Nel ’76 usciva “Sugo” con “Musica ribelle” il cantautore risuona l’intero album in tour
QUARANT’ANNI di musica ribelle. Li festeggia Eugenio Finardi, bandiera della musica indipendente, autore negli anni 70 di canzoni divenute veri e propri inni generazionali come La radio, Musica ribelle, Oggi ho imparato a volare. Il cantautore con doppio passaporto (la madre, l’americana Eloise Degenring, era una cantante lirica, il padre Enzo un tecnico del suono a Bergamo) porta in tour canzone per canzone l’album che l’ha reso famoso, Sugo (stasera è ad Aosta) uscito nel ‘76.
«Lo riproporrò al contrario, dall’ultimo al primo pezzo», spiega Finardi rispondendo al telefono e interrompendo lo studio della chitarra, «sì, studio, perché non si finisce mai di imparare», dice. «Questo nostro concerto finirà con Musica ribelle e inizierà con La paura del domani, essendo quel domani ormai arrivato». Un futuro molto diverso da come si poteva immaginare allora, «soprattutto viviamo in un periodo in cui c’è molta paura del domani » dice Finardi, «tra ghiacci che si sciolgono, crisi dei migranti, sovrappopolazione. La generazione di mia figlia che ha 16 anni o di mio figlio che ne ha 25 ha molte più paure che speranze. Noi siamo stati gli ultimi ad avere un’idea di futuro ed era un’idea utopica, di benessere collettivo. Noi sognavamo di cambiare il mondo, i giovani oggi temono un mondo che sta cambiando. Hanno la sensazione che la ribellione sia impossibile, questo poi è l’anno in cui l’1 per cento ricco della popolazione mondiale, 70 milioni di persone, possiederà più degli altri 7 miliardi e mezzo che abitano la terra, e questo oltre che spaventoso appare loro ineluttabile».
La musica di Sugo era il risultato di un sogno collettivo, «proprio ciò che manca oggi, purtroppo Internet è fatto di tante solitudini non di vera condivisione ». Anche la realizzazione dell’album fu il risultato di un collettivo, Finardi aveva coinvolto alcuni tra i migliori musicisti italiani, tra i quali Patrizio Fariselli e Ares Tavolazzi degli Area, Paolo Tofani: «Eravamo un collettivo, 3 anni prima avevo conosciuto Demetrio Stratos alla Numero uno di Battisti e Mogol, dove avevo ottenuto il mio primo contratto discografico, eravamo diventati molto amici, anzi lui era il mio fratello maggiore. Così quando poi si spostò alla Cramps fondando gli Area, mi presentò e dal ‘74 andai anch’io. Era un’area molto fluida, io portai Walter Calloni, Lucio Fabbri e Alberto Camerini in quel gruppo, di cui facevano parte anche Battiato e Mauro Pagani in quanto amici di Demetrio, ci fu molta commistione».
L’album uscì in piena epoca cantautori ma aveva un passo diverso, c’erano diversi pezzi strumentali: «Era musica originale non la traduzione di qualcosa che arrivava da America o Inghilterra, c’erano mandolini elettrici accanto ai primi sintetizzatori, era la via italiana al rock. E poi c’era la mia scelta di cantare per il movimento, la mia ispirazione era in una frase di Marx che poi ho messo in Diesel e che diceva: “A ognuno secondo il suo bisogno e da ognuno secondo la sua capacità”, la mia era di fare musica. Credo che il motivo per cui le canzoni di Sugo siano ancora attuali, a cominciare da Musica ribelle, è che mettono al centro l’essere umano, non indicano un nemico ma un sogno»
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