Vivendo negli anni Sessanta nella Roma delle lotte operaie

Il libro di Luciana Castellina «L’edile numero 33. Le mani della Cia sull’Italia degli anni Sessanta». Sono storie di edili e di povera gente, di prostitute e carcerati, di miseria vera e di riscatto, di faticosa costruzione di una coscienza di classe

Il libro di Luciana Castellina «L’edile numero 33. Le mani della Cia sull’Italia degli anni Sessanta». Sono storie di edili e di povera gente, di prostitute e carcerati, di miseria vera e di riscatto, di faticosa costruzione di una coscienza di classe

 

C’è un pezzo di storia di Roma e della sua classe operaia, e dei «comunisti della Capitale», nell’ultimo, godibilissimo libro di Luciana Castellina, L’edile numero 33. Le mani della Cia sull’Italia degli anni Sessanta (Futura Editrice, pp. 114, euro 13). È una storia raccontata in prima persona, sul filo dei ricordi, ma nutrita da ricerche e documenti: una testimonianza che va oltre l’autobiografia e serve a spiegare tante cose non solo della città, ma dell’Italia passata e presente.

È UNA STORIA CHE ARRIVA fino al sindacato e alle sue lotte odierne, anche grazie alla bella Introduzione di Alessandro Genovesi, segretario della Fillea Cgil, il sindacato degli edili Cgil che costituisce il soggetto collettivo coprotagonista della vicenda, e grazie al breve e preciso intervento di Felice Casson (indimenticato giudice dell’inchiesta su Gladio) che completa il libretto, unitamente a un corredo fotografico molto interessante.

I FATTI VERI E PROPRI sono del 9 ottobre 1963, il luogo è la centralissima piazza Santi Apostoli a Roma, a due passi da Botteghe Oscure. Siamo agli albori del centro-sinistra. La capitale è nel pieno processo del suo insano sviluppo, tra inurbamento disordinato, speculazione edilizia (il «sacco di Roma»), lotte operaie.
Roma non è mai stata una città industriale: le sue poche fabbriche ristrette lungo la Tiburtina erano in una fase di primo sviluppo. La classe operaia per antonomasia erano gli edili: che abitavano la «cintura rossa» fatta di borgate e borghetti, così ben definiti da Luciana; o che ogni giorno all’alba muovevano dai loro paesi in Ciociaria o sui Monti Lepini fino a Roma, per lavorare otto o dieci ore, e poi tornare a casa con altre due ore di viaggio.

IL PCI ERA IL PARTITO di questo proletariato non del tutto inurbato, che viveva ai margini della città, e che grandi dirigenti comunisti come Edoardo D’Onofrio e Aldo Natoli, molto diversi ma uniti dalla stessa «scelta di vita», ebbero l’intelligenza politica di organizzare e guidare.

È questo il contesto in cui Luciana Castellina, da poco funzionaria del Pci dopo una lunga milizia nei giovani comunisti, il 9 ottobre 1963, sentendo sirene e tumulti, esce d’istinto da Botteghe Oscure e viene travolta dalle cariche della Celere contro una manifestazione di operai diretti verso la sede dell’Associazione costruttori, appunto a Santi Apostoli. Moltissimi i fermati. Trentatré di loro sono arrestati e processati. E condannati, nonostante le contraddizioni nelle deposizioni dei poliziotti. Tra loro anche Luciana, unica donna, «l’edile numero 33», come viene definita.

Intorno a questo filo l’autrice costruisce una fitta trama di ritratti, racconti, situazioni. Sono storie di edili e di povera gente, di prostitute e carcerati, di miseria vera e di riscatto, di faticosa costruzione di una coscienza di classe in quelle borgate raccontate da Pasolini, che «Edo» D’Onofrio volle difendere riconoscendo nei suoi romanzi non le vicende edificanti del realismo socialista, ma la fotografia esatta dello «stato di cose» esistente. Storie di solidarietà, di collette fatte per le famiglie degli arrestati, uno spaccato della Roma proletaria e comunista in lotta contro i «palazzinari» potenti e appoggiati dal Vaticano.

DA UNA PARTE si schierarono con la sentenza ingiusta alti magistrati e l’allora presidente della Repubblica Antonio Segni (non proprio un paladino della democrazia). Dall’altra, il popolo delle borgate e la sua rappresentanza politica, il Pci, con in campo gli Ingrao e i Pajetta, i Terracini e i Gullo, gli Alicata, i Togliatti, i Berlinguer. I «fatti di piazza Santi Apostoli» a lungo non furono dimenticati nella «Capitale corrotta» di quella «nazione infetta».

Trent’anni dopo, nel novembre 1990, l’epilogo inatteso: l’inchiesta su Gladio, la rete segreta creata dalla Cia e dai servizi italiani per contrastare l’avanzata dei lavoratori più che dei «russi». Si viene a scoprire che quegli incidenti di Santi Apostoli li avevano provocati a bella posta loro, i «gladiatori», infiltrandosi in gran numero nella manifestazione. Provocatori, come ce ne sono stati tanti nella storia dell’Italia contemporanea.

È da leggere, questo bel libro di Castellina, poiché dice molto su cosa è stato questo paese e la sua capitale e forse anche su ciò che oggi rischia di tornare a essere.

* Fonte/autore: Guido Liguori, il manifesto

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