37 anni dopo la strage di Ustica, un testimone presente a bordo della portaerei Saratoga racconta lo scontro a fuoco con i libici
«La sera lanciammo i caccia, completamente armati. E al loro ritorno sulla nave notammo che non avevano più l’armamento: un fatto che non si poteva nascondere a 5000 uomini. Il capitano Flatley, attraverso gli altoparlanti, ci informò poi che durante le nostre operazioni di volo, due Mig libici ci erano venuti incontro in assetto aggressivo e avevamo dovuto abbatterli. Questo ci disse all’epoca e questo ho creduto per tanti anni». E’ uno dei passaggi clou dell’intervista fatta da Andrea Purgatori, che andrà in onda questa sera su La7, a B.S., aiuto nocchiere con compiti di assistenza in coperta, imbarcato sulla portaerei Saratoga il 27 giugno 1980, la sera in cui un aereo civile italiano con 81 persone a bordo sparì dai radar prima di raggiungere la destinazione a Palermo. E’ la strage di Ustica, insomma, l’avvenimento su cui il marinaio contribuisce ad aprire uno squarcio di verità.
SONO PASSATI più di 37 anni da quella notte, sono stati istruiti e dibattuti un processo penale e diversi processi civili, le cui sentenze pur offrendo parziali risarcimenti ai familiari non sono comunque mai riuscite a dare una versione definitiva dei fatti: che cosa è realmente successo, chi era coinvolto, chi materialmente è responsabile della morte di 81 cittadini italiani, chi ha coperto, occultato, nascosto la verità? E’ tuttora in corso un’inchiesta della procura di Roma, un’inchiesta che stenta a decollare anche per l’assenza di testimoni diretti.
Ed ecco allora che B.S., aiuto nocchiere ormai in pensione rompe gli indugi – lui dice esplicitamente di avere avuto finora paura ad esporsi – e racconta la sua versione, che è poi il racconto di quello che ha visto accadere allora, di ciò che gli venne proposto come spiegazione e di come ha ricollegato una serie di episodi fino al momento in cui ha deciso di farsi avanti.
PER COLLOCARE in modo corretto la testimonianza, bisogna tornare brevemente al contesto e ai giorni precedenti la strage.
Mentre era in corso la crisi iraniana, con il personale dell’ambasciata Usa nelle mani dei komeinisti, l’inquilino di Tripoli era riuscito ad alzare il livello di ostilità nei suoi confronti da parte di mezzo occidente e un quarto della costa africana. Lui era infastidito con l’Italia che dava ospitalità ai suoi oppositori, la Francia era infastidita con lui che gli aveva sottratto il potere di influenza sul Ciad, e lui guardava di storto gli egiziani che avevano accettato una sorta di appoggio esterno militare americano attraverso un’operazione chiamata Proud Phantom che avrebbe portato uno stormo di F4 con tutta l’assistenza loro necessaria all’aeroporto del Cairo. L’operazione, fra l’altro, cominciò con lunghi trasferimenti di materiale aereo dagli Usa e dalle basi tedesche esattamente il 20 giugno 1980.
La tensione fra Gheddafi e i suoi avversari, in primis gli americani, era alle stelle.
Quanto agli italiani, come al solito giocavano una partita doppia. Come diceva Andreotti, «avevamo la moglie americana e l’amante libica». Malta, infine, in quel momento «occupata» dai libici e protetta dai sovietici stava trattando per trovare un protettore occidentale.In questi giorni di conflitto latente, accadono i fatti di Ustica.
IL 27 GIUGNO, un venerdì, il volo Bologna-Palermo dell’Itavia decolla dal capoluogo emiliano con molto ritardo, segue scrupolosamente la rotta che gli viene indicata dal controllo radar, supera Roma e, quando ormai dovrebbe avere iniziato la discesa verso l’aeroporto di arrivo, perde il contatto.
Il punto di tutta l’inchiesta successiva è sempre stato il medesimo: nel cielo intorno al Dc9 e sul mare sottostante, erano per caso in corso esercitazioni o missioni militari in cui l’aereo potrebbe essere stato la vittima non voluta?
Questo per la semplice ragione che, recuperato il relitto, non si sono trovate tracce di esplosione interna e la scatola nera recuperata non indica cause strutturali per la caduta del jet.
Il secondo punto è che tutti gli interessati (per semplicità: gli italiani, gli americani e i francesi) hanno sempre negato la loro presenza in zona. Tutti.
Risparmiando (in particolare ai più giovani che della vicenda conoscono poco) le ricostruzioni a questo punto superflue, eccoci al punto terzo.
L’aiuto nocchiere in servizio sulla Saratoga ricorda che, a fine giugno, la portaerei partì improvvisamente dalla rada di Napoli per «andare a provocare» Gheddafi e che navigarono proprio nell’area in questione. Si trattò di un’esercitazione in piena regola. Erano decollati i Phantom e altri caccia dal suo ponte mobile, erano stati mandati su i velivoli di supporto, il tutto sotto la guida di un aereo radar oltre che dei suoi stessi occhi elettronici. A tornare “scarichi” – senza armi – sono un paio di Phantom. A distanza, ma comunque presenti, anche una nave inglese e una portaerei francese.
E’ il riassunto del racconto di B.S. i cui dettagli ascolterete questa sera su Atlantide. Un riassunto che contraddice la versione ufficiale più volte ripetuta.
LA US NAVY e la capitaneria di porto di Napoli hanno sempre sostenuto che la Saratoga era rimasta in rada dal 23 giugno al 25 luglio. Le foto di nozze con lo sfondo del golfo recuperate dall’inchiesta del primo processo mostrano la sagoma della portaerei fino alle 18,30 del 27 giugno e dalle 13 del 28 giugno. Nel buco orario (la gente si sposa quando ne ha voglia), i fatti raccontati da B.S. possono tranquillamente trovare spazio.
C’è di più. Ci sono le frenetiche telefonate fra controllori di volo civili e militari nelle ore successive alla scomparsa del Dc9 Itavia che parlano in continuazione di Phantom americani e dell’urgenza di contattare l’addetto militare dell’ambasciata Usa o gli ufficiali Usa presenti nella base di Sigonella. E’ stato effettivamente stabilito che un Awacs americano era in volo quella notte.
Ci sono, non ultimi, i registri di bordo della Saratoga ritoccati, ovvero riscritti da una medesima mano proprio nelle 24 ore a cavallo dell’incidente. Un fatto che B.S. giudica impensabile: non si riscrivono i registri.
A meno di trovarsi di fronte a una cover up…
SALTARE ALLE CONCLUSIONI è impossibile. Ma di sicuro c’è materiale a sufficienza perché qualcuno, dalla procura di Roma o dal governo, si dia una mossa perché la copertura sia tolta. Chiunque sia stato a sparare al Dc9 o a provocarne la caduta per (mancata) collisione.
FONTE: Daria Lucca, IL MANIFESTO
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