Roma. La sinistra romana riunita al funerale laico di Valentino Parlato, nella sala stracolma della Protomoteca, in Campidoglio
L’abbraccio ai familiari di almeno tre generazioni di giornalisti, intellettuali e lettori del manifesto. La sindaca Virginia Raggi: «Massimi onori a un grande uomo»
ROMA. Forse «si sarebbe nascosto sotto il tappeto» (immagine di Luciana Castellina), certamente avrebbe ascoltato con attenzione tutti, ma dalla terrazza, dove avrebbe potuto non smettere di fumare e ammirare con gusto la splendida vista sui Fori Imperiali. Quasi sicuramente si sarebbe concesso qualche break “cordiale” al bar, per liberare meglio il suo spirito ironico. E avrebbe sorriso, pensando anche lui, come Emanuele Macaluso, che il suo funerale almeno era servito a «vedere di nuovo riunita la sinistra» (con qualche incursione dei Cinque Stelle, però). Ma in fondo – ne è sicuro suo figlio Matteo – avrebbe apprezzato: «Questa sala gli sarebbe piaciuta». Anche se non si può che condividere il pensiero dei giornalisti Iaia Vantaggiato e Andrea Colombo che hanno salutato così il loro compagno, mentore, amico e direttore di una vita: «Avrebbe preso poco sul serio perfino la sua stessa scomparsa».
E invece la bara con le spoglie di Valentino Parlato è lì, al centro della sala della Protomoteca del Campidoglio, attorniata di fiori (anche la corona della sindaca di Roma) e coperta in parte perfino dalle bandiere arcobaleno pacifiste (a cui era poco avvezzo, a dire il vero) con cui qualcuno ha inteso salutarlo.
Attorno al feretro si sono riuniti, riempiendo all’inverosimile l’ampio salone e occupando anche parte della Scalinata del Vignola, almeno tre generazioni di parenti, amici, compagni, giornalisti, politici, intellettuali, lavoratori, lettori del manifesto. Si sono ritrovati quasi tutti coloro che sono transitati in 48 anni nelle stanze di via Tomacelli prima e di via Bargoni poi. Si sono strette mani che non si stringevano da anni. E a fianco al regista Citto Maselli sono apparsi i big del giornalismo: Corradino Mineo, Michele Santoro, Furio Colombo… E prima di Piero Fassino, Massimo D’Alema, Livia Turco, Rosa Calipari, Stefano Fassina, Fausto Bertinotti, Giulio Marcon o Fabio Mussi a rendere omaggio al fondatore del manifesto è arrivato perfino il presidente dell’Assemblea capitolina a Cinque Stelle Marcello De Vito, con tanto di fascia ufficiale.
NON A CASO, PERCHÉ quel comunista tanto ortodosso quanto eretico, sognatore e pragmatico, aveva confessato ultimamente di aver votato, al ballottaggio, per la sindaca del Movimento 5 Stelle. E Virginia Raggi non lo ha dimenticato: si è materializzata intorno alle 17,30, poco prima dell’inizio della cerimonia laica, e ha preso la parola, ringraziata dalla moglie di Valentino, Delfina Bonada, e dai figli Matteo, Enrico e Valentina.
Parole che emozionano Matteo Parlato, che però da degno figlio di Valentino sorride e sdrammatizza. Ricorda quel padre, quell’uomo, «che raccoglieva qualità antitetiche tra loro: sognatore e razionale; grande scrittore, cintura nera della sintesi, e allo stesso tempo ammiratore del lavoro manuale». Valentino era «capace di rinunciare a tutto, fuorché alle sigarette», ça va sans dire, ma sapeva anche apprezzare il lusso della vita. «Mi ha sempre colpito quanto sapesse avere a che fare con i soldi, che cercava sempre per il manifesto, senza che questi gli rimanessero attaccati alle mani. Una volta – ricorda ancora Matteo – gli ho chiesto come facesse. Mi ha risposto “omnia munda mundis“, tutto è pulito per chi è pulito». Di certo, come afferma Aldo Tortorella, «con Valentino e col manifesto nessun banchiere ha mai avuto da guadagnare neppure una lira».«Oggi l’amministrazione capitolina, Roma tutta, vuole tributare i massimi onori a un grande uomo che ha combattuto battaglie per rendere l’Italia un Paese migliore. – scandisce solenne la sindaca Raggi – L’ultima: l’anno scorso (intendendo la sua elezione, ndr). Ci ha insegnato a lottare. Solo una cosa voglio dire: grazie, grazie. Questo dice Roma».
