Non basterà spostare il problema più a oriente per celare all’opinione pubblica europea scene agghiaccianti come quelle che ci giungono dal confine greco-macedone. Un grande movimento sovranazionale per la pace tra l’Europa e i migranti. Questo servirebbe
Ormai non lo si può più nascondere. Le guerre che ci incalzano più da vicino sono almeno due. La prima è quella che dal Medio oriente si estende fino alle coste libiche. La seconda è quella, unilaterale, che si sta combattendo lungo le frontiere orientali dell’Unione europea. E, in misura più circoscritta, a Calais.
È la guerra contro i migranti, poiché solo con un altra guerra si può tentare di respingere chi dalla guerra fugge. Nei Balcani, in Austria, in Ungheria, in Bulgaria, si fortifica la linea del fronte. In Francia si rade al suolo l’accampamento nemico, la «Giungla» sulle rive della Manica. Dall’altra parte, l’esercito dei migranti, uomini, donne vecchi e bambini, senza armi, senza odio, senza scelta, continua e continuerà ad avanzare, e a ingrossare le sue schiere. Non ha alternative.
La prima tregua, il primo trattato di pace da siglare è quello tra l’Europa e i migranti. Ma l’Europa si sta rivelando ancora più rissosa e divisa delle fazioni che dilaniano la Libia.
C’è poi la guerra combattuta dietro le linee dalle destre xenofobe che vanno conquistando consensi impensabili solo fino a poco tempo fa tra i cosiddetti moderati e tra le fila della stessa politica governativa. Un piccolo episodio per tutti: la signora Erika Steinbach, beffardamente responsabile del gruppo parlamentare Cdu/Csu per i diritti umani e gli aiuti umanitari, posta l’immagine di un pupo biondo circondato da persone di pelle scura e foggia orientale che gli domandano: «Ma tu da dove vieni?». Il titolo dell’eloquente scenetta è «Germania 2030». E non è la sola, tra i politici conservatori, a farsi paladina dell’identità minacciata del Volk e delle sue tradizioni. Senza contare gli squadristi di Pegida e di altre formazioni radicali, quotidianamente dediti ad attentati e aggressioni in un crescente clima da pogrom. Anche una volta varcate le frontiere della Germania per i fuggiaschi la guerra non è ancora finita.
Angela Merkel cerca di fare fronte alla deriva che direttamente la investe. Nella sostanza ha dovuto retrocedere, e non di poco, con la restrizione del diritto di asilo, la facilitazione delle espulsioni, la moratoria dei ricongiungimenti familiari, ma non può cedere sul principio e l’ideologia della chiusura. Significherebbe compromettere la sua figura politica, consegnare il partito nelle mani delle correnti più conservatrici, minare tutta un’architettura della stabilità costruita nel corso di anni. E, questa volta, ha disperato bisogno di salvare quella stessa Grecia che pochi mesi fa condannava all’ostracismo. Ad Atene precipitano tutte le contraddizioni d’Europa. Dopo avere subito, nelle forme drammatiche che abbiamo visto , la frattura tra il nord e il sud del Vecchio continente, la Grecia patisce ora pesantemente la frattura tra Est e Ovest. Di fatto isolata dall’area Schengen, in seguito alla blindatura sempre più intransigente e aggressiva dei paesi balcanici e di quelli dell’Europa dell’Est, Atene si trova ad affrontare una situazione catastrofica.
Intanto per il costo insostenibile sul piano economico, ma che presto potrebbe avere anche gravi ripercussioni sociali, malgrado la solidarietà fin qui mostrata dagli abitanti delle isole più toccate dal flusso dei migranti. Se la Grecia dovesse rovinare su se stessa questo non significherebbe solamente il fallimento della politica migratoria di Angela Merkel, ma una spaccatura, probabilmente irrimediabile, dello spazio politico europeo. E, visto le posizioni maramaldesche assunte dai governi dell’Unione nei confronti di Atene durante la crisi dei debiti sovrani, non c’è da attendersi oggi maggiore lungimiranza.
Tutti intanto si aspettano che dal cappello della crisi esca il coniglio della Turchia, disponibile in cambio di soldi a sistemare un buon numero di profughi sul proprio territorio. Qualcosa di non dissimile da quello che i paesi più poveri facevano con i rifiuti tossici. Visti i sistemi con cui viene governata la Turchia, il paragone rischia di non essere solo una malevola fantasia. Ma non basterà spostare il problema più a oriente per celare all’opinione pubblica europea scene agghiaccianti come quelle che ci giungono dal confine greco-macedone. Un grande movimento sovranazionale per la pace tra l’Europa e i migranti. Questo servirebbe
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