ISRAELE Serie di aggressioni senza giustificazioni
ISRAELE Serie di aggressioni senza giustificazioni
GERUSALEMME. Kikar Hahatulot è una piazza della zona ebraica di Gerusalemme, sempre affollata. Ogni sera decine o centinaia di adolescenti israeliani si riuniscono in questo spazio a breve distanza dalla centrale piazza Zion. Nei mesi estivi, quando scende la sera, è una delle zone più frequentate dai turisti stranieri. In Kikar Hahatulot le voci si sovrappongono. I ragazzi urlano, ridono, cantano mentre si organizzano per andare in discoteca. Non hanno più di 15-16 anni, come quelli che nella notte tra giovedì e venerdì hanno attaccato un coetaneo palestinese, Jamal Joulani, 17 anni, che passeggiava in quella zona assieme a tre amici. Jamal ha rischiato la morte, non smettevano di colpirlo con calci e pugni. Un linciaggio mancato di un soffio dice la polizia. I politici condannano però frenano sulle parole da usare. I motivi, dicono, «sono ancora da accertare» e allora meglio parlare di «aggressione», poi si vedrà.
E’ intervenuto anche Benyamin Netanyahu ma il premier israeliano, condannando l’accaduto ha privilegiato l’esaltazione, dei «valori democratici di Israele» che «rifiuta e non conosce il razzismo». Il primo ministro farebbe bene a leggere il verbale dell’udienza davanti alla corte di Gerusalemme dove sono apparsi quattro dei sette ragazzi israeliani fermati dalla polizia. Forse si farà un’idea più precisa di ciò che una bella porzione di giovani israeliani pensano dei «cugini» palestinesi. La stessa polizia lancia l’allarme sull’odio che tanti giovani israeliani nutrono nei confronti dei palestinesi.
Nessun pentimento, solo rabbia e desiderio di rifarlo. E’ questo che hanno detto i ragazzi israeliani interrogati dal giudice. «Ha offeso mia madre e non mi importa se morirà», ha proclamato uno degli arrestati riferendosi a Joulani. Per un 13enne, fratello di uno degli arrestati, la responsabilità sarebbe solo dei quattro palestinesi, perchè avrebbero rivolto «parole inappropriate» ad alcune ragazze. «Non devono essere qui (i palestinesi), questa è la nostra zona. Il motivo per il quale vengono da queste parti è provare ad attirare le ragazze ebree».
Jamal Joulani non ricorda l’accaduto, rimane in condizioni critiche. È cardiopatico e ciò rende più complessa la sua situazione, spiegano i medici. La madre Nariman e il padre Soubhi sono sempre accanto a lui. Due giorni fa hanno ricevuto in ospedale quattro israeliani Guy Tamar, Elnatan Weissert, Gideon Lifshitz e Michal Kfir. Insegnanti e ricercatori universitari venuti ad esprimere solidarietà e vicinanza. Non si è fatto vivo alcun rappresentante delle autorità municipali o di governo. Peccato, commentava ieri su Haaretz Yuval Ben Ami, perchè avrebbero potuto accertarsi, andando al piano superiore, al dipartimento di chirurgia plastica, anche delle ustioni subite da un autista e da una intera famiglia palestinese (padre, madre e tre bambini) colpita tra Betlemme e Hebron da una bottiglia incendiaria lanciata contro il loro taxi da sconosciuti, probabilmente coloni israeliani. Un attacco scattato appena qualche ora prima dell’aggressione a Jamal e che non ha ancora un colpevole.
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