Strage di Brescia 1974. Già condannato all’ergastolo per la strage del ’74. La parte di verità che manca ancora
Maurizio Tramonte, condannato definitivamente all’ergastolo per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 (otto morti e centodue feriti), è stato estradato nella giornata di ieri dal Portogallo, dove era stato rintracciato a Fatima, vicino al santuario dedicato alla Madonna, e arrestato dagli uomini dell’Interpol dopo la sentenza definitiva della Corte di Cassazione del 22 giugno scorso.
Un tentativo di fuga, il suo, disperato.
LA FONTE “TRITONE”. Tramonte, 65 anni, originario di Camposampiero (Padova), aveva aderito giovanissimo a Ordine nuovo, l’organizzazione terroristica neofascista fondata da Pino Rauti, divenuta tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta, il principale strumento esecutivo dello stragismo in Italia, da piazza Fontana in avanti, come sentenziato ormai dalla stessa magistratura in più procedimenti.
Collaboratore al contempo del Sid (il Servizio informazioni difesa), dal 1972 al 1975, con il nome in codice di “Tritone”, aveva partecipato, come accertato nell’ultimo dibattimento processuale (l’appello-bis di Milano del 2015), la sera del 25 maggio 1974, alla riunione di Ordine nuovo ad Abano Terme in preparazione della strage, tenutasi, sotto la guida di Carlo Maria Maggi, il capo dell’organizzazione nel Triveneto. Fu lì che si decise la messa a punto di una strategia volta a provocare attentati e stragi per «abbattere il sistema».
Da qui la presenza dello stesso Tramonte in piazza Della Loggia la mattina del 28 maggio 1974.
LA FOTO A PIAZZA DELLA LOGGIA Le testimonianze di alcuni detenuti, che tra il 2001 e il 2003 avevano condiviso con Tramonte lo stesso carcere, erano state decisive.
Due di questi, Vincenzo Arrigo e Renato Bettinazzi, avevano riferito delle confidenze dello stesso Tramonte in ordine alla sua presenza in piazza della Loggia al momento dello scoppio della bomba.
Ad Arrigo, Tramonte mostrò anche una foto che custodiva in cella, scattata nei momenti immediatamente successivi alla strage, in cui si era riconosciuto confuso tra la folla. Una foto che il perito incaricato ha ritenuto «compatibile» con le «caratterizzazioni morfologiche e metriche» di Maurizio Tramonte. Una rassomiglianza a dire il vero impressionante a occhio nudo comparando la foto in questione con quelle sue personali di quegli anni.
ARMATA E PROTETTA. Il Sid coprì sia Tramonte che Maggi, pur sapendo dei loro progetti criminali e nulla fece per impedire la strage. Un dato incontestabile.
Tramonte, nazifascista, ma anche informatore dei servizi, inviava, infatti, regolarmente al maresciallo dei carabinieri Fulvio Felli del controspionaggio di Padova i suoi rapporti. Ordine nuovo poté in questo modo agire indisturbato e attivare i propri depositi di armi ed esplosivi, in primis quello occultato al ristorante Scalinetto a Venezia, nella disponibilità di Maggi e Carlo Digilio, l’armiere dell’organizzazione, dove fu prelevata la gelignite con cui fu confezionato l’ordigno di Brescia.
Ordine nuovo nel Veneto era un vera e propria struttura armata. Si articolava in più cellule, da quella di Venezia-Mestre con Delfo Zorzi, a quella di Padova, costituitasi attorno alle figure di Franco Freda e di Giovanni Ventura. Una rete eversiva protetta dagli apparati statali e utilizzata in chiave anticomunista.
LE PISTE ANCORA APERTE. Maurizio Tramonte sconterà il suo ergastolo in Italia, Carlo Maria Maggi, ormai ottantenne e gravemente malato, condannato alla stessa pena, è agli arresti domicialiari a Venezia. Altri protagonisti di questa vicenda, come Carlo Digilio a Marcello Soffiati, sono invece da tempo defunti. Ma il percorso giudiziario non si è comunque concluso. Non tutta la verità è ancora emersa. Maurizio Tramonte non era stato probabilmente il solo a comparire in piazza della Loggia con funzioni operative.
Due sono, infatti, gli stralci di indagine ancora aperti a Brescia. Uno dalla Procura dei minori in cui si fa il nome di un altro ordinovista, Marco Toffaloni, un veronese all’epoca minorenne, ora in Svizzera con un’altra identità, forse a sua volta ritratto in alcune istantanee. L’altro riguarderebbe invece un notissimo dirigente sempre di Ordine nuovo. Entrambe le piste porterebbero nuovamente in Veneto.
FONTE: Saverio Ferrari, IL MANIFESTO
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