«L’artista noto come Banksy non è associato nè coinvolto in questa esposizione museale, tutte le opere presenti provengono da collezionisti privati internazionali e nessuna opera è stata sottratta alla strada» recita una nota a margine della mostra romana
Come lui nessuno mai: con Banksy la street art , quella per lungo tempo bollata come «imbrattamuri» o poco più, si è finalmente meritata un posto in Paradiso. O, meglio, nei musei (il Moco Museum di Amsterdam ha scelto di inaugurarsi in aprile con la mostra Banksy Laugh now), nelle aste (nel 2014 i suoi poliziotti che si baciano di Kissing Corps sono stati venduti al Fair di Miami per 420 mila euro), nelle segrete stanze dei collezionisti (tra i suoi massimi estimatori-compratori c’è la coppia Angelina Jolie-Brad Pitt).
La celebrazione definitiva arriva ora, forse in qualche modo anche a sorpresa, dall’Italia, da Roma. Dove il 24 maggio si inaugurerà Guerra, Capitalismo & Libertà, la più grande mostra mai dedicata all’artista britannico, nativo di Bristol, identificato secondo una ricerca della Queen Mary University con Robin Cunningham. classe 1973, mentre per qualcun altro si tratterebbe di un altro anonimo (sempre di Bristol), ma nato nel 1974. Mostra in programma a Palazzo Cipolla, ideata e promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro — Italia e Mediterraneo presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele, curata da Stefano Antonelli, Francesca Mezzano e Acoris Andipa.
Saranno 150 le opere (comprese una cinquantina di copertine di dischi) esposte fino al 4 settembre: un piccolo grande universo costantemente attraversato da tensioni politiche, questioni sociali, dubbi esistenziali che però non dimenticano (quasi mai) il fascino della poesia. Ecco dunque i suoi maxi-topi (uno dei simboli più conosciuti dell’arte di Banksy): innamorati con tanto di pennello e cuore dipinto; very glamour con i loro occhiali da star di Hollywood; militarizzati e muniti di radar; in versione pacifista; imprigionati dentro un’ampolla da laboratorio. E ancora: ragazze che abbracciano pericolosissime bombe pronte a esplodere; aborigeni a caccia di carrelli da supermarket; paesaggi romantici deturpati con la vernice spray; strani elicotteri da guerra con fiocco rosa; scimmioni dall’aria assai ingrugnata che dichiarano: «Ridete adesso che un giorno saremmo noi a comandare».
Sempre discusso, esaltato o ferocemente criticato a seconda delle occasioni: questo è il destino di Banksy. Che, lo scorso gennaio, aveva realizzato un graffito sul retro dell’Ambasciata francese di Londra raffigurante una giovane donna in lacrime (probabilmente ispirata alla Cosetta dei Miserabili di Victor Hugo) con ai piedi una latta di gas lacrimogeno e alle spalle la bandiera francese (un modo per criticare la politica di accoglienza verso i migranti): graffito immediatamente coperto. Banksy è, insomma, il prototipo dell’artista metropolitano che, spiegano i curatori, «vuole dare voce alle masse e a chi, altrimenti, non sarebbe ascoltato da nessuno». E che per farlo utilizza, in pratica, ogni tipo di supporto tecnico: la pittura su tela, lo spray sui muri, lo stencil, la stampa su carta, l’installazione, il cortometraggio (il suo Exit through the gift shop nel 2010 è stato candidato all’Oscar).
Anche se la strada rimane il suo palcoscenico per eccellenza, quasi a voler ribadire quella personale scelta di indipendenza che nel 2013 lo aveva spinto, ad esempio, a realizzare a New York un progetto denominato Better out than it nel cui ambito aveva venduto le sue tele su una bancarella per 60 dollari. «L’artista noto come Banksy non è associato nè coinvolto in questa esposizione museale, tutte le opere presenti provengono da collezionisti privati internazionali e nessuna opera è stata sottratta alla strada» recita una nota a margine della mostra romana. Realizzata, comunque, «con un corpus di lavori certificati dall’organismo denominato Pest Control destinato a autenticare le opere dell’artista».
Nelle stanze di Palazzo Cipolla si parlerà (per immagini) dei temi più amati di Banksy: la guerra, il capitalismo, la libertà. Proseguendo un percorso che, spiega il presidente della Fondazione Terzo Pilastro Emmanuele F.M. Emanuele, «darà voce a quella street art che vuole portare l’arte fuori dai musei, rendendola parte del nostro vivere quotidiano». Una mostra non-profit con una forte componente didattica, tipica dei lavori di Banksy, destinata stavolta in particolare alle scuole e agli studenti. E che probabilmente riuscirà a esaurire quella curiosità che da sempre circonda l’artista che nel 2015 aveva dato vita a(tra l’altro) Dismaland, l’esatto contrario del parco di divertimento «con i visitatori accolti da uno staff depresso e poco collaborativo». Un ultimo dato: la personale di Banksy del 2007 organizzata a Londra sempre da Acoris Andipa aveva raccolto 36 mila visitatori in «sole» tre settimane. Roma è pronta per battere il record.
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