“Ecco perché noi terroristi gli consegnammo le armi”

L’ex brigatista: era l’unico ad ascoltarci, per lui recitammo il Padre nostro

L’ex brigatista: era l’unico ad ascoltarci, per lui recitammo il Padre nostro
MILANO — «Lo andai a trovare l’ultima volta pochi a mesi fa a Gallarate. Il cardinale era su una sedia a rotelle, la voce l’aveva quasi persa, non la lucidità. Al cappellano di San Vittore fece una battuta: mi hai movimentato la vita! Era così, un intellettuale ma molto umano». Ernesto Balducchi incrociò Carlo Maria Martini dal carcere. Era leader e armiere dei Comitati Comunisti Rivoluzionari. Gli scrisse. Il 13 giugno 1984 fece recapitare in Arcivescovado l’arsenale.
Balducchi, ricorda il primo incontro?
«Carcere di San Vittore, Natale 1983, il cardinale venne a dire messa ma noi ex terroristi rimanemmo nella sezione di massima sicurezza. Venne Martini nel braccio e fu colpito dalle condizioni. Il cortile di pochi metri quadrati, le pareti di cemento armato. Era spaesato. Ma ci disse di avere speranza. Uno di noi, mentre stava per andare, fece: già che ci siamo, perché non diciamo un Padre nostro insieme? E lo recitammo».
Poi gli scrisse, il 27 maggio 1984, preannunciandogli il recapito delle armi.
«La riflessione sulla dissociazione tra di noi, era matura da tempo. Seguivo i discorsi di Martini e Pappalardo sulla dimensione sociale del peccatore. Nacque l’idea di dare un riconoscimento a quella posizione di dialogo ma interlocutori nelle istituzioni non ne trovavamo. Lo Stato voleva solo che facessimo arrestare migliaia di persone. Martini parlava del recupero del peccatore. Uno dei pochi, non c’erano altre aperture».
Lo rivide?
«Nel 1985, una settimana dopo i primi benefici carcerari, con altri tre compagni. Il suo segretario Cortesi ruppe il ghiaccio, scherzando: c’è voluto del bello e del buono a convincere il cardinale a consegnare quelle armi! Martini aveva un’autorevolezza quasi fisica, era parco di parole, attento alle nostre. Lo ringraziai per il coraggio della sua scelta impopolare, in un’epoca in cui lo stato ci voleva morti e sepolti. E per aver corso un rischio per noi».
Cosa le rimane, del cardinale?
«Quel dialogo che aprì una breccia, ci diede una possibilità di rientrare nel dibattito sociale. E anche di dimostrare che le nostre intenzioni iniziali non erano tutte sbagliate. Mi rimane che sono qui, che ho un lavoro (la Radio Service, una piccola ditta di consegne in centro a Milano, ndr), una vita normale. Per la giustizia ero ancora un pericolo».

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