ANCHE GABRIELE POLO, ex direttore di questo giornale, che con Valentino aveva stretto negli ultimi tempi un rapporto perfino più intenso di prima, ricorda come fosse «facile essere suo amico e compagno, facile lavorarci insieme. Facile litigarci. Discussioni però che si dissolvevano sempre con un abbraccio politico». Come Rangeri, anche Polo ricorda il «rigore» di un uomo che «ha frequentato il potere, lo ha studiato ma non lo ha mai voluto. E quando lo ha avuto, lo ha esercitato controvoglia». «È stato bello e facile – conclude Polo -. Il difficile viene adesso».
Adesso che la famiglia comunista (e il manifesto) è più sola di prima. Perché «Valentino era un comunista non pentito», come testimonia il suo caro amico, Emanuele Macaluso, che invita «chi vuole capire cosa è stato il comunismo italiano» a farlo attraverso «le biografie di coloro che aderirono» a quel movimento ideale. Così, guardando ad una vita «impegnata a costruire una cultura di massa, che è il motore della democrazia» (soprattutto attraverso quella «forma originale della politica» che è questo quotidiano comunista), diventa chiaro perché «Valentino non sia stato solo un militante e una colonna del manifesto, ma – conclude Macaluso – è stato innanzitutto una colonna della democrazia italiana».
«PARLATO A FEBBRAIO si era iscritto a Sinistra Italiana», racconta il segretario Nicola Fratoianni, motivando questa scelta con una frase: «In contrasto con la mia attuale tendenza a dimettermi da tutto».
Perché era così, Valentino: critico e autocritico, curioso. «Anziché abbandonarsi alla sfiducia, lui continuava a cercare», conferma Luciana Castellina. «L’unico tra noi a non aver mai avuto una carica pubblica – aggiunge colei con la quale Parlato ha fondato il manifesto, insieme a Luigi Pintor, Rossana Rossanda e Aldo Natoli – Non per timidezza o per scarsa autostima, ma al contrario per sana sicurezza di sé. Perché non aveva bisogno di valutazioni esterne». «E la bella ricchezza generazionale che c’è qui oggi – conclude Castellina – dimostra che Valentino è rimasto vivo. Fino alla fine».
PUR NELLA SUA COERENZA intellettuale e morale, pur nella sua partigianeria, Valentino Parlato mancherà a tutti soprattutto per la sua sensibilità, per la sua capacità di comprendere anche l’altra faccia della medaglia. Certo, come dice sua figlia Valentina, «per parlare con lui bisognava avere idee, altrimenti si annoiava». Però al manifesto – lo ricorda Matteo Parlato – aveva affisso un cartello con un aforisma di Groucho Marx: «Questi sono i miei princìpi, e se non vi piacciono ne ho degli altri».
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Lettere di amici e compagni per Valentino
Tante volte ti ho incontrato nel corso degli anni qui a Roma, al giornale o nelle assemblee e iniziative politiche, specie nel periodo del social forum e delle manifestazioni contro la
guerra. Una volta durante una assemblea fatta per salvare Il manifesto da una delle sue crisi, ti vidi fuori a fumare con un’espressione triste. Allora ti dissi. «Valentino non ti abbacchiare», e tu con battuta fulminante: «Ma io sono un abbacchio arrosto». Mi lanciasti uno sguardo d’intesa coi tuoi begli occhi luminosi e ironici e questo diceva tutto, che eri tenace, che non accettavi la sconfitta, che non ti arrendevi mai. Che bella persona! Grazie, Valentino, come quella volta ti mando un bacio con la mano.
Nella Ginatempo
Quando t’incontravo, ti salutavo con una stretta di mano dicendoti semplicemente: Valentino, è sempre un piacere vederti. Come si fa per un caro amico. Domani ti saluterò per l’ultima volta e mi mancherai tanto. Ciao Valentino.
Gianni Mereu
Caro Valentino, quante volte mi hai invitato e non sono riuscito a venire a trovarti. Anche stavolta non ci riesco. Ti ricordo sempre come un maestro di vita e di giornalismo, di signorilità e di ironia. Fumiamoci ancora una sigaretta insieme… Un compagno eretico come te, con grande affetto
Riccardo De Sanctis
La separazione da Valentino Parlato lascia un vuoto terribile in me e in tanti altri amici de il manifesto. Ho sempre apprezzato il gruppo fondatore, le loro capacità, le loro idee, il modo di porle, il modo di raccontare ciò che vedevano, anche quando vedevano situazioni non presenti ma che lo sarebbero state di li a qualche anno. Le analisi di Valentino sono tuttora importanti e necessarie. leggerle è ancora un arricchimento. E non dimentico che il manifesto ha avuto vita più lunga del Pci che li radiò. Il gruppo fondatore ha avuto successi e sconfitte, mi auguro che il gruppo di compagni che porta avanti il giornale sia all’altezza di chi li ha preceduti.
