Dublino meta dell’anno secondo il New York Times: dalla fabbrica dei biscotti al carcere dove i leader ribelli furono giustiziati. Tutti tranne una, la contessa Constance
Nel palazzo dell’Oireachtas, il Parlamento di Dublino, c’è il ritratto in stile impressionista di un’aristocratica in abito da sera, la contessa Constance Markievicz. È da quella donna elegante, che il suo popolo oggi ricorda come un’eroina in divisa militare, che inizia il viaggio della futura Repubblica d’Irlanda, cento anni fa.
Era il lunedì di Pasqua del 1916 quando un gruppo di nazionalisti organizzò a Dublino la rivolta armata contro il governo britannico che «occupava» l’isola. Tra di loro c’erano poeti, insegnanti, avvocati e anche un commando di femministe e suffragette, le «Cumman na mBhan», capitanate dalla contessa. L’unica che fu risparmiata, fra i leader dell’insurrezione condannati a morte, dopo che il loro sogno finì, il 30 aprile, tra le rovine di una città bombardata. Eppure da quei sei giorni di sangue, come poi scrisse il poeta William Yeats, «tutto cambiò, cambiò completamente, è nata una terribile bellezza». Era l’inizio della lotta che nel 1922 portò alla nascita del «libero» Stato d’Irlanda, con la separazione del Sud dal Nord ancora oggi britannico.
Quale occasione migliore, dunque, del centenario di quell’avventura coraggiosa e un po’ folle per visitare Dublino, eletta dal New York Times «the place to be in 2016», meta turistica dell’anno. Appena finiti i festeggiamenti di San Patrizio, la città è pronta a celebrare la Rivolta di Pasqua, o Eastern Rising, con una lunga serie di eventi, parate, musica celtica e, c’è da scommetterci, un fiume di birra nei pub.
La prima tappa consigliata è in una casa georgiana del 18° secolo, il Little Museum of Dublin ( littlemuseum.ie ), affacciato davanti ai giardini di Stephen’s Green, dove la contessa Markievicz eresse le barricate prima di arrendersi ai soldati britannici appostati sul tetto dell’hotel Shelbourne (ancora oggi lussuosa sosta per una notte o un drink al Horseshoe Bar). Fino al 24 aprile vi sono esposte 60 grandi (e delicate) illustrazioni dell’artista Fergal McCarty che raccontano la Rivolta sotto forma di cartoon. Piacciono ai bimbi ma aiutano anche gli adulti a capire cosa successe allora.
I 1600 «volontari», con poche armi e poco avvezzi ad usarle, occuparono l’edificio del General Post Office sulla centralissima O’Connell Street, la fabbrica di biscotti Jacob’s e altri punti strategici di Dublino, e proclamarono l’indipendenza dell’Irlanda da Londra. Speravano che il popolo li avrebbe seguiti. Non fu così. Si trovarono invece di fronte migliaia di soldati britannici. Il bilancio fu di 450 morti e oltre 2500 feriti, tra cui moltissimi civili. Buona parte del centro cittadino venne distrutto dalle cannonate. I rivoltosi rimasti in vita finirono nelle celle umide del Kilmainham Gaol, il carcere del 1796 oggi trasformato in museo, dove i quindici capi dell’insurrezione vennero fucilati all’alba. Allora erano degli sconosciuti, oggi Patrick Pearse, Tom Clarke, James Connolly – che dovette essere legato a una sedia davanti al plotone di esecuzione perché non si reggeva in piedi – e tutti gli altri sono «martiri» della nazione. Nell’edificio del GPO c’era anche un giovane di nome Michael Collins, che poi diventò leader della guerra d’indipendenza (interpretato magistralmente da Liam Neeson nell’omonimo film). Per rivivere le loro gesta si può salire sul camioncino simil-militare del «Freedom Tour» ( 1916tour.ie ), con tanto di guida in divisa dell’Irish Citizen Army, o visitare la Witness History Exhibition ( gpowitnesshistory.ie ) nel ricostruito edificio del General Post Office, che racconta attraverso reperti storici e installazioni multimediali il tormentato percorso verso la nascita della Repubblica d’Irlanda. O anche fare un salto alla mostra interattiva alle Richmond Barracks, la caserma che dopo il 1916 diventò centro di detenzione per migliaia di sospetti nazionalisti.
La parata della domenica di Pasqua, con oltre tremila soldati schierati, sarà l’evento più significativo del centenario. Ma il consiglio è di concedersi anche qualche extra, come una serata allo storico Abbey Theatre, dove fino al 23 aprile è di scena « The plough and the stars» , dramma provocatorio e ironico sulla Rivolta. A pochi passi dal teatro, vale una sosta gastronomica il Dublin Woolen Mills ( thewoolenmills.com ). Chi preferisce un fish & chips può optare per Leo Burdock, aperto nel 1913 ( leoburdock.com ). Per un pranzo veloce, a base di zuppe e sandwich, dirigetevi invece al 16 di North Great George Street, al Cobalt Café, un locale cool nascosto in una bella townhouse georgiana. E per tuffarvi nel mondo letterario prenotate un tavolo alla James Joyce House of the Dead, dove viene servito il menu della cena descritta nell’opera «The Dead», proprio nella stessa casa dove il giovane Joyce mangiò oltre 120 anni fa.
Un viaggio a Dublino non può dirsi concluso senza una pinta di birra. Bevetela nel tardo pomeriggio sulla terrazza panoramica della Guinness Storehouse, un imponente edificio in vetri a sette piani dove scoprirete i segreti della storia di questo marchio famoso in tutto il mondo. Per unire alla birra l’ascolto di musica irlandese scegliete un pub tradizionale, il O’Donogue’s o The Cobblestone Pub.
L’ultimo brindisi è per la contessa Markievicz che nel 1916 sfidò la corte che la giudicava: «Spero abbiate la decenza di fucilarmi», disse. La sua condanna a morte fu tramutata però in ergastolo e l’anno dopo arrivò l’amnistia. Nel dicembre 1918 gli irlandesi la elessero al Parlamento britannico ma lei non ci andò mai, rifiutando il potere di Londra. Diventò invece il primo ministro donna della neonata Repubblica d’Irlanda, mentre in Gran Bretagna le donne non sposate lottavano ancora per il diritto di voto.
Sara Gandolfi
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