Censiti 5.429 episodi di violenza e 23.371 vittime. Si presenta oggi a Roma l’Atlante delle stragi in Italia nel ’43-45. Consultabile online, documenta una realtà finora sconosciuta nelle sue effettive dimensioni
Donne e ragazzini arrivavano trascinando borse e carretti, con le scarpe sfondate e i vestiti a brandelli. Nella mattinata dell’11 settembre 1943 si era sparsa la voce che i reparti militari di stanza a Torino nell’Opificio di corso Belgio, angolo corso Regina Margherita, si erano dati alla fuga. La gente accorreva al deposito per impadronirsi di calzature, coperte, stoffe: beni assai rari e preziosi quando si è in guerra. All’improvviso una pattuglia tedesca era sbucata sparando all’impazzata e lanciando granate. I morti furono 17 e numerosi i feriti che riportarono gravissime menomazioni. Nei primi giorni dell’occupazione torinese, i nazisti non si erano risparmiati negli eccidi, eliminando 49 persone a cui si aggiungevano circa 100 feriti: non erano scontri tra militari, ma esecuzioni di inermi cittadini avvenute a Porta Nuova, in via Nizza, corso Stupinigi.
Al Nord, ma anche al Sud
Dal Nord al Sud, la distanza è breve se si parla di stragi dopo l’8 settembre: 14 carabinieri e un nutrito gruppo di impiegati, artigiani e operai vengono deportati da Napoli a Teverola, in provincia di Caserta. La colpa? Hanno tentato di difendere il palazzo dei telefoni. Prima di essere uccisi sono costretti a scavarsi la fossa. E non basta. La sera del 4 ottobre, ancora nei dintorni di Caserta, a San Clemente, un’esplosione provoca il crollo di alcune case. Muoiono 25 persone, tra cui 10 bambini. Le costruzioni ostacolano il transito delle truppe tedesche e le mine vengono innescate e fatte brillare senza che siano stati avvertiti gli abitanti.
Da Torino a Caserta i massacri insanguinano la penisola occupata dall’esercito di Hitler: dati e vicende fino a oggi completamente sconosciuti nelle loro dimensioni adesso li potremo visionare online. È stato messo a punto da un folto gruppo di studiosi l’Atlante delle stragi naziste e fasciste: l’impresa, realizzata grazie a un finanziamento del governo tedesco e a cui hanno dato tra l’altro il loro apporto l’Istituto per la storia del movimento di liberazione (Insmli) e l’Associazione partigiani (Anpi), sarà presentata domani a Roma al ministero degli Esteri.
«Questi numeri non ce li aspettavamo e il quadro è veramente impressionante», avverte Paolo Pezzino, responsabile del progetto. «Abbiamo censito 5.429 episodi di violenza e 23.371 vittime. In un recente passato eravamo convinti che il tetto massimo fosse di 15.000 decessi. Anche le categorie classificate riservano elementi di novità: agli antifascisti, agli sbandati, ai prigionieri di guerra e ai partigiani si sono aggiunti gli ebrei, i religiosi, i renitenti alla leva passati per le armi». Sono circa 4-500 – prosegue lo studioso – i reparti del Terzo Reich e della Rsi responsabili di stragi, in particolare la 16ª divisione SS e la Hermann Göring.
«Sono eccidi di massa compiuti spesso con un obiettivo “pedagogico”, per disinnescare qualsiasi desiderio di opposizione», commenta lo storico Bruno Maida. «Questa ricerca di livello europeo ci permette di ricostruire dinamiche e ragioni di tanta ferocia». L’Atlante porta nuove acquisizioni alla storia del conflitto mondiale e ricompone l’inaspettato mosaico di una guerra nella guerra: quella contro la gente comune. Fino a oggi si pensava che il Mezzogiorno fosse stato esente dall’oltraggio nazista. Invece non fu risparmiato dalla Wehrmacht: in Campania, per esempio, vi furono 430 episodi di violenza e 1.585 vittime dal settembre al dicembre 1943. Il triste primato degli omicidi in Italia se lo conquista la Toscana, con 4.465 vittime, seguita dall’Emilia con 4.313.
Cosa porta i nazisti a impegnarsi in questi gesti di estrema crudeltà? «Tutto può nascere dal caso: come reazione spropositata di fronte a banali forme di autodifesa, quando sono in atto dei rastrellamenti», osserva la studiosa Isabella Insolvibile. «Oppure, è un altro esempio, quando in campagna non si capiscono gli ordini, oppure come dimostrazione di forza e di superiorità».
Non solo tedeschi
Censire tutto questo vuol dire raccontare forme e modalità inedite di uno scontro in cui tedeschi e fascisti non fecero alcuna distinzione tra combattenti della Resistenza e persone che non avevano imbracciato le armi. «Il 30 marzo 1944 i partigiani uccidono un caporale tedesco, per cui vengono immediatamente arrestati tutti i componenti del Comitato militare regionale piemontese. Subito dopo, sempre a Torino, due gappisti, Giuseppe Bravin e Giovanni Pesce, freddano Ather Capelli, condirettore della Gazzetta del Popolo», ricostruisce la storica Barbara Berruti. «Il 2 aprile per rappresaglia saranno fatti fuori 32 uomini». Con questa azione, osserva la studiosa, si verifica un’ulteriore escalation. L’esecuzione avviene senza arresto né processo. I cadaveri verranno esposti in strada.
L’Atlante smentisce infine una vulgata storica assai consolidata: che i nazisti fossero gli unici attori sul palcoscenico di morte dell’Italia occupata. I tedeschi compirono da soli il 61 per cento degli eccidi e gli adepti di Mussolini fecero da supporto alle loro razzie (nel 14 per cento dei casi). Ma questi ultimi compirono molte imprese in piena autonomia (nel 18 per cento delle stragi), contraddicendo il mito dei fascisti e dei repubblichini trascinati nel fango e nell’ignominia dall’esercito del Reich. Tanti tasselli del puzzle sono così rimessi a posto e tutto è consultabile su www.straginazifasciste.it.
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