Cuba. Dopo 11 presidenti Usa, diverse crisi mondiali e vari tentativi di liquidare con ogni mezzo l’esempio cubano, la Revolución e il suo «lider maximo» sono ancora lì: 57 anni la prima, 90 – compiuti oggi – il secondo
Nell’ultimo decennio, Fidel Castro – che compie 90 anni oggi – ha vissuto lontano dal potere che occupava dal 1959. Nell’agosto del 2006, dopo un viaggio in Messico, venne operato d’urgenza e si temette per la sua vita. «Diverticolite acuta», fu la sentenza dei medici. Si vociferò anche di un cancro.
Il passaggio di consegne al fratello Raúl fu immediato, anche se divenne ufficiale nel 2011. Da allora in poi il comandante en jefe vive ritirato nella sua residenza a L’Avana con la moglie Dalia Soto del Valle e appare di rado in pubblico, come in occasione dell’ultimo congresso del partito comunista pochi mesi fa dove è persino intervenuto brevemente. Ogni tanto scrive le sue riflessioni per i giornali cubani e qualche nota storico/biografica.
Castro ha visto sfilare numerosi presidenti statunitensi nel corso della sua leadership: Dwight D. Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter, Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton, George Bush junior, Barack Obama. Presto sarà alle prese con il presidente numero 12 (va tenuto anche conto delle doppie presidenze di Reagan, Clinton, Bush junior e Obama). Obama, nel suo recente viaggio a Cuba, ha dovuto riconoscere che la politica americana contro l’isola «è stata fallimentare».
È quindi presto detto perché Castro appartiene ai miti viventi che hanno i nomi stampati sulle enciclopedie. Su di lui si può pensare tutto il male o tutto il bene possibile, resta il fatto che ha attraversato incolume oltre sessant’anni di storia contemporanea. Ha vissuto l’intero tunnel della “guerra fredda”, sfruttando a dovere la contrapposizione Stati Uniti-Unione Sovietica per ritagliarsi uno spazio nella politica mondiale all’ombra di Mosca, e poi – dopo il 1989 – ha saputo posizionarsi nella realtà internazionale diventata unipolare senza portare a un punto di rottura la contrapposizione con Washington e superando pure la crisi del “socialismo reale”.
Nel 1959, anno della rivoluzione cubana, alla guida dell’Unione Sovietica c’era Nikita Krusciov, mentre in Vaticano il Papa era Giovanni XXIII. Castro ha ricevuto nel frattempo a L’Avana Vladimir Putin, ultimo presidente russo, Giovanni Paolo II (il Pontefice della caduta del Muro di Berlino), Benedetto XVI, papa Francesco, molti leader latinoamericani e Jimmy Carter (unico ex presidente statunitense a tentare con Obama una riconciliazione con l’isola).
Fidel è stato pure tra i principali leader del Movimento dei paesi non allineati e ha incontrato innumerevoli personaggi che appartengono alla storia del XX secolo: Nikita Krusciov, Leonid Breznev, il maresciallo jugoslavo Tito, Salvador Allende, Malcolm X, Indira Gandhi, Nelson Mandela, Yasser Arafat, Hugo Chávez, i dirigenti del Fronte sandinista del Nicaragua, gli esponenti dei movimenti progressisti dell’Africa e dell’America Latina, tanti intellettuali a iniziare da Ernest Hemingway che visse a Cuba fino ai primi mesi del 1960.
Detentore di tre record
Oltre all’indubbio record della longevità politica, il presidente cubano detiene il guinness dei primati per il discorso più lungo della storia: il 24 febbraio 1998, un intervento di sette ore e quindici minuti di fronte al Parlamento cubano. Il terzo record detenuto da Castro è quello degli attentati contro la sua persona. Dopo il 1989, sono stati resi pubblici alcuni documenti della Cia su cui pesava fino a quel momento il segreto di Stato.
Dalla loro lettura si apprende che i piani per eliminare fisicamente il leader cubano sono stati 637 dal 1959 in poi, con una media di più di uno al mese. Usando sigari e pasti avvelenati, corrompendo alcuni suoi collaboratori, finanziando attentatori nel corso dei viaggi all’estero di Castro si è tentato in tutti i modi di assassinarlo. Gli attentati sono falliti uno dopo l’altro, grazie agli efficienti servizi di sicurezza cubani e alla buona stella di Fidel.
Il 13 agosto 1926 Lina Ruz González e Ángel Castro y Argiz, proprietario terriero del podere Manacas a Birán nella zona orientale di Cuba, hanno il loro terzo figlio: Fidel Alejandro Castro Ruz. Ángel Castro, nato in Spagna, era giunto a Cuba dalla Galizia con l’esercito spagnolo ai tempi della guerra ispanoamericana. Dopo la fine del conflitto, decide di rimanere nell’isola e nel 1904 va a lavorare presso la ferrovia della United Fruit Company.
