Cuba. Sul «Granma» le ragioni del lider maximo: «Non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla»
L’AVANA Al «fratello Obama» Fidel Castro risponde «non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla». Una settimana dopo il discorso pronunciato dal presidente degli Stati uniti nel Gran Teatro dell’Avana, il lider maximo della rivoluzione cubana rifiuta la «mano tesa di amicizia» offerta da Barack Obama se questo comporta dimenticare la storia degli ultimi cinquant’anni, il bloqueo/embargo nordamericano e varie aggressioni armate e terroristiche operate dal potente vicino del nord, sacrificando le conquiste del socialismo cubano per uniformarsi al capitalismo globale.
«Obama – scrive Fidel in un articolo pubblicato ieri dal quotidiano del partito comunista, Granma – ha pronunciato un discorso nel quale ha utilizzato le parole più sciroppose per esprimere che: ’È ora di dimenticare il passato e che noi guardiamo al futuro, che lo guardiamo assieme… come amici, come una famiglia, come vicini… un futuro di speranza’. Si suppone – continua il più vecchio dei Castro – che ognuno di noi corra il rischio di un infarto ascoltando queste parole del presidente degli Stati uniti. Dopo uno spietato bloqueo che è durato quasi 60 anni. E (come dimenticare) quelli che sono morti in attacchi mercenari a navi e porti cubani? E un aereo di linea (cubano) pieno di passeggeri fatto saltare in volo? E le invasioni mercenarie, i molteplici atti di violenza e di forza?»
«Nessuno si faccia illusioni che il popolo di questo nobile e generoso paese rinunci alla gloria, ai diritti e alla ricchezza spirituale che ha guadagnato con lo sviluppo dell’educazione, della scienza e della cultura», mette in chiaro Fidel che avverte: «Siamo capaci di produrre gli alimenti, le ricchezze materiali di cui abbiamo bisogno con lo sforzo e l’intelligenza del nostro popolo. Non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla». «I nostri sforzi – conclude – saranno legali e pacifici, perché è il nostro impegno con la pace e la fratellanza di tutti gli esseri umani che viviamo in questo pianeta».
Nel suo articolo, e usando citazioni di José Martí, Antonio Maceo e Bonifacio Byrne, Castro critica le similitudini tra la storia di Cuba e quella degli Usa segnalate da Obama («Entrambi viviamo in un nuovo mondo colonizzato dagli europei… Cuba come gli Stati uniti fu costruita dagli schiavi tratti dall’Africa») precisando che «le popolazioni native non esistono per nulla nella mente di Obama» e che «la discriminazione razziale fu cancellata dalla Rivoluzione, la pensione e il salario (uguali) per tutti furono decretati da quest’ultima prima che il signor Obama compisse i 10 anni». Fidel riprende e sviluppa l’argomento di base con cui altri leader indipendentisti e rivoluzionari, come Nelson Mandela (citato nell’articolo) e l’ayatollah Khomeini risposero alle offerte di riconciliazione che venivano dai potenti avversari: «Di fronte alla scelta tra il pane e la dignità, sceglieremo sempre la seconda», ebbe a scrivere il leader iraniano.
Il tono e le argomentazioni espresse da Obama nel suo discorso rivolto «alla società civile» di Cuba hanno indubbiamente impressionato e fatto presa su una parte (i più giovani) della popolazione. Da qui, il fuoco di sbarramento del governo. L’articolo del più vecchio (in agosto compirà 90 anni) dei Castro segue, infatti, una serie di altri scritti pubblicati sui due quotidiani del Pc, Granma e Juventud rebelde, da vari intellettuali cubani che, subito dopo la partenza di Obama dall’isola hanno espresso la posizione di Fidel, ovvero che non si può «voltare pagina» e mettere in cantina le conquiste (e il futuro) del socialismo cubano, solo perché lo richiede il capo della Casa bianca. Una tesi simile è stata al centro dell’omelia nella messa del venerdì santo pronunciata dall’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega. Il quale ha affermato che la riconciliazione nazionale (tra cubani dell’isola e della «diaspora»), così come tra Cuba e Usa deve fondarsi «sul perdono» e non dimenticando la storia. «Tra i paesi e tra di noi è necessario il perdono – ha sostenuto il cardinale. Perché? Perché la storia non si dimentica facilmente, ci sono offese che non si dimenticano».
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