Io ho fiducia in loro. Ciao Valentino e grazie per tutto ciò che hai fatto per la sinistra e per questo giornale.
Flavio Gori
Voglio esprimere le mie più sincere condoglianze alla famiglia di Valentino Parlato. Un compagno vero e sempre in prima linea per il bene della sinistra. Uomini come lui, Ingrao e Berlinguer difficilmente torneranno ad affacciarsi sulla scena politica della sinistra. La sinistra riparta da Parlato e dai suoi insegnamenti. Un abbraccio.
Giampiero Zuccaro
Ciao Valentino e grazie. Trovare tutti i giorni in edicola il manifesto per tutti questi anni è fantastico.
Daniele Leardini Rimini
Valentino Parlato è morto. È morto un comunista che non si è arreso fino all’ultimo dei suoi giorni, nonostante il disastro che viviamo a sinistra. Mai interrotto l’impegno a ragionare su come uscire dalla crisi di valori, di prospettive per la sinistra, credo che a lui bene si possa applicare la frase di Gramsci: «La parola d’ordine: – Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà, deve essere la parola d’ordine di ogni comunista consapevole degli sforzi e dei sacrifici che sono domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di militante nelle file della classe operaia». Oltre ogni altro merito, io lo ringrazio per averci regalato il quotidiano Il manifesto, decenni di impegno, intelligenza e speranza per il futuro. P.S.: ti posso chiedere un favore personale? salutami tanto Luigi Pintor. Ciao Valentino, che la terra ti sia lieve.
Francesco Giordano
Da giovane ho avuto l’onore di conoscere Valentino, e ho avuto il privilegio di «crescere» seguendo le orme di persone rare. Il mio primo voto fu per Luciana Castellina. Quello che mi dispiace è che i giovani oggi non hanno persone di tale grandezza a cui far riferimento.
Annamaria Palo
La Flc Cgil Vercelli e Valsesia apprende con dolore la notizia della perdita del compagno Valentino Parlato e si stringe in un abbraccio alla redazione del manifesto. Scompare l’uomo, rimane l’esempio del compagno e del giornalista.
La commozione suscitata dalla morte di Valentino Parlato dovrebbe indurci a riflettere. Forse non si tratta solo di un altro pezzo della sinistra del Novecento che ci lascia; piuttosto sono proprio intellettuali come lui che hanno contribuito a loro modo ad aprire una stagione politica nuova, di cui siamo ancora poco consapevoli.
Una stagione nuova della sinistra, certo; difficilmente situabile, tuttavia, «più» o «meno» a sinistra, nel senso «geometrico» della parola. Come alimentare il «sogno» senza le riforme? Come dar forza alle riforme senza un orizzonte che si sposti di continuo, tale da contenere le aspirazioni e le «utopie» di ciascuno e di ciascuna?
Ecco: la dimensione utopica e quella riformatrice del pensiero e dell’azione politica paiono a tratti potersi ricongiungere, al di là di vecchi steccati. Consideriamo per un istante la parola «possibilità»: essa non delimita solo un campo, quello delle cose possibili; non si limita a escludere, a «chiudere».
Anzi: apre scenari inediti, lascia intravedere ciò che ancora non c’è, ricomprende risorse quali l’immaginazione e la creatività nello spazio pubblico e politico («il possibile contro il probabile», affermava Marco Pannella). Lungo tale solco si collocano testi come «Non c’è alternativa – Falso!», dedicato a Giorgio Napolitano, di un autore liberalriformista come Salvatore Veca. E sentii citare per la prima volta il libro «Guasto è il mondo» del compianto Tony Judt da un altro riformista, Giuliano Amato. Ecco: forse non si tratta ormai di «eresie», in quanto non vi sono «ortodossie» da difendere.
Si tratta semmai dell’espressione di un anelito di libertà, di una ricerca interminabile di condizioni di vita più umane.
Danilo Di Matteo
Mi chiamavi “vecchia bestia” … ora sommessamente urlo. Per me si sei, sempre.
Salvatore Polidoro
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