Con i risparmi compra un podere a Birán, nei pressi della cittadina di Mayarí. Angel Castro sposa Lina Ruz González, nativa di Pinar del Rio (morirà nel 1963). Da questo matrimonio nascono sette figli: Angela, Ramón, Fidel, Juana, Raúl, Emma e Augustina. Ángel Castro muore nel 1957 e non assiste, a differenza di sua moglie, ai trionfi rivoluzionari del terzogenito.
In ossequio alle origini sociali di buona famiglia, Fidel è educato nei collegi La Salle e Dolores di Santiago e poi nella rinomata scuola privata gestita dai gesuiti di Belén a L’Avana, dove si diploma nel 1945. In quell’anno si immatricola presso la Facoltà di Giurisprudenza.
Nello stesso anno scopre la vita politica. Entra a far parte del gruppo studentesco Manicatos, che ha tra i suoi obiettivi quello di denunciare il degrado istituzionale e politico di Cuba. Nel 1947 aderisce al Partito ortodosso, formazione politica d’ispirazione democratica e nazionalista diretta da Eduardo Chibás.
Pur avendo molti amici tra le fila dei giovani comunisti, Castro appare negli anni universitari più attratto da posizioni nazionaliste e dal pensiero indipendentista di José Martí che da riferimenti marxisti. Nel 1950, dopo essersi laureato a pieni voti, inizia l’attività di avvocato e apre con altri giovani colleghi uno studio in via Tejadillo, nel cuore dell’Avana Vieja. I clienti che bussano a quella porta sono soprattutto operai e lavoratori poco abbienti.
Castro si candida alle elezioni parlamentari del 1952 tra le fila del Partito ortodosso in una delle circoscrizioni dell’Avana. Il 10 marzo il golpe di Fulgencio Batista annulla la competizione elettorale. Dopo il golpe, Castro si convince della necessità di intraprendere la lotta armata. Alcuni esposti giuridici presentati da lui stesso contro il colpo di mano di Batista non hanno avuto esito. I golpisti sospendono tutte le garanzie costituzionali promettendo elezioni entro il 1954.
26 luglio 1953, data fatidica
Il 26 luglio 1953 è la data che avvia la rivoluzione cubana sotto la direzione di Castro. Fidel e 165 militanti del Movimento 26 luglio – fondato da lui stesso – decidono di dare l’assalto alla caserma Moncada e ad altri luoghi strategici di Santiago di Cuba. L’iniziativa fallisce, 29 giovani sono assassinati. Castro è arrestato assieme al fratello Raúl e ad altri militanti.
Nel processo, il leader del Movimento 26 luglio pronuncia da solo l’arringa difensiva diventata famosa con il titolo «La storia mi assolverà». Quel discorso diventa il manifesto politico della rivoluzione cubana. Fidel e i militanti del suo movimento sono scarcerati il 15 maggio 1955, dopo ventidue mesi di prigione, grazie all’amnistia promulgata dal governo di Batista
Fidel si trasferisce in Messico, dopo un viaggio negli Stati uniti che serve a raccogliere fondi per il Movimento 26 luglio presso la comunità cubana. È in Messico che incontra per la prima volta Ernesto Che Guevara. Il 25 novembre 1956, a bordo della piccola imbarcazione Granma, 82 uomini (tra cui l’italiano Gino Donè) partono alla volta di Cuba.
Solo in 15 sopravvivono ai primi scontri con l’esercito batistiano, ma saranno appena 12 coloro che si uniranno a Castro per proseguire la lotta. Il braccio di ferro con l’esercito dura fino al 2 gennaio 1959, quando Guevara e Camilo Cienfuegos fanno il loro ingresso trionfale a L’Avana. Batista riesce a fuggire a Santo Domingo nella notte del 31 dicembre 1958. Castro giunge trionfalmente a L’Avana giovedì 8 gennaio 1959.
La rivoluzione radicalizza il suo programma già nei primi mesi del 1959. Il 15 febbraio Castro diventa primo ministro e da quel ruolo sconfigge le componenti moderate dello schieramento che aveva battuto la dittatura di Batista. Si profilano le prime decisioni politiche: la campagna di alfabetizzazione di massa, la riforma agraria, l’avvio delle nazionalizzazioni.
La scelta di una via «socialista» per la rivoluzione cubana è però annunciata da Fidel solo nell’aprile del 1961, alla vigilia del fallito tentativo di invasione mercenaria di Cuba finanziata dagli Stati Uniti (quella che va sotto il nome di «Baia dei porci»).
