America latina. Plan Condor, gli avvoltoi delle dittature

Uruguay, 1977: Carlos viene torturato per giorni da Jorge Nestor Troccoli. 39 anni dopo ne riconosce ancora la voce e il volto e testimonia a Roma nello storico processo contro l’operazione del 1975 di otto dittature sudamericane: oggi la sentenza definitiva della Corte di Cassazione

Carlos Alberto Dosil era un militante, aveva 21 anni e si trovava nella sua casa a Montevideo. Era il 28 novembre del 1977 quando qualcuno ha bussato alla porta, Carlos ha aperto: ha sentito subito il freddo del metallo di un mitra che un uomo gli stava puntando alla gola. Lo stesso uomo lo ha spinto contro il muro e il giovane militante si è trovato faccia a faccia con lui. Era piuttosto giovane e corpulento, circa un metro e 75 di altezza.

Lo ha colpito soprattutto la voce bassa e roca con cui impartiva ordini secchi. I due uomini armati lo hanno malmenato, bendato e portato al Fusna, la base dei fucilieri navali nel porto di Montevideo, trasformata durante la dittatura in un campo clandestino di sterminio. Erano gli anni dei sanguinosi regimi latinoamericani e anche nel piccolo Stato dell’Uruguay erano diventati pratica comune i sequestri e le torture per chiunque si opponesse alla dittatura.

Nelle celle del Fusna Carlos è stato sottoposto per giorni a pratiche disumane senza che mai gli venisse tolta la benda dagli occhi. Gli hanno fatto la roulette russa: sentiva forte il rumore del grilletto del revolver contro le tempie. Lo tiravano con le corde alle estremità del corpo fino quasi a spezzargli i tendini. Se cadeva lo rimettevano in piedi a calci e poi lo appendevano per i piedi con dei ganci mentre gli applicavano la corrente elettrica per tutto il corpo.

Carlos non sapeva se sarebbe sopravvissuto, il dolore era lancinante e spietato. Non sapeva da quanti giorni si trovasse in quella cella umida, ma aveva una sola certezza: la voce di chi lo stava torturando era sempre la stessa dell’uomo che gli aveva puntato il mitra alla gola quando lo avevano sequestrato alcuni giorni prima.

39 anni dopo le torture e il sequestro, il 7 luglio 2016 Carlos Alberto Dosil è entrato nell’Aula bunker di Roma per testimoniare davanti ai giudici per il maxi-processo Condor. Si è seduto e ha ricostruito nei dettagli le torture, il sequestro, la prigionia e l’umiliazione. Ha descritto la fisicità e la voce del suo torturatore. All’inizio della sua testimonianza uno degli avvocati si è avvicinato al banco dove sedeva Carlos porgendogli una foto e domandando: «È questa la persona che l’ha sequestrata e detenuta nel 1977 a Montevideo?».

Carlos ha guardato l’immagine e non ha avuto esitazioni, ha restituito la foto all’avvocato dicendo: «Sì, è lui». L’avvocato ha preso la foto e l’ha appoggiata al banco. Lì, a colori, era stampato il volto senza sorriso di Jorge Nestor Troccoli.

Ex capo dei servizi di intelligence uruguaiani accusato della sparizione di decine di militanti, Troccoli dal 2007 vive in Italia e oggi 8 luglio la Corte di Cassazione emetterà la sentenza con cui ribalterà o confermerà l’ergastolo a cui è stato condannato in secondo grado nel luglio 2019. Troccoli negli anni ’70 faceva parte del Fusna, gruppo che aveva il compito di reprimere chiunque si opponesse alla dittatura.

Era anche il capo dell’S2, l’intelligence della marina uruguaiana, e nel 1977 divenne il militare di collegamento fra Argentina e Uruguay nell’ambito del Plan Condor, l’operazione nata nel novembre del 1975 a Santiago del Cile con cui otto Stati sudamericani si impegnavano a catturare, torturare e far sparire i militanti esiliati in America latina, negli Stati uniti e in Europa. Troccoli era un militare di spicco: sono decine le persone che testimoniano la sua presenza sia all’interno del Fusna che dell’Esma, uno dei più grandi centri di sterminio argentini, dove sono stati sequestrati più di 5mila cittadini.

Nel 2007 la giustizia uruguaiana ha cominciato a occuparsi del suo caso e, quando si è ufficialmente aperto un processo contro di lui, Troccoli è scappato rifugiandosi in Italia. Pochi anni prima aveva ottenuto la cittadinanza italiana grazie alle origini dei suoi avi e ha vissuto diversi anni di tranquillità insieme alla moglie Betina, prima nel piccolo comune cilentano di Marina di Camerota (da dove venivano i suoi avi) e poi a Battipaglia, in provincia di Salerno.

Fino a quando nel 2015 a Roma è stato istituito il maxi-processo Condor che riguarda 43 vittime di origine italiana sequestrate nell’ambito del Plan Condor. Gli imputati del processo sono 24 militari uruguaiani, cileni, boliviani e peruviani, fra cui Jorge Nestor Troccoli, l’unico attualmente residente in Italia. Il processo Condor è uno dei più grandi procedimenti giudiziari che riguarda i crimini commessi durante le dittature sudamericane degli anni ’70 istituito fuori dal continente.

C’è molta attesa per la sentenza che pronuncerà la Cassazione oggi a Roma, la condanna in secondo grado era stata storica: 24 ergastoli. Dal 2015 sono decine i testimoni volati a Roma per deporre contro Troccoli, il suo caso è molto noto anche in Uruguay, non solo perché è stato uno dei capi della repressione ma anche perché nel 1996 è stato il primo militare uruguaiano a raccontare pubblicamente quali erano state le pratiche del terrorismo di Stato durante la dittatura.

Dopo un’inchiesta apparsa sul giornale uruguaiano PostData in cui due testimoni accusavano Troccoli di aver preso parte al terrorismo di Stato, l’ex fuciliere uruguaiano, con una lunga e dettagliata lettera aperta inviata al quotidiano El Pais e perfino con la pubblicazione di un libro intitolato L’ira del Leviatano, ha ammesso di aver sequestrato e torturato i militanti che si opponevano alla dittatura.

Il fatto che Troccoli sia imputato nel maxi processo Condor è importantissimo e crea un precedente fondamentale per il nostro Paese: apre la strada per nuovi processi contro altre persone accusate di torture e omicidi avvenuti durante le dittature sudamericane degli anni ’70, che oggi risiedono in Italia.

Come Carlos Luis Malatto, ex tenente argentino accusato del sequestro e della tortura di decine di militanti, che vive nel nostro Paese da oltre 10 anni. Il 26 maggio 2020 il ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha autorizzato a istruire un processo contro di lui in Italia. O come don Franco Reverberi, ex cappellano militare accusato di aver assistito alle torture di vari detenuti in un campo di sterminio argentino. Reverberi oggi celebra messa a Sorbolo, piccolo comune in provincia di Parma. Lo scorso aprile dall’Argentina ne è stata richiesta per la seconda volta l’estradizione.

* Fonte: Elena Basso, il manifesto

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