LAVERSIONE SACKS: LSD, EROINA E OPPIO CONFESSO I MIEI ANNI TOSSICI. Le rivelazioni del neuroscienziato sul “New Yorker”. Che anticipano il contenuto del suo prossimo libro
LAVERSIONE SACKS: LSD, EROINA E OPPIO CONFESSO I MIEI ANNI TOSSICI. Le rivelazioni del neuroscienziato sul “New Yorker”. Che anticipano il contenuto del suo prossimo libro NEW YORK. Il giorno in cui il dottor Sacks si fece di Lsd, l’uomo che sarebbe diventato il neuroscienziato più famoso del mondo cominciò ad avvertire un fortissimo ronzio. «Capii che un elicottero si preparava ad atterrare, e che i miei genitori – volendomi fare una visita a sorpresa – erano volati da Londra a Los Angeles e poi si erano fatti portare fin lì. Corsi nel bagno, mi buttai sotto la doccia e mi infilai una camicia e un pantalone puliti: tutto quello che avevo potuto fare nei tre o quattro minuti prima che atterrassero. Corsi fuori, in preda all’emozione, per dare il benvenuto ai miei: nessun elicottero in vista, il rumore potente e pulsante del motore sparito. Scoppiai in lacrime. Avevo provato così tanta gioia: e non ne era rimasto più niente».
È rimasto, quasi mezzo secolo dopo, solo il ricordo. Un ricordo per troppo tempo inconfessabile che Oliver Sacks, il celebratissimo autore di Risvegli, ha tenuto gelosamente segreto: fino a questa lunga meditazione sul New Yorker e che diventerà adesso il cuore del suo nuovo libro. Personal History: il magazine la presenta così, come se non fosse, invece, il tranquillo racconto di cinque anni di paura. Cinque lunghi anni in cui il dottore passò dagli esperimenti alla dipendenza: per uscirne soltanto grazie allo scatto d’orgoglio che gli permise di pubblicare il suo primo lavoro, Emicrania.
Il racconto va ovviamente calato nel clima degli anni Sessanta, quando le menti migliori della sua generazione si perdono dietro agli stregoni della neurochimica. «Mi ero riempito di letture», ricorda il dottore citando i grandi classici, dalle Confessioni di un mangiatore di oppio di Thomas De Quincey ai Paradisi artificiali
di Charles Baudelaire, «ma non avevo avuto esperienza di droghe fino al 1953, quando il mio amico di infanzia Eric Korn arrivò a Oxford. Avevamo letto eccitatissimi della scoperta dell’Lsd di Albert Hoffman e ordinammo 50 milligrammi dalla Svizzera (allora era legale). Solennemente, quasi sacralmente, li dividemmo e ne prendemmo 25 milligrammi a testa – non sapendo quale splendore od orrore ci attendeva: ma, purtroppo, non avemmo nessun effetto. Avremmo dovuto ordinarne 500 di milligrammi, non 50».
I giochi inesperti da piccolo chimico lasciano però presto il campo agli esperimenti veri, mentre il giovane inglese che va a specializzarsi in neurologia proprio nella California dove il professor Timothy Leary predica l’uso degli allucinogeni in psichiatria. Quello studente brillante le prova tutte: comincia con una canna, passa ai semi di papavero, sfida l’ebbrezza e l’angoscia dell’Lsd e arriva a trovare perfino il disperato coraggio di farsi d’eroina. Manca solo la cocaina: per il resto, il “cursum dis-honorum” è più che completo. «Quando cominciai la specializzazione in neurologia, nel 1962, la neurochimica era una cosa “in”», ricorda il dottore. «E altrettanto “in” – pericolose e seducenti – erano le stesse droghe».
L’autoritratto che solo adesso salta fuori – il dottore aveva precedentemente accennato ai suoi esperimenti ma mai era sceso così nei dettagli – sembra davvero Mister Jekyll & Dr. Sacks. «Durante la settimana mi tenevo lontano dalle droghe e lavoravo all’Università, dipartimento di neurologia: ma nei weekend usavo sempre più spesso le droghe». L’allarme scatta proprio quando gli si spalanca davanti quello che lui stesso chiama «un weekend lungo tre mesi». Già specializzato, e in attesa di prendere servizio in una clinica di New York, Oliver torna nella sua Londra. Il racconto si fa quasi horror. «I miei genitori, entrambi medici, erano via, e avendo l’appartamento tutto per me decisi di esplorare il gabinetto medico al pianterreno della casa per celebrare il mio 32esimo compleanno con qualcosa di speciale. Non avevo mai preso prima morfina o oppiacei. Usai una grossa siringa – perché mai preoccuparsi di dosare la quantità? E dopo essermi comodamente disteso sul letto, versai il contenuto in alcune fiale, infilai l’ago nella vena e iniettai pian piano la morfina…».
Quando rientra in America il dottore è così dipendente che ormai si fa anche per trovare pace di prima di andare a dormire. Il disastro accade quando il potentissimo sedativo che sta usando – l’idrato di cloro – gli finisce al’improvviso. Il giovane Oliver va in clinica stravolto dalla notte insonne. «A seduta finita, attraversai la strada, come facevo spesso, per andare a prendermi un sandwich e un caffè. Cominciai a girare il caffè e lo vidi diventare tutto verde e poi, subito, viola. Alzai lo sguardo, sorpreso, e notai che al cliente che stava pagando alla cassa era spuntata un’enorme proboscide. Mi prese il panico. Mollai cinque dollari sul tavolo e corsi a prendere l’autobus».
La fuga dal tunnel costerà molto di più. E la liberazione arriverà solo quando il dottore si tufferà nel libro sull’emicrania che diventerà, nel 1970, il suo primo capolavoro. «Cominciai a scrivere. E la gioia che provavo era reale: infinitamente più sostanziosa della vuota mania delle anfetamine». Mai più elicotteri fantasmi e avventori con la proboscidi: mai più aghi o Lsd. «Da allora», scrive, «non presi più anfetamine». Tu chiamali, se vuoi, risvegli.
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