Cuba. Un Obama disteso, malgrado la rabbia degli anticastristi, nella sua storica visita sull’isola della Revolución. Dopo un «franco» colloquio con Raúl Castro, i due leader hanno convenuto che permangono profonde differenze, ma vale la pena proseguire il dialogo
L’AVANA Ecco l’immagine dell’anno. Il presidente di origine afroamericana nella Plaza della Revolución, sullo sfondo, in due palazzi che circondano l’immensa spianata, i grandi ritratti del Che Guevara e di Camilo Cienfuegos, gli eroi della Rivoluzione guidata da Fidel Castro. Poco importa il clima grigio e una certa tensione che si avvertiva ieri mattina sia nel presidente americano sia nel vicepresidente Salvador Valdes Mesa, anche lui di discendenza africana, che ha accolto l’ospite. La valenza simbolica dell’immagine parlava da sola. Del rispetto e del riconoscimento ufficiale da parte del capo della Casa Bianca del governo socialista che di quella rivoluzione è frutto ed erede.
Poi, Obama ha reso un omaggio floreale a José Martì, l’«Apostolo» dell’indipendenza di Cuba, il poeta e politico che aveva messo in guardia dalle mire imperialiste degli Stati Uniti. Il presidente americano ha poi visitato il museo dedicato a Martí, firmando e scrivendo un suo commento nel libro degli ospiti. E confessando a una delle responsabili che gli sarebbe piaciuto ritornare assieme alla sua famiglia, quando non sarà più presidente, per visitare con più calma il museo.
Infine, finalmente, gli onori militari all’ospite che veniva ricevuto nel Palazzo della Rivoluzione da Raúl Castro, gli inni nazionali, con il più giovane dei Castro in completo grigio impettito e Obama con la mano destra sul cuore. Anche in questa immagine si avvertiva la tensione del momento, conclusione di un lungo processo di avvicinamento che ha portato all’inizio della normalizzazione tra Cuba e Stati Uniti dopo più di cinquant’anni di guerra fredda, ma che, per concludersi e diventare una scelta irreversibile deve superare ancora una serie di ostacoli. I principali sono senza dubbio la permanenza del bloqueo, l’embargo economico, commerciale e finanziario ancora «in pieno vigore» secondo la parte cubana e il problema dei diritti dell’uomo e della possibilità di espressione politica della società civile cubana, richiesta dalla Casa Bianca.
D’accordo sulle divergenze
E proprio su tali temi, dopo un lungo «e franco» colloquio, i due presidenti hanno convenuto che permangono profonde differenze, ma che vi è anche la volontà di continuare ad affrontarli «sulla base del dialogo» in «modo da convivere pacificamente e proseguire nella collaborazione su una serie di altri temi, come stiamo facendo».
Raúl Castro ha ribadito che l’embargo rimane in vigore, «nonostante la volontà del presidente Obama di eliminarlo» e che «gli effetti di tale misure sono quelli che impediscono lo sviluppo di Cuba e il benessere della sua popolazione». Inoltre, il leader cubano ha preteso la restituzione del «territorio illegamente occupato» dalla base americana a Guantanamo e ha ripetuto le divergenze in materia di politica estera, in particolare la preoccupazione per le manovre «di destibilizzazione in Venezuela che mettono in pericolo la stabilità del subcontinente latinoamericano».
In materia di diritti umani, il più giovane dei Castro ha ribadito che nella concezione di Cuba «essi sono indivisibili, non si può separare il diritto alla salute, all’istruzione, a un salario uguale per lavori uguali, dal diritto all’espressione politica». Quindi ha affermato che Cuba «si oppone alla manipolazione politica» dei diritti umani. Questo in linea con le posizioni sempre sostenute, ovvero che «non si può accettare che il popolo cubano rinunci alle scelte politiche liberamente fatte e per le quali ha lottato a lungo». Ribadite le «profonde differenze» Raúl Castro ha anche voluto ripetere che da entrambe le parti si è d’accordo nel proseguire il dialogo in modo da affrontare le differenze che permarranno ancora a lungo.
Da parte sua, Obama, dopo aver ringraziato il contributo all’avvicinamento in corso tra i due paesi dato da papa Francesco, ha affermato che gli Stati uniti «riconoscono la piena sovranità di Cuba e che il destino del paese deve essere deciso dai cubani» e non all’estero.
Però ha messo in chiaro che «l’America difende i diritti alla libertà di espressione e di stampa, come pure di riunione e intende contribuire a rafforzare i diritti politici della società civile». Il presidente americano ha ammesso però che i due paesi «hanno sistemi politiici differenti e che tali differenze resteranno perchè non possono essere eliminate da un giorno all’altro», ma anche che «su tali temi continueranno le trattative». Obama si è detto «sicuro che l’embargo verrà eliminato», anche se non può dire quando.
Il clima della conferenza è stato disteso, almeno fino a quando un giornalista statunitense ha chiesto al presidente cubano «perché a Cuba vi sono prigionieri politici». Irritata la risposta di Raúl, che ha chiesto di fornirgli la lista o i nomi di tali prigionieri politici «e io entro poche ore li metterò in libertà».
Sotto il fuoco incrociato
Obama si è dimostrato sicuro e abbastanza disteso nonostante sia sotto il fuoco incrociato da una parte degli esponenti anticastristi, soprattutto in campo repubblicano, che sostengono che gli Usa hanno concesso molto senza aver ottenuto nulla in termini di democratizzazione e di rispetto dei diritti umani. E dunque che di fatto la visita di Obama rappresenta un rafforzamento della «dittatura» castrista. Ma anche da parte di chi non è contrario al processo di normalizzazione, come il candidato repubblicano Trump, il capo della Casa bianca viene criticato per «trattare al ribasso».
In un’intervista concessa domenica all’Avana alla catena Abc, però Obama si è detto convinto che «vi saranno cambiamenti» a Cuba. «Credo, ha proseguito, che Raúl Castro lo capisca. Certo vorrebbe controllare la velocità di tali cambiamenti, però quello che continuerò a ripetere nei miei incontrri qui è che è meglio porsi alla testa dei cambiamenti che lasciare che questi ti sorpassino».
L’inizio della giornata però ieri si presentava plumbeo. Non solo a causa di un frente frio che imperversa sull’isola. Ma a causa della freddezza, con la quale il presidente americano era stato accolto lunedì all’aeroporto, seguita da una copertura della visita da parte dei mass media statali che aveva lasciato allibiti la maggioranza degli inviati stranieri. «Nemmeno fosse arrivato il presidente del Botswana», commentava acido un giornalista americano che guardava l’arrivo alla tv vicino a me al centro stampa.
Poi, la copertura integrale della visita promessa dalla tv cubana encadenada con la venezuelana Telesur era scomparsa. Silenzio sull’incontro del presidente col personale dell’ambasciata statunitense e sulla passeggiata della delegazione Usa nell’Avana vieja e sull’incontro col cardinale Jaime Ortega nella cattedrale della capitale. Infine, il tg della sera aveva dato una copertura minima, poche immagini, testi freddi come ghiaccio letti dagli speaker.
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