Cuba. Per quanto riguarda le nuove relazioni con Washington, Raúl ha parlato di due paesi che restano distanti pur auspicando rapporti «civili» e «rispettosi della propria indipendenza e sovranità»
Con orgoglio e tenacia, Fidel Castro ha partecipato martedì scorso all’ultima giornata del VII Congresso del Partito comunista cubano. Non si è limitato a ricevere gli applausi degli oltre mille delegati convenuti nel Palazzo delle Convenzioni a L’Avana.
Sulla soglia dei 90 anni che compirà il prossimo agosto, indossando la sua nuova uniforme che da qualche anno è una tuta da ginnastica, inforcando un paio di occhiali da vista, senza rinunciare a stare eretto in piedi appena poteva per salutare i congressisti, ha pronunciato un breve discorso con voce sicura.
Fidel ha ripercorso la sua biografia spiegando come è diventato comunista e curioso del marxismo fin da quando era un giovane studente di giurisprudenza all’Università dell’Avana. Poi ha difeso questa identità e le scelte di Cuba socialista. Si è congratulato con il fratello Raúl per come ha gestito gli ultimi anni dell’isola, quelli che dal 2006 vedono Fidel lontano dal governo a causa di una prolungata malattia. Infine, la parte più emotiva dell’intervento: «Fra poco dovrei compiere 90 anni, non me lo sarei mai immaginato. È un capriccio del caso. Ben presto sarò come tutti gli altri. Per tutti arriva il proprio turno ma resteranno le idee dei comunisti cubani… Forse è l’ultima volta che parlo in questa sala. Vi ringrazio».
Il saluto di Fidel ha avuto il sapore del commiato. Ma pure l’intero Congresso è stato all’insegna del passaggio generazionale. Raúl Castro ha confermato che lascerà i suoi incarichi nel 2018. Gli ultraottantenni del gruppo storico che ha fatto la rivoluzione del 1959 sono ormai un sparuta minoranza. Il Congresso ha inoltre approvato alcune clausole che favoriscono il rinnovamento: nel Comitato centrale non bisognerà avere più di 60 anni per essere eletti, per le massime cariche non si dovranno superare i 70. Ora il testimone passa ai quaranta-cinquantenni.
A loro spetterà il compito di salvare le conquiste della rivoluzione, rinnovare il modello socialista e reggere la nuova sfida con gli Stati Uniti che sono meno aggressivi dopo la recente visita a Cuba di Barack Obama. L’impresa è titanica. Va dato atto al gruppo storico di aver lavorato con saggezza e lungimiranza a questo inevitabile passaggio di fase.
Chi sarà l’erede alla guida dell’isola è troppo presto per dirlo. Nei prossimi due anni affiorerà di sicuro più di una candidatura. Gli occhi sono intanto puntati sull’attuale vicepresidente: Miguel Diaz-Canel, classe 1960.
Politicamente, il Congresso ha confermato gli assi strategici dell’ultimo periodo. Raúl Castro ha ribadito con fermezza che aprire alcuni settori dell’economia al lavoro privato non equivale alla restaurazione del capitalismo: lo Stato non è più in grado di coprire alcuni servizi, quindi niente paura verso i «cuentapropisti» che hanno superato i le 500mila unità.
Nuova apertura pure alle imprese miste e a partnership straniere. Cuba ormai punta a un’economia mista con istruzione, difesa, previdenza e sanità saldamente in mani pubbliche. Il punto debole restano i bassi salari e le basse pensioni in una fase di crescita economica e aumento dei prezzi.
Per quanto riguarda le nuove relazioni con Washington, Raúl ha parlato di due paesi che restano distanti pur auspicando rapporti «civili» e «rispettosi della propria indipendenza e sovranità».
Da qui la reiterata richiesta che tutte le clausole dell’embargo vengano abolite e che si restituisca ai cubani la base militare di Guantanamo. Indietro non si torna, questa è la volontà dell’Avana. Vedremo se il nuovo inquilino della Casa bianca la penserà altrettanto.
Sul Congresso dei comunisti cubani hanno pesato infine le notizie che arrivano da Brasile, Argentina e da altri paesi latinoamericani dove sembra di assistere alla fine del ciclo progressista del recente passato e dove la destra sta affilando le armi per un ritorno generalizzato al potere. Anche in Venezuela, l’alleato più fedele di Cuba, le cose non vanno per il meglio.
Il «golpe bianco« in corso contro la presidente Dilma Roussef può avere conseguenze politiche sugli equilibri dell’intera America latina. Che L’Avana si sia garantito il buon vicinato non belligerante degli Stati uniti è un risultato importantissimo, oltre che una storica vittoria. Difficile che Cuba torni accerchiata e isolata come dieci o quindici anni fa.
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