Giorgiana Masi. La cornice scrostata di un omicidio senza alcun mistero

Ricostruzioni. Quarant’anni dopo l’uccisione, un libro di Concetto Vecchio racconta la giornata della morte di Giorgiana Masi

Giorgiana Masi fu assassinata quarant’anni fa, intorno alle 20 di una bella serata romana. Era appena arrivata all’altezza di ponte Garibaldi, dopo uno di quei pomeriggi di caos e battaglia che erano all’epoca frequenti. Aveva 18 anni, era una militante del movimento. Era inerme: la sua sola colpa era essere andata in piazza nonostante il divieto di manifestare per cinque settimane deciso dal prefetto su ordine del ministro degli Interni. Giorgiana stava scappando insieme a tanti altri: fu colpita alle spalle, stramazzò a pochi metri dall’estremità del ponte che porta verso Trastevere. Il fidanzato che la precedeva di pochi passi fu tra i primi a soccorrerla. La caricarono su una macchina. Morì prima di arrivare in ospedale.
Le forze dell’ordine erano a metà di ponte Garibaldi. Avevano espugnato la barricata che lo bloccava all’altra estremità, esitavano ad attaccare la seconda. Nessuno vide chi fu a sparare, ma le testimonianze furono unanimi e Giorgiana non fu la sola a essere colpita alle spalle. Gli spari partirono da lì. Quel giorno c’era in piazza, armato, un numero mai chiarito di poliziotti in borghese, furono immortalati in numerose fotografie, molti giornali fecero per una volta il dovere loro e sbugiardarono la versione addomesticata che negava l’innegabile.

FRANCESCO COSSIGA che era allora ministro degli Interni e che sostenne, forse mentendo, forse perché lui stesso ingannato, che in piazza di agenti travestiti da manifestanti non ce n’erano è tornato con la memoria a quegli anni decine di volte prima di scomparire. Di Giorgiana non ha quasi mai parlato nelle tante interviste o nelle memorie. In privato sostenne che si era trattato di «fuoco amico», e forse se ne era convinto davvero perché fare i conti con i sensi di colpa non è mai facile, ma messo alle strette ammetteva che si trattava solo di un’ipotesi.

Anche se i radicali non hanno mai smesso di ricordare Giorgiana e Marco Pannella fece l’impossibile per inchiodare la polizia e Cossiga alle loro responsabilità, lui stesso di Giorgiana parlava poco e malvolentieri. Sostenne fino all’ultimo che la decisione di sfidare il divieto per celebrare il terzo anniversario della vittoria referendaria sul divorzio e raccogliere le firme per una nuova ondata di referendum era stata giusta e che non avrebbe esitato a fare la medesima scelta in circostanze analoghe. Non c’è ragione di dubitare della sua parola, ma se non un rimorso di certo un dolore profondo se lo portava dietro.

SU QUELL’OMICIDIO ormai antico e non dimenticato ha scritto un libro Concetto Vecchio, firma pregiata di Repubblica: Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano (Feltrinelli, pp. 226, euro 18). È un bel libro, a cui non rendono giustizia le anticipazioni a effetto centrate sull’intervista a Giovanni Santone, l’agente di polizia le cui immagini in abiti civili e con la pistola in pugno impazzano da decenni. Vecchio, che all’epoca del fatto aveva sette anni, pur avendo alle spalle un libro sul ’77, cade in un certo numero di equivoci quando parla del Movimento, come quando parla di autonomi «infiltratisi» nelle manifestazioni, modello black block da vulgata, o come quando scrive che Lama all’università di Roma, nell’episodio chiave di quell’anno, «voleva invitare gli studenti a non disperdere nella brutalità la loro forza». Ma se la cornice è scrostata, il quadro è invece nitido, soprattutto nella prima parte del libro, e agghiacciante anche a 4 decenni di distanza.

Pur senza mai dirlo apertamente, Concetto Vecchio racconta e descrive perfettamente una giornata quasi unica nella storia della Repubblica, perché quel giorno, per molte ore, la democrazia fu sospesa, proprio come sarebbe avvenuto 24 anni dopo, il 21 luglio 2001 a Genova: le botte e gli insulti ai parlamentari, gli agguati e gli attacchi contro manifestanti ancora inoffensivi, la presenza massiccia e illegale di agenti in borghese armati, i colpi d’arma da fuoco sparati sin dal primo pomeriggio, e poi le bugie, le reticenze, gli inganni.

GLI AGENTI, come disse Cossiga, «erano inaspriti». Volevano vendicare il collega Settimio Passamonti, ucciso in uno scontro di piazza il 21 aprile. Il Pci premeva sul ministro perché si dimostrasse più fermo. Cossiga decise di lasciar fare, e in fondo importa poco sapere se lo fece coscientemente o chiudendo gli occhi

Chi abbia materialmente premuto il grilletto per uccidere Giorgiana non si è mai saputo e non si saprà. Ma dietro il suo omicidio non c’è nessun mistero, e in realtà, nonostante il titolo, il libro di Concetto Vecchio lo dimostra.

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