La combattente. Schegge di sentimenti dentro la storia degli anni Settanta

Narrativa italiana. «La combattente» di Stefania Nardini, pubblicato da e/o. Per riconciliarsi con la memoria del compagno morto Angelita indaga negli anni di piombo. Un romanzo struggente, scandito dalla lingua piana e a un tempo interrogativa delle emozioni

«Per ordinare e capire chi noi siamo dobbiamo raccontarci». È a una frase di Antonio Tabucchi che fa appello Angelita, la protagonista di La combattente di Stefania Nardini (e/o, pp. 156, euro 15), quando la vita la mette di fronte ad un dolore che non avrebbe mai neppure saputo immaginare: la perdita di Fabrizio, il suo uomo, il compagno di oltre trent’anni di esistenza.

MA COME RACCONTARSI, come spiegare quel vuoto improvviso frutto dell’assenza, del gelo, del silenzio? E come farlo di fronte a un nuovo mistero che si è insinuato dentro quella privazione, ne ha reso ancor più indefinibili i contorni, il profilo di per sé già incerto e sfumato dallo sconforto? Angelita lo scoprirà a sue spese, attraversando con grande fatica nel senso inverso alla corrente, il mare della Storia, vincendo il vento che soffia in direzione contraria per ritrovare, alla fine, fino in fondo anche ciò che di quell’uomo di cui aveva pensato di aver diviso la vita intera, le era invece sempre stato celato, volutamente nascosto.

Il suo sarà un viaggio dentro una memoria intima, delicata, ma che al tempo stesso racconta di una stagione, un’epoca, di un insieme di altre memorie, intrecciate, contraddittorie, irrisolte. E nel farlo, nell’indagare «il segreto» del suo compagno, narrerà attraverso le pagine di questo romanzo struggente scandito dalla lingua piana e a un tempo interrogativa delle emozioni, se stessa, rendendo l’intero percorso via via più familiare e coinvolgente per chi legge.

ANGELITA E FABRIZIO si erano incontrati a Roma, a metà degli anni Settanta la prima volta durante un’azione per documentare le condizioni di vite degli internati al Santa Maria della Pietà. Poi, di nuovo, per caso, qualche tempo dopo, entrambi in partenza per le isole greche. E lì, in un paesino di poche case davanti al mare avevano capito di essere innamorati di un amore che non li avrebbe più visti divisi.Lui un po’ più grande di età, la passione del cinema e dei documentari prima ancora della politica, un futuro da sceneggiatore di successo; lei, poi giornalista e scrittrice, che aveva attraversato il ’77, il femminismo al Governo Vecchio, la «militanza» a partire dalle serate al ciclostile: «La manovella in pugno e uscivano i volantini. Era il battesimo per la rivoluzione. Funzionava così nella ’sede’ dei Cps della Garbatella, a due passi dal cinema Palladium, dove le strategie erano infarcite di sentimenti immolati alla lotta di classe, dove Marx era nei cantieri della mitica Roma Settanta, nell’autoriduzione delle bollette e nelle occupazioni».

Una vita in comune, prima a Roma e quindi in una casa in collina, un po’ fuori, in mezzo al verde, quando il clima era cambiato e gli anni del riflusso avevano reso sempre meno attrattiva la città. Un luogo scelto, speciale, dove condividere incontri e legami. Come quello con Roberta (Tatafiore), «la mia vecchia amica degli anni del femminismo», racconta Angelita, con cui entrambi avevano guardato con complicità, ancora una volta «caparbiamente controcorrente», stavolta nel segno del garantismo, a quell’«alba di una stagione di macerie» che era stata Tangentopoli.

MA SARÀ PROPRIO in quel luogo così intimo da racchiudere i loro ricordi più cari che, celata dietro a una parete, la protagonista scoprirà alcune lettere in tedesco e un pistola: le tracce di un capitolo della vita di Fabrizio che la riporteranno agli anni della lotta armata, alla Raf e all’ambiente dell’estrema sinistra di Marsiglia dove, come a Parigi, un tempo i destini di una generazione si erano intrecciati.

Per Angelita un viaggio a ritroso nel tempo e in una storia che non le era appartenuta ma che ancora la interrogava, da cui uscirà con la consapevolezza di un mistero che l’amore della sua vita aveva conservato intatto pur essendole stato vicino per tutti quegli anni. Una scoperta dolorosa e frastornante che però in un certo modo le consentirà di guardare anche alla propria di storia. Fino a confessare a se stessa che: «Sono una superstite, è vero. Ma non una naufraga».

* Fonte: Guido Caldiron, il manifesto

 

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