Era al suo meglio nei primi anni Settanta, ai bei tempi di «documenta 5» a Kassel. Ma dopo l’unione con Fassbinder divenne tristissimo, tenuto sottomesso, e la faccia andava riempiendosi di piccole cicatrici. Se poi si uccise, lasciando Fassbinder genuinamente disperato, evidentemente questi non gli disse mai «Be wonderful» come a Jeanne Moreau, secondo il gossip su Querelle de Brest.
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L’Angelus Novus di Klee, secondo la popolare interpretazione di Walter Benjamin, ha il viso rivolto al passato: una catastrofe totale. Occhi spalancati, bocca aperta, ali distese. Rovine su rovine, rovesciate ai suoi piedi. È forse l’Angelo della Storia?
Tutta diversa, l’iconografia napoleonica. Lo stendardo garrisce nel pugno sinistro per suggerimento di Joséphine, mentre la destra impugna la spada. Ma sui campi di Marengo o sul ponte d’Arcole o ad Austerlitz, il Primo Console o l’Imperatore si guarda indietro per animare le truppe verso la Vittoria. La musa della Storia attraversa le Alpi?
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Una biografia polacca ripropone dubbi circa Ryszard Kapuscinski e il suo «non credo all’obiettività formale», spesso in bilico fra giornalismo e spionaggio. Sempre trovandosi — unico testimone — in contrade esotiche di movimento e conflitto, tra «rivelazioni» di stereotipi orientalistici, costante impegno nelle «cause» più giuste, allegorie satiriche per iniziati nei paralleli fra povertà africane e miserie polacche circa i viaggi all’estero. Un passato di gioventù stalinista attivista, ricoperto ma ricattabile… E l’ostentato distacco da ogni interlocutore, in Polonia come all’estero…
Questo distacco, poco giornalistico, si notò anche a Napoli, in una serata di presentazioni librarie, ove la sua descrizione di un pesciolone mostruoso nutrito di cadaveri nel Lago Victoria naturalmente richiamava un celebre capitolo di Malaparte nella Pelle, con una sirena-bambina servita a un «pranzo Rinascimento» del comandante americano. Forse dal locale Acquario?… Ma vi fu indifferenza, mancanza di curiosità.
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Crescenti lettere ai giornali chiedono se «absolutely» (o «absolument», «assolutamente», ecc.) ha ormai definitivamente soppiantato la tradizionale affermazione «sì». Eppure, almeno in inglese, proprio «definitely» pareva una ferma risposta ai «really» o «actually» più o meno interrogativi.
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«Vado fuori all’aperto?… No, resto dentro al coperto!».
Che ridere, ai bei tempi, con Totò.
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«Ah, dimenticavo». «Udite! Udite!».
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«Un pezzo da novanta in sedicesimo?»
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Pinco Attacca. Pallino frena. Pippo non lo sa.

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