Giustizia. «Il ministro Bonafede ci ha promesso un suo interessamento». La famiglia di Riccardo parla dopo la sentenza di giovedì scorso. Il caso del 2015 dell’annullamento senza rinvio (rari) sostenuto dallo stesso relatore
«Alfonso Bonafede ha seguito sempre il caso di Riccardo, anche prima di diventare ministro ha partecipato a alcuni eventi ed è venuto in tribunale. Ci ha chiamato per vicinanza, è stata una chiamata da amico non da ministro, e ci ha promesso un suo interessamento». Andrea, il fratello di Riccardo Magherini, l’ex calciatore della Fiorentina morto nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2014 durante un arresto eseguito dai carabinieri, ha impiegato quasi due giorni per ritrovare la parola. Tanto è stato pesante per lui, la sua famiglia e il loro legale, l’avvocato Fabio Anselmo, il colpo inferto dalla Cassazione che giovedì sera ha annullato senza rinvio «perché il fatto non costituisce reato», la condanna per omicidio colposo – emessa in primo grado e confermata in Appello – dei tre militari che quella notte ammanettarono il 40enne fiorentino stendendolo prono a terra, schiacciandolo sul selciato e colpendolo, come confermato dai video girati dai testimoni.
Ora la famiglia spera nell’intervento del ministro di Giustizia: «Oltre ad aver ucciso un’altra volta Riccardo, questa sentenza proclama il funerale dello Stato di diritto nel nostro Paese – aggiunge Andrea Magherini -: scrivere nella sentenza che non costituisce reato vuol dire che le forze dell’ordine possono fermare e picchiare le persone. È grave, siamo in un Paese civile». E il padre Guido, intervistato da Lady Radio annuncia: «Ho qualche bene, e venderò tutto per dare giustizia a Riccardo».
«Un pronunciamento così fatto non se lo aspettava nessuno, neppure i difensori, ha lasciato tutti allibiti», riferisce ora l’avvocato Anselmo, legale anche delle famiglie Cucchi, Aldrovandi e di altre vittime delle violenze delle forze dell’ordine, spiegando che per la Cassazione «non sussisterebbe l’elemento psicologico a carico dei Carabinieri imputati perché o non potevano accorgersi di quanto stava accadendo a Riccardo – e cioè che stava morendo asfissiato sotto di loro – oppure (peggio) perché hanno semplicemente fatto il loro dovere non avendo in quel momento alcuna posizione di garanzia sulla salute e sulla vita di quel “soggetto” arrestato».
Magherini quella notte venne fermato mentre era in preda ad un attacco di panico dovuto all’assunzione di cocaina e stava dando in escandescenze. La Corte d’Appello confermò le condanne di primo grado a 8 e 7 mesi di reclusione per i tre carabinieri basando le motivazioni sulle prove prodotte dai video girati con i telefonini da alcuni abitanti del Borgo di San Frediano che mostravano le modalità con cui avvenne l’arresto, la sofferenza della vittima, i colpi che gli vennero inferti mentre era a terra riverso sul selciato, e le sue urla di aiuto mentre stava morendo. I tre militari obiettarono però di non avere le competenze mediche per distinguere se l’arrestato fosse effettivamente in pericolo di vita oppure se fingesse malore, ma i due gradi di giudizio non confutarono il dato reale dei colpi inferti a Magherini mentre era ammanettato con i polsi dietro la schiena.
La Cassazione invece ha annullato tutto, evidentemente ritenendo che non ci sono prove «oltre ogni ragionevole dubbio». «Non è la prima volta che avviene, certamente, anche se gli annullamenti della Cassazione sono in numero limitato, e quelli senza rinvio ancora meno», spiega il cassazionista Francesco Petrelli, ex segretario dell’ Unione delle camere penali. «Bisognerà leggere le motivazioni per capire, ma certamente il confine tra fatto e diritto, che dovrebbe essere la linea discriminante tra il giudizio di cognizione della Corte d’Appello e il giudizio di legittimità della Cassazione, a volte è incerto». In ogni caso, conclude Petrelli, la Suprema corte «basa il suo giudizio, di metodo e non di merito, solo sul testo della sentenza e sugli atti di impugnazione, perché non ha in mano né le trascrizioni delle udienze, né le perizie, né i video o i documenti prodotti in dibattimento». Proprio per questo appare incomprensibile quella formula che sembra entrare nel merito del caso e contro la quale Anselmo ha annunciato di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.
Ma c’è un precedente: il 23 giugno 2015, con il medesimo relatore Vincenzo Pezzella, la Cassazione annullò senza rinvio anche un’altra condanna (anche questa confermata da due tribunali) per incitamento all’odio e discriminazione razziale nei confronti di un uomo che aveva distribuito a Trieste durante la campagna elettorale delle europee un volantino dove a fianco delle caricature di rom che rubano, di neri che spacciano, ecc. e di Abramo Lincoln attorniato da dollari, c’era il messaggio: «Basta Usurai – basta Stranieri». Per la Cassazione non è reato, perché si tratta di un hate speech contestualizzato a un frangente di propaganda politica, e discriminante peraltro non per etnia ma per «l’altrui criminosità».
* Fonte: IL MANIFESTO
0 comments