A partire dal libro “Miccia corta”, un confronto tra ex detenuti e un dirigente dell’amministrazione penitenziaria: da ruoli diversi e contrapposti a una visione non distante sulla necessità di ridurre il carcere, nella prospettiva di poterne fare a meno
Il quarto incontro previsto nell’ambito della rassegna “eVisioni eNarrazioni” ha presentato la nuova edizione ampliata e integrata con un supporto iconografico di foto e giornali dei cd. Anni di piombo del libro scritto da Sergio Segio “Miccia corta. Una storia di prima linea’’, che racconta gli anni in cui l’esponente di Prima Linea assaltò il carcere di Rovigo liberando Susanna Ronconi e altre tre detenute politiche il 3 gennaio 1982.
L’evento, tenutosi il 4 maggio 2017, ha visto la compresenza, non comune nel dibattito pubblico su questi temi, di due punti di vista diversi e contrapposti della vicenda e di quegli anni: da un lato, Sergio Segio e Susanna Ronconi, fondatori e appartenenti a Prima linea, un’organizzazione di lotta politica armata, e dall’altro, Luigi Pagano, ex direttore del carcere di San Vittore e attuale Provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
I relatori hanno cercato di porre in evidenza luci e ombre, criticità della vita carceraria (specie per i detenuti politici), sfumature, ruoli, motivazioni, emozioni e pensieri che costantemente caratterizzarono le loro vite in quegli anni e che è così difficile riuscire a trasmettere a tutti coloro che non li hanno vissuti sulla loro pelle.
La scelta della lotta armata di Prima Linea venne abbandonata ufficialmente nel 1983 dagli stessi appartenenti all’organizzazione, che durante i processi decisero autonomamente di scioglierla, consapevoli che quella stagione era ormai arrivata al declino.
Segio, che ha citato libri e articoli dell’epoca, testimonia come in quegli anni migliaia di detenuti, in gran parte detenuti politici della lotta armata di sinistra, fossero stati destinati al cosiddetto “carcere speciale’’. Tali istituti erano sottoposti al regime dell’art. 90 dell’Ordinamento Penitenziario che comportava in sostanza la sospensione di tutti i benefici previsti dall’ordinamento stesso. Una situazione che ricorda, per certi aspetti, la situazione odierna dei circa 700 detenuti che sono sottoposti al regime dell’art. 41 bis. Un confronto che è stato ripreso nel dibattito da Susanna Ronconi che ha ricordato come la spinta che portò i detenuti politici ad abbandonare il loro atteggiamento di radicale conflitto con le istituzioni venne favorita anche da posizioni meno dure da parte dello Stato.
Due fenomeni sono stati evidenziati nell’intervento di Segio ed entrambi gravitano attorno alla presenza della violenza nel carcere di quegli anni. Violenza perpetrata dagli agenti di polizia penitenziaria (e il ricordo passa attraverso la “Squadretta dell’Ave Maria’’, modo gergale che stava a indicare la squadra dei poliziotti torturatori). Violenza perpetrata dai militanti contro altri militanti, all’interno del carcere, perché i conflitti sorgevano anche tra le organizzazioni, o gli appartenenti alle stesse, e non sempre le autorità carcerarie potevano (o volevano?) porre in atto le adeguate precauzioni per evitarli.
Quando la violenza diventa la normalità prende il sopravvento il processo di disumanizzazione, l’altro non è percepito come umano e questo permette di agire con violenza.
Ancora Segio, raccontando come fosse stato organizzato un gruppo di magistrati antiterrorismo, ha fatto riferimento al cosiddetto “diritto penale del nemico’’ e alla concezione del diritto che talvolta sfocia in una tendenza latente e quanto mai pericolosa nel contesto giudiziario, a perseguire, ancor più che il reato commesso, specifiche categorie di soggetti, “nemici’’, appunto.
Segio ha ricordato inoltre il repartino bunker delle Molinette riservato ai detenuti con problemi sanitari, non meno terrificante del carcere. Nel ripercorrere diversi aneddoti di quei tempi, attraverso la lettura di passi di articoli e libri offerti alla platea, Segio ha ricordato con stima anche alcuni magistrati di sorveglianza, tra cui in particolare Alessandro Margara, per breve tempo anche a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Nel suo intervento Luigi Pagano ha invece ricordato i suoi primi anni di operatore penitenziario in cui venne “gettato” in prima linea (è proprio il caso di dirlo …) in istituti penitenziari in cui le rivolte, le evasioni e gli atti di violenza erano all’ordine del giorno non solo nell’ambito della detenzione politica, ma anche in quello della criminalità organizzata (gustoso l’aneddoto in cui il giovane vicedirettore del carcere viene snobbato da Raffaele Cutolo, celebre fondatore della Nuova Camorra Organizzata, in quanto non abbastanza in alto nella gerarchia penitenziaria: “sa, io sono l’equivalente di un direttore generale e non posso mica mettermi a parlare con uno come lei …”).
Passando all’oggi, dove Segio e Ronconi sono impegnati sulle problematiche penitenziarie in vario modo, anche con l’associazione Nessuno tocchi Caino e in precedenza con il Gruppo Abele, il discorso non ha mancato di porre uno sguardo attento e critico a ciò che è diventato il carcere, alle difficoltà della detenzione, a come la prigione conduca spesso ad un processo di deresponsabilizzazione e alle difficoltà che conseguono per il successivo reinserimento in società; reinserimento che purtroppo non avviene per tutti con le stesse opportunità, il che è quanto mai lontano dalle previsioni dell’Ordinamento penitenziario e della Costituzione.
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