Leggendo la nuova edizione di Miccia corta. Non si può che ascoltare ed entrare in punta di piedi, assieme all’autore, in una lunga marcia di riflessione
E’ una memoria che non fa e non si fa sconti, quella che ci viene restituita da Sergio Segio in Miccia Corta, non chiede e non vuole giustificazione, ma al contrario apre una finestra su un passato troppo velocemente e volutamente espunto dalla storia, ricordando meticolosamente e con precisione i fatti che determinarono quel decennio, senza nessuno scarto di responsabilità, ma analizzando lucidamente i fatti e gli antefatti.
Percorrendo la narrazione come se fosse un sentiero di montagna, appaiono le immagini della memoria, mai scolorite ma ancora vivide, dei compagni ammazzati dalle forze dell’ordine o dai fasci, li ritroviamo a uno a uno e di ognuno ricordiamo il nome, incontriamo le lacrime versate, i pugni chiusi alzati al cielo nel nostro dolore collettivo, ritroviamo il bisogno di rivoluzione di migliaia di giovani, i grandi ideali, le battaglie, il sentimento, quello con la S maiuscola.
Passo dopo passo, andando avanti, incappiamo nelle macerie dei nostri sogni, la dura sconfitta, la repressione feroce dello stato, il dissolvimento in mille rivoli diversi di un movimento come mai più ce ne sarebbero stati. E’ un sentiero tutto in salita, veloce, crudo nella sua emozionalità, che picchia sulle corde sensibili dei ricordi.
Poi il cammino si fa molto più stretto, apre la visuale sulle lande desolate e solitarie della carcerazione, della condanna non solo fisica ma anche della parola, dell’espressione.
Non si può che ascoltare ed entrare in punta di piedi, assieme all’autore, in una lunga marcia di riflessione.
Questo testo è una memoria importante, anche se sicuramente farà storcere il naso a molti, ma pace per loro, perchè non si può condannare all’ergastolo anche la memoria, soprattutto se tale memoria è tutto fuorché l’esaltazione o l’apologia della violenza.
E’ una lettura che non chiude un capitolo, ma al contrario ne apre altri e non si può finire il libro senza porsi una sfilza di domande: sulle migliaia di arresti compiuti in quegli anni, sull’uso indiscriminato di pentiti/pseudopentiti/ecc, ma soprattutto sulla pratica della tortura e le carceri speciali.
In uno stato, che ancora oggi non riesce a varare una Legge degna di essere chiamata tale sulla tortura, ma produce solo pastrocchi di difficile applicabilità, la prima domanda che sorge spontanea è proprio questa: quando e come questo stato aprirà i suoi armadi e tirerà finalmente fuori gli scheletri? Cos’è successo in quegli anni bui di carceri speciali e interrogatori “informali” condotti senza testimoni in luoghi spesso “appartati”? Chi controllava il controllore? Chi comandava quelle mani che spararono alla schiena di compagni disarmati nelle manifestazioni?
Domande che ancora oggi a 40 anni di distanza vogliono risposta.
Un grande lavoro in questo libro, che ci lascia dentro domande ricordi e sentimenti, corredato di imperdibili foto e articoli d’epoca, riapre un capitolo di storia per troppo tempo nascosto e dimenticato. Un grande libro.
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