il manifesto 1969-2019. Un convegno a Bergamo sulla nascita del gruppo che ha dato vita alla rivista prima e al giornale poi, indagando i legami con gli operai e la stagione dei consigli
Domenica scorsa centocinquanta persone hanno riempito la sotterranea sala concerti del pub Elav Circus di Bergamo per ascoltare riflessioni e testimonianze dei protagonisti del gruppo del manifesto a cinquant’anni dalla sua nascita.
L’evento, organizzato e promosso dall’associazione “Bergamoracconta” e dalla Biblioteca Di Vittorio (centro di documentazione sindacale della Cgil di Bergamo), aveva l’intento di portare alla luce lo stretto rapporto tra la nascita del gruppo politico e la città di Bergamo. Tanto più che esattamente 49 anni fa, 30 settembre 1970, metà federazione del Pci bergamasco uscì dal partito per aggregarsi al manifesto.
Ha aperto la discussione Aldo Garzia, ex manifesto giornale, ricordando la centralità culturale della figura di Lucio Magri e il suo tentativo di allargare la prospettiva comunista alle altre forme di critica sociale e politica che animavano i movimenti sociali dell’epoca.
Bergamo era in quegli anni un laboratorio politico: papa Giovanni XIII era bergamasco, il dialogo tra comunisti e cattolici nacque a Bergamo dove Togliatti tenne nel 1963 un importante discorso sul tema introdotto da Eliseo Milani (tra i fondatori del Manifesto gruppo e rivista), le lotte operaie erano radicali.
Lidia Campagnano, anche lei ex manifesto giornale, ha invece posto l’attenzione sulla capacità delle donne del manifesto di porre in questione i rapporti di potere tra i generi all’interno dell’organizzazione. Ha raccontato la dirompenza dell’istanza femminista, nonché la sua sconfitta e conseguente dispersione negli anni successivi.
Massimo Serafini, manifestino fin dall’inizio, ha raccontato le esperienze del Collettivo operai-studenti di Bologna che lo portarono ad aderire al gruppo politico.
A seguire hanno preso parola esponenti del gruppo bergamasco (Luciano Ongaro, Evaristo Agnelli, Bruno Ravasio, Vittorio Armanni), che hanno svelato la specificità della vicenda del manifesto a Bergamo, vale a dire la forte connotazione operaia e il forte radicamento nell’industria, in una stagione che ha segnato, oltre agli aumenti salariali, un inedito avanzamento del controllo operaio all’interno delle fabbriche bergamasche nei primi anni Settanta.
«Noi operai volevamo il potere, volevamo decidere come produrre – ha raccontato Evaristo Agnelli – e riuscivamo a ottenerlo. Lo strumento dei consigli di fabbrica fece la differenza».
Fu proprio il legame con l’esperienza consiliare a favorire l’ingresso del manifesto delle fabbriche, con un grado di penetrazione in molti casi superiore a quello del Pci. Tutti i relatori hanno ricordato come le basi per l’incontro del manifesto con il mondo operaio furono gettate negli anni precedenti la nascita del gruppo, grazie anche al lavoro di alcune importanti figure della storia comunista bergamasca, in particolare Eliseo Milani, sul quale si è concentrato l’intervento di Ravasio.
Luciana Castellina ha raccolto e sintetizzato la discussione, riportando il tutto alla attuale disarticolazione della sinistra e alla sua sconnessione con la sua base di classe, che si intreccia con altri processi di ristrutturazione – geografica, organizzativa e proprietaria – dei processi produttivi, da un lato, e con l’indebolimento della democrazia parlamentare e rappresentativa dall’altro.
Il problema di trovare nuove forme di ricomposizione, per quanto urgente, chiede una riflessione sul medio periodo, che vada oltre l’inseguimento delle dinamiche del consenso elettorale. È apparso chiaro, nell’intervento di Castellina, che il problema non è aver perso le elezioni, ma aver perso la società.
La drammaticità della situazione attuale, unitamente alla concretezza delle esperienze operaie raccontate, ha impedito ogni deriva nostalgica. Nulla a che vedere con le commemorazioni cerimoniali che lungo il 2018 hanno celebrato l’anniversario del Sessantotto.
Il Sessantanove operaio, per la sua connessione con le contraddizioni passate e presenti del modo di produzione capitalistico, non lascia spazio ad alcun reducismo o compiacimento. Nessun lieto fine né pacificazione al termine, se non nella bella voce di Giusi Pesenti, cantante country-jazz bergamasca, che, in chiusura, ha offerto ai presenti una rilettura originale di alcune canzoni implicitamente operaie del secolo breve americano.
* Fonte: il manifesto
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