Venezia 76. Presentato fuori concorso il documentario del regista veneto. Alle belle riprese si alternano i materiali dell’Istituto Luce
VENEZIA. Un film pulsante di vita pur nelle sue desolate inquadrature deserte Il Pianeta in mare di Andrea Segre dove il Petrolchimico di Marghera fa sentire la sua presenza nel ricordo degli anni produttivi e in quelli delle lotte, importante testimonianza delle trasformazioni economiche e sociali avvenute nel corso del tempo. Alle bellissime riprese si alternano emozionanti materiali dell’Istituto Luce che testimoniano tutta la vitalità e le speranze di un’epoca. Restano gli slogan sui manifesti alle pareti nella sala riunioni (ottenuta come diritto di assemblea retribuita con i contratti collettivi del 1969) dove i delegati discutevano con la base e preparavano le piattaforme. «Via il governo Andreotti» si legge. Quella sala riunioni deserta, rimasta immutata con i suoi manifesti alle pareti e le file di sedie è uno dei tanti momenti drammatici del documentario, dove si svolge uno dei tanti dialoghi a due – quasi in formazione dialettica – posizionati a sintetizzare la condizione operaia. Uno racconta i bei tempi delle lotte, mentre l’altro ascolta passivamente, forse scettico. Il futuro per tutti e due è una barchetta con cui andare a pescare, magari a Iesolo, non certo in quelle acque avvelenate, quando sarà il momento della pensione.
DUE IMPIEGATI delle aziende telematiche parlano il linguaggio dei manager, valigette, aerei e bonus. Altri due ex operai dragano il fondo del mare alla ricerca di vermi da pesca in una melma nera di agenti chimici. La cuoca dell’unica trattoria rimasta, un tempo piena di avventori, operai e camionisti, continua a fare la sua cucina a prezzi modici e ricorda con nostalgia l’affollamento dei vecchi tempi. Il mostro morente invade lo schermo con i suoi lamenti di lamiere contorte e azzannate dalle pale demolitrici, in giganteschi locali deserti dove si aggirano ancora alcuni personaggi. Due impiegati in pensione tornano sulle loro tracce a ritrovare i vecchi gesti, scrivanie e postazioni e perfino delle cassette di musica del ’76 lasciate lì. Tutto è rimasto come un tempo, come dopo una catastrofe nucleare, come i quaderni e le tazze lasciate per terra nei documentari di Chernobyl: qui è passata la delocalizzazione, la smobilitazione e quello che resta venti anni dopo è archeologia industriale. Nei cantieri-mostri si costruiscono ora altri mostri, le grandi navi da crociera con venti ponti e anche qui si lavora al risparmio: un saldatore solitario ripreso in campo lungo e un gruista, mostrano dall’alto il desolato paesaggio circostante dove non si vede anima viva, ma i cormorani, i fagiani e una lepre che corre da un cespuglio all’altro.
VEDIAMO gli operai che passavano il Natale sulla torretta occupata («gli operai non mollano») nelle cronache Luce, ma i nuovi operai delle navi di Marghera non sono più quelli che sulla gru bloccavano il cantiere per gestire lo sciopero, sono i bangladini che si accontentano di bassi salari da dividere con la famiglia lontana o i romeni che sognano di «scappare da quell’incubo» e tornare a casa, ma non si può. «Costiamo poco, lavoriamo bene», dicono. È una descrizione precisa non solo di Marghera oggi, ma di tanta parte dell’industria italiana e da Taranto ai cantieri navali di Genova, alla Fiat. I grandi poli industriali hanno ceduto il passo a occhiali e prosecco, scarpe e pasta, si chiama riorganizzazione. «Gianfranco Bettin ha guidato il lavoro di ricerca, dice Andrea Segre e poi realizzare il film è stato possibile quando sono stati dati i permessi per girare nei luoghi dove prima non si poteva entrare se non si era lavoratori portuali. Volevo che nel film ci fossero persone che si chiedessero ’cosa farò domani?’, persone legate a Marghera e ad altri poli industriali, pieni un tempo di lavoro e oggi di ferite». E i lavoratori che hanno preso parte al film dichiarano di essere interessati a fare in modo che la loro esperienza resti nella memoria collettiva.
UN LUNGO elenco di permessi concessi da Eni, smaltimento, porti mercantili, autorità portuali, navi portacontainer e navi crociere, si sono potute fare quelle riprese «esteticamente così eccitanti» come le ha definite giustamente il regista. Il futuro di Marghera? Bettin risponde che dopo quelle epiche lotte oggi la solitudine in cui si trovano i lavoratori fanno sì che il tema del lavoro sia riportato in primo piano. «Il piano Vega (il parco scientifico tecnologico) è stato un tentativo che ha avuto diverse difficoltà, tra sfide perse e altre in corso. La mia impressione è che manchi una volontà progettuale. È interessante per la sostenibilità l’esperimento in corso della raffineria Eni, ma c’è poca chiarezza progettuale in altre aziende presenti, quello che si sente è che non c’è voglia di discutere insieme per reinventare un futuro tra industria e ambiente». «Il Pianeta in mare» arriverà nelle sale con ZaLab distribuzione.
* Fonte: IL MANIFESTO
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