Addio a Licia Pinelli, una storia di tutti

Giovani dei centri sociali, anarchici, esponenti politici locali, associazioni, sindacati, un pezzo di Milano e qualcuno da fuori per l’ultimo saluto a «una donna onesta e caparbia»

Giovani dei centri sociali, anarchici, esponenti politici locali, associazioni, sindacati, un pezzo di Milano e qualcuno da fuori per l’ultimo saluto a «una donna onesta e caparbia»

MILANO. Quando a metà pomeriggio il feretro viene portato fuori dalla piccola sala della casa funeraria di via Corelli ci sono diverse centinaia di persone a salutare per l’ultima volta Licia Rognini Pinelli. Sulla bara insieme a una sua foto c’è una drappo nero con la A cerchiata di rosso: è lo stesso che 55 anni fa era stato poggiato sulla bara di Pino al suo funerale e che oggi è stato riportato alle figlie Claudia e Silvia.

Attorno al feretro le bandiere rossonere dell’anarchia si intrecciano a quelle tricolore dell’Anpi. La banda degli ottoni muove le prime notte di Addio Lugano Bella, c’è un applauso, poi suonano la Ballata dell’anarchico Pinelli. Molti cantano, qualcuno alza il pugno al cielo. «Licia ci lascia un esempio fatto di dignità, fermezza e coraggio» dice un signore brizzolato che poi racconterà di essere stato vicino di casa di Licia e Giuseppe Pinelli nel quadrilatero delle case popolari di San Siro. Era la seconda metà degli anni sessanta.

IN QUESTO ASSOLATO 15 novembre un pezzo di Milano, e qualcuno da fuori, ha tributato il giusto e necessario omaggio a questa donna a cui tutta l’Italia deve molto. Il ricordo di Licia e della sua battaglia per la verità sulla morte di Pino si è mischiato ai ricordi di una Milano che non c’è più, le storie personali si sono intrecciate a quelle collettive.

Ad ascoltarle diverse generazioni, dagli studenti minorenni alla generazione di mezzo che ha militato nei centri sociali o nei movimenti, alla Milano democratica, dei partiti della sinistra, delle associazioni, dei sindacati, fino ai più anziani che quegli anni li hanno sfiorati o vissuti. La lotta di una vita di Licia per la verità sulla morte di suo marito Pino, partigiano anarchico accusato ingiustamente della strage di piazza Fontana, è stata fatta con dignità, fermezza e coraggio.

Licia ha mostrato a tutti che si può sopportare un lutto carico d’ingiustizia senza cedere al rancore e alla rabbia, con la dignità di chi conosce la verità e sa aspettare che arrivi anche agli altri. «Oggi Licia sa che la sua missione è stata compiuta perché non c’è nessuno, proprio nessuno, che può pensare che Pino sia stato coinvolto nella strage» dice l’amico di una vita Marino Livolsi, che la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 accompagnò Licia all’ospedale Fatebenefratelli di Milano dove Pino morì.

LA CERIMONIA LAICA inizia con il cantautore anarchico Alessio Lega che dentro la piccola sala funebre canta la Ballata dell’anarchico Pinelli. Fuori le centinaia di persone che non sono riuscite a entrare ascoltano da due casse piazzate verso il cortile e il parcheggio. Parla una delle nipoti di Licia, Martina: «È stata un nonna onesta e caparbia, ci ha trasmesso un senso di fratellanza e di valori improntati alla condivisione». Dice Martina che «l’essenza di Licia resta in chi sente che questa storia quasi soltanto sua è anche la loro storia».

Il titolo del libro scritto da Piero Scaramucci insieme a Licia Pinelli, Una storia quasi soltanto mia, viene citato da molti, con quel “quasi” che con garbo e compostezza richiamava a un coinvolgimento collettivo.

«I miei ricordi vanno in via Preneste 7» dice Marino Livolsi «quando le bambine Claudia e Silvia andavano a scuola e Pino faceva il risotto: non un gran risotto a dire la verità. Licia batteva i nostri lavori con la macchina da scrivere. Una vita semplice fino all’uccisione di Pino».

Da una parte lo Stato incolpava gli anarchici, dall’altra emergeva con forza la verità. «La gente non ha creduto alla versione ufficiale e questo ci ha dato forza. Licia con la sua dignità e la sua fermezza è stata un esempio per tutti. Poi a un certo punto ha capito che non c’era più nulla da fare, se non passare il testimone della memoria alle sue figlie e si è ritirata».

QUALCUNO RICORDA altri frammenti intimi di conversazioni con Licia, come quando diceva «ma non poteva difendersi in quella stanza? Aveva anche tirato di boxe Pino». Pensieri puri, istintivi, lontani.

Diversi ricordi vanno al fondatore di Radio Popolare Piero Scaramucci per il libro scritto e pubblicato nel 1982 con Licia Pinelli e per aver contribuito insieme ad altri giornalisti alla ricerca e alla diffusione della verità. A partire da Camilla Cederna, più volte citata negli interventi.

Il presidente dell’Anpi Milano Primo Minelli ricorda «la lottatrice» Licia. «Ai funerali di Pino non c’era molta gente – ricorda Minelli – ma Licia ha riscattato la paura iniziale di alcuni». Tra le figure ricordate anche quella del presidente onorario dell’Anpi Carlo Smuraglia e la sua scelta da avvocato di difendere la famiglia Pinelli, «una scelta che ha aiutato anche tutti noi» dice ancora Minelli. «Milano ha un debito con Licia che ha lottato per scacciare via le accuse infamanti agli anarchici e ai movimenti» ricorda Valter Boscarello di Memoria Antifascista.

FUORI AD ASCOLTARE tutti questi interventi si sono ritrovati mischiati giovani dei centri sociali, anarchici, esponenti locali del Pd, dei Verdi, di Sinistra Italiana, di Rifondazione, associazioni, sindacati, gente comune.

C’è anche il giudice Guido Salvini che tanto ha lavorato sulla strage di piazza Fontana. «Ero presente il 20 dicembre 1969 ai funerali di Pinelli, andai con alcuni compagni di scuola ovviamente di nascosto dalle nostre famiglie. Ho ritenuto un dovere essere qui, ho conosciuto Licia è stata una donna ferma, dignitosa. Posso dire che è incredibile che per la morte di Pino a Milano non vi sia mai stato un processo».

UN RAGAZZO DI 18 ANNI è arrivato dall’hinterland di Milano, da Cinisello Balsamo. «Ci rimane il suo esempio. Per chi è piccolo come me conoscere la storia di Licia può essere d’esempio. Ce n’è un sacco bisogno». Le figlie Claudia e Silvia salutano quasi una a una le persone arrivate qui. «Sono contenta si riconosca il valore di Licia, la volontà di non dimenticare» dice Claudia parlando a Radio Popolare al termine della cerimonia. «Si apre un cerchio – dice Silvia – quello che l’uomo ha separato il cielo poi riunisce, finalmente Licia sarà accanto a Pino».

* Fonte/autore: Roberto Maggioni, il manifesto

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