Il ricordo. La figlia dell’ufficiale portoghese, protagonista del 25 aprile 1974 e del processo di democratizzazione seguente alla Rivoluzione dei garofani, offre ai lettori del manifesto, in esclusiva, un ritratto in prima persona del suo genitore
LISBONA. Sì, è proprio vero, mio padre è morto. Il colonnello Otelo Saraiva de Carvalho, l’Otelo. Poco prima delle 14 e 11 dello scorso 25 luglio, lo sfinito corpo di mio padre ha smesso di respirare l’aria che respiriamo.
Dopo alcuni giorni di parole opportune e inopportune, ci sono ancora delle cose che vorrei dirvi in questa mia testimonianza. Parlo per tutti quelli che sono rimasti colpiti o rattristati dalla notizia della sua morte, così come anche per chi ne è rimasto indifferente.
Non vivo più in Portogallo da molti anni. Ero arrivata a Lisbona da otto giorni e in quel periodo avevo visitato mio padre per due volte, perché era di nuovo ricoverato all’Ospedale delle Forze Armate. Due visite con il tempo contato, un’ora in tutto. Il resto del tempo, quando non vedevo il colore dei suoi occhi né sentivo il suono della sua voce, gli stavo vicino idealmente, soprattutto tra il giorno 24 e il 25.
Durante le mie brevi visite, le ultime parole che mi ha detto sono state «Ti voglio molto bene, figlia mia». Ma le prime, quando gli ho chiesto come si sentiva, sono state queste: «Sto molto giù, sono arrivato alla fine. Ma guarda come mi sono ridotto, non posso fare più niente. E io che volevo una vita tranquilla! Sai chi è colpevole di tutto questo?» E mi racconta di quel compagno del MFA (Movimento delle Forze Armate) che, poco dopo il 25 Aprile 1974, quando usciva da una casa di Cova da Moura dove c’era stata una riunione del MFA, convocata per prendere decisioni su cosa fare dopo la rivoluzione e su come organizzarsi, disse ai giornalisti che lo circondavano, «alcuni stranieri», «È lui che dovete intervistare”, indicando mio padre che scendeva le scale della casa, «È lui che ha fatto, ha organizzato, ha comandato, ecc., ecc.».
«Ed ecco», continua a raccontare mio padre, «Tutta quella gente comincia a corrermi incontro, microfoni alla mano, e tutto si è deciso in quel momento! In seguito, sono stato coinvolto nella vita politica, nelle elezioni…, ma quello che volevo veramente era dare una speranza alla gente, al popolo portoghese, alle classi popolari che ho poi contattato nel PREC (Processo Rivoluzionario In Corso)».
Sei giorni prima della sua morte, in un’unica frase, in un breve bilancio, mio padre identificava così il punto di svolta della sua vita, fra quella che avrebbe potuto essere «una vita tranquilla» e invece quella che ha effettivamente vissuto, causa, secondo lui, del suo debilitato stato di salute.
Quella vita tranquilla che ricercava dopo aver già comandato le operazioni del 25 Aprile, dopo aver partecipato attivamente a tutta la cospirazione che le aveva preceduto, insieme ai capitani con cui avrebbero formato il Movimento delle Forze Armate, riuniti dopo anni di guerra nelle colonie portoghesi. Dopo sue tre commissioni in Africa, di cui due in combattimento durante la guerra coloniale che il Portogallo iniziò nel ’61 contro i movimenti di liberazione. Dopo tredici anni di vita nomade tra il Portogallo e le colonie, sempre accompagnato dal grande amore della sua vita (mia madre) e più tardi da tre figli. Dopo aver perso una figlia (mia sorella) nella Guinea-Bissau, morta in poche ore per una crisi di malaria e meningite fulminante. Dopo un’infanzia e un’adolescenza fra il Mozambico e il Portogallo, fra genitori e nonni.
Quanto al 25 Aprile 1974, se da una parte c’era la totale fiducia che i compagni militari del MFA avevano in mio padre, adesso diventato il Maggiore Otelo Saraiva de Carvalho, per l’esecuzione e il comando del Piano di Operazioni militari che ha deposto il regime dittatoriale vigente in Portogallo dal 1926, dall’altra c’era il disegno solitario di quel Piano di Operazioni che mio padre definiva come «Svolta Storica», che consisteva nella scelta dei numerosi ufficiali che furono i suoi più diretti collaboratori e che lo portarono all’esecuzione del Piano all’alba del 25 aprile, vittoria seguita dall’entusiasmo e dalla massiccia adesione della maggior parte dei portoghesi, scesi per le strade di tutto il paese.
Vari analisti politici hanno classificato questo Piano come superlativo, così come il dominio delle operazioni militari, di massima importanza per la Storia del Portogallo e, in particolare, per la Storia Militare Portoghese. Comunque, quello che posso affermare con assoluta certezza è che mio padre era grato alla Vita per aver avuto l’opportunità di contribuire alla rivoluzione, tanto attesa dalla maggior parte della popolazione. E questo lo faceva non per «orgoglio» (che poteva essere inteso come un premio), ma piuttosto per l’enorme soddisfazione di aver avuto questa opportunità nella sua vita. E per costatare che le sue competenze era state sufficienti a portare avanti il progetto rivoluzionario.