Nell’ottobre 1962 scoppia la «crisi dei missili». Il 14 ottobre un aereo spia di Washington fotografa una serie di basi missilistiche dotate di ordigni nucleari che i sovietici stanno costruendo a Cuba. Il presidente Kennedy dà l’ultimatum a cubani e sovietici: quelle basi vanno smantellate. Per rendere efficace il diktat, ordina alla sua flotta navale in assetto di guerra di circondare l’isola. Senza consultare Castro e il governo dell’Avana, Nikita Krusciov, da Mosca, ordina l’alt alle operazioni militari su territorio cubano.
Il ruolo di Ernesto Guevara
In queste prime fasi della rivoluzione al potere è Ernesto Guevara ad assumere il ruolo di colui che acuisce il dibattito e chiede una scelta netta tra opzioni politiche differenti. Castro si limita a seguirne la scia, a rafforzare il suo ruolo di leader indiscusso alternando prudenza e radicalità.
Guevara lascia ufficialmente Cuba nel 1965. È probabile che fino alla decisione di organizzare la guerriglia in Bolivia guidata da Guevara ci sia una divisione di compiti tra Castro e il Che: il primo farà lo statista in patria con l’obiettivo di istituzionalizzare la rivoluzione, pronto a nuove avventure rivoluzionarie se in altri paesi le guerriglie dovessero acquisire consenso; il secondo si assume la responsabilità di far uscire Cuba dall’isolamento in America Latina, condizione per liberarsi dall’abbraccio soffocante con l’Unione Sovietica di cui proprio il Che ha intuito il destino. La morte di Guevara nel 1967 in Bolivia chiude un’epoca della rivoluzione cubana e dell’America Latina. Cuba ripiega e si allinea all’Urss.
Nel 1988 Castro prende posizione nei confronti della politica di riforme avviata da Gorbaciov a Mosca: «Nella storia delle rivoluzioni non ce ne sono due uguali. Se si fosse dato retta ai classici del marxismo, quella cubana non ci sarebbe stata. Cuba non ha mai copiato gli altri paesi socialisti. Gorbaciov sta risolvendo i problemi dell’Urss. Noi abbiamo problemi diversi». Gorbaciov, accompagnato dalla moglie Raissa, arriva in visita ufficiale a L’Avana il 2 aprile 1989. Cuba è dipinta in quei giorni dai media come «l’Albania dei Caraibi».
Abbondano le previsioni su un «Fidel solitario e sconfitto», destinato a perdere i benefici degli anni della guerra fredda tra Mosca e Washington. Tra il 1989 e il 1990 un nutrito gruppo di giornalisti fa scalo a L’Avana. Vengono redatti articoli-fotocopia con gli stessi titoli: «L’agonia cubana», «Gli ultimi giorni di Fidel Castro». Quanto accade nelle altre capitali dei paesi del “socialismo reale” e la dipendenza di Cuba da quelle economie sembrano dare ragione ai profeti di sventure. Ma lo sconfitto sarà Gorbaciov, non Castro. L’Avana tenta un ritorno alle origini della rivoluzione ma deve aprire al turismo e ad alcune riforme economiche.
Tad Szlulc e K. S. Karol, due degli studiosi più documentati su Cuba, hanno individuato fin dagli anni Settanta nel centralismo onnivoro di Fidel il limite maggiore dell’avventura politica rivoluzionaria dell’Avana. Per alcuni decenni il suo dominio sulla politica cubana è stato assoluto: presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei ministri, primo segretario del Partito comunista, comandante in capo delle Forze armate di terra, della Marina e dell’Aviazione.
L’eccesso di centralizzazione di poteri nella figura di Castro resta in effetti uno dei limiti dell’esperienza politica di Cuba sotto la sua gestione. Nei discorsi degli ultimi anni, Fidel ha insistito pedagogicamente sulla certezza che Cuba non piegherà la testa perché il suo popolo ha acquisito una «profonda coscienza di sé e l’orgoglio dell’indipendenza».
A molti sembra di scorgere in quella fiducia il riaffiorare della giovanile formazione culturale in un istituto di gesuiti della capitale cubana: la missione della politica – quasi fosse una religione – è redimere l’umanità, rendendo uguali gli uomini e le donne nei loro diritti e nei loro stili di vita. Da qui la diffidenza di Fidel verso le diseguaglianze sociali indotte dall’economia mista introdotta nell’isola e dallo sviluppo del turismo. Comunque, la rivoluzione cubana e Fidel sono ancora lì: 57 anni la prima, 90 anni il secondo.
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