25 aprile. In nome dell’anticomunismo, l’Italia repubblicana impedì l’epurazione nella magistratura, nelle forze dell’ordine e nell’esercito, proteggendo i criminali di guerra all’estero. Il codice Rocco è solo un esempio di questa eredità avvelenata
Gli eventi del 1943-45 rappresentando l’origine delle democrazia repubblicana hanno definito una linea di faglia della storia capace di conferire alle parole dei significati «pubblici» di grande carattere evocativo. Così la parola Resistenza, che di per sé richiamerebbe una tendenza alla conservazione, ha assunto il senso di un profondo moto di rinnovamento quando non di una «rivoluzione» da intendersi nei modi più diversi: nazionale, politica, civile, sociale.
In questa «lettura rovesciata» anche la formula della «continuità dello Stato» non si è configurata – come insegna Claudio Pavone – come «sinonimo di immobilismo». Essa ha invece rappresentato, attraverso una dinamica di sviluppo tutt’altro che statica, uno dei principali fattori di opposizione a quell’istanza di cambiamento che fu il nucleo valoriale della Guerra di Liberazione.
Venne profuso ogni sforzo, ad esempio, per impedire l’epurazione delle strutture dello Stato in seno a magistratura, forze dell’ordine ed esercito, così come si manifestò un particolare attivismo istituzionale (con la creazione di una Commissione ad hoc) volto a garantire l’impunità dei criminali di guerra italiani richiesti dai paesi aggrediti dal fascismo nei Balcani ed in Africa. Mentre gli effetti della «amnistia Togliatti» svuotavano le carceri e chiudevano i processi per gli eredi di Salò la stessa magistratura non epurata avviò una persecuzione giudiziaria contro migliaia di partigiani, per difendere i quali due padri della Repubblica come Lelio Basso e Umberto Terracini dovettero costituire i «Comitati di Solidarietà Democratica».
La linea «dinamica» della continuità permise, grazie alla Guerra Fredda, di collocare in nome dell’anticomunismo figure del regime fascista in ruoli chiave del nascente Stato repubblicano.
Ettore Messana, iscritto nella lista dei criminali di guerra delle Nazioni Unite, divenne capo dell’Ispettorato di PS in Sicilia ai tempi della strage di Portella della Ginestra subendo la «censura» del Tribunale di Viterbo per la sua condotta e per le relazioni intrattenute con esponenti della banda di Salvatore Giuliano prima e dopo l’eccidio. D’altro canto il suo successore Ciro Verdiani, ex responsabile dell’Ovra sul confine orientale, decise di festeggiare il Natale del 1949 in compagnia di Giuliano prima che quest’ultimo venisse ucciso dal suo ex sodale Gaspare Pisciotta assoldato dal colonnello dei carabinieri Ugo Luca, ex membro del SIM fascista, inviato in Sicilia dal ministro dell’Interno Mario Scelba.
Al ministero dell’Interno l’esponente dc chiamò a ricostituire il casellario politico centrale Giuseppe Pièche, capo della sezione del controspionaggio SIM inviato da Mussolini in Spagna nel 1936 e in Jugoslavia nel 1941, che fuggì a Malta dopo l’inchiesta del golpe Borghese del 1970. Il generale Gastone Gambara, iscritto nelle liste dei criminali per le stragi nei Balcani, fu membro della struttura di Edgardo Sogno «Pace e Libertà» indagata dall’allora giudice Luciano Violante per il tentato «golpe bianco» del 1974.
La «ragion di Stato» fu impostata come misura della transizione, incidendo profondamente sulla condotta della classe politica intorno al tema dell’eredità delle aggressioni fasciste ai paesi esteri.
In questo modo il nesso tra impunità per i criminali di guerra e fallimento dell’epurazione trovò un ulteriore rafforzamento costituendo una delle basi della continuità dello Stato. La proiezione totalizzante della rottura dell’alleanza tra le potenze occidentali ed il blocco orientale ridefinì una nuova dualità di campi internazionali che a differenza della fase 1943-1945 divise il fronte antifascista italiano -come ricorda Paolo Emilio Taviani nelle sue memorie- determinando una prima crisi dell’impianto costituzionale della Repubblica con il «congelamento» di alcuni dei suoi istituti fondamentali dalla Corte Costituzionale al Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro, dal Consiglio Superiore della Magistratura al referendum, ed il mantenimento del «codice Rocco» e di molte altre leggi del regime di Mussolini.
La continuità dello Stato si articolò come un processo per nulla statico e attraverso i suoi interpreti politici ed economici influenzò significativamente il rapporto storico dell’Italia con il suo passato operando paradossalmente, in particolare nel primo decennio repubblicano, una rottura più profonda con la Resistenza piuttosto che con l’eredità del regime.
Le vicende dei criminali di guerra e delle loro carriere nella Repubblica non rappresentano casi individuali ma vicende esemplificative di alcuni degli esiti della transizione evidenziando quanto i conti col passato siano vitali per una democrazia compiuta e confermando l’adagio di matrice proustiana secondo cui le decisioni definitive si prendono nei momenti provvisori.
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