Nel periodo del post 25 Aprile, periodo PREC, durante un anno e sette mesi, mio padre ha avuto tutto tranne una vita tranquilla. Si impegnava corpo e anima, con tutto il tempo, il sonno e la sua vita famigliare (che per lui si confondeva con la vita privata), utilizzando quello che sapeva e quello che era costretto a improvvisare. Quando sento parlare di «abbaglio per il potere», contrappongo invece la coscienza delle necessità della popolazione, soprattutto attraverso la sua esperienza di comandante del COPCON (Comando Operativo per il Continente), e la consapevolezza di come il suo potere poteva aiutare a risolvere queste necessità. Da parte sua, non si è mai sottratto alle immense responsabilità che dai 37 ai 39 anni gli sono cadute addosso, a lui e agli altri ufficiali del MFA, che avevano combattuto nella guerra coloniale e non erano ufficiali dello Stato Maggiore e che quindi erano più propensi e responsabilizzare la gerarchia militare per quanto riguardava le decisioni da prendere.
Quanto alla sua partecipazione alla vita politica, come civile, dopo che venne allontanato dalle cariche militari in seguito al 25 novembre del 1975, vorrei affermare quanto segue: quando mio padre venne arrestato nell’ambito del Processo FUP/FP, una ottima compagnia teatrale di Lisbona, attraverso l’intervento del suo direttore/fondatore, ha voluto richiamare l’attenzione su questo arresto e mi ha invitato a leggere un testo all’inizio di uno spettacolo teatrale. Ci sono andata e ricordo perfettamente queste parole di mio padre che ho trasmesso, nella mia lettura, al pubblico: «Vi do la mia parola di Capitano di Aprile che non ho nulla a che vedere con tutto questo (si riferiva qui alle accuse di aver partecipato agli attentati fatti dal gruppo radicale FP25)».
Sarebbe inoltre interessante riferire altre ipotesi di lettura dei fatti, delle coincidenze (che pure esistono) che hanno fatto sì che mio padre fosse accusato politicamente e giuridicamente di aver collaborato con questo gruppo…È comunque interessante analizzare come questo tentativo di coinvolgere mio padre/Otelo in questo caso sia servito a interessi diversi, allora come adesso…ma qui chiudo l’argomento.
Vi parlo dell’uomo che ho conosciuto come padre e vi riferisco adesso alcuni aspetti della sua personalità, che forse potrete riconoscere:
In famiglia, si raccontavano storie su mio padre e sul suo «senso del giusto», fin da quando era bambino. Penso che questo aspetto, inquadrato nella sua formazione militare (perché mio padre era «un militare»), abbia portato a una pratica di «contestazione attraverso le regole», ossia contestazioni che si svolgevano attraverso i legittimi canali costituiti (anteriori o posteriori al 25 Aprile) e che molte volte ho avuto occasione di testimoniare. Alcune portavano all’abrogazione di determinate leggi o di determinazioni della gerarchia militare, decisioni che hanno favorito, nel passato e ancora oggi, molte persone, che probabilmente non sanno neanche chi ne è stato l’autore.
Questo «senso del giusto» era molto forte nella personalità di mio padre e ha influenzato gran parte della sua cittadinanza e del suo intervento come cittadino.
Riferisco inoltre l’enorme coerenza con quello che sentiva (in ogni situazione) e con la verità (un aspetto che era comune a mio padre e a mia madre, erano così tutti e due e così si viveva nella mia famiglia).
Come si può parlare della vita di una persona in poche righe? Scegliendo un epitaffio: la persona si perde, il dolore di chi rimane continua.
Posso dire che perdo una delle due persone più importanti della mia vita, perdo quell’unico interlocutore di tante chiacchierate padre/figlia, così barocche, teatrali, divertenti che ci siamo inventate. Perdo la compagnia e la completa disponibilità che aveva mio padre nei miei confronti.
E come cittadina, vorrei che il Portogallo non perdesse quello che è stato fatto. Fatto da mio padre, dal militare Otelo Saraiva de Carvalho autore di tante conquiste, da Otelo e da tutti i suoi compagni di lotta, da tutti i suoi amici. Vorrei che il Portogallo non perdesse quello che è stato realizzato e che lo integrasse nel suo patrimonio e nella sua memoria collettiva.
(Dopotutto, l’ultimo quarto del XX secolo è servito a dire a qualsiasi dittatore che il popolo portoghese non è così sottomesso come potrebbe sembrare. E anche a ricordare che è possibile realizzare una rivoluzione collettiva senza l’eliminazione fisica dei suoi nemici).
Lisbona, 16 agosto 2021
traduzione dal portoghese di Rita Ciotta Neves
* Fonte: il manifesto
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