Guerra. La repressione del dissenso
Come è successo negli Usa dopo l’11 settembre, una misura straordinaria diventa la modalità attraverso la quale si normalizza l’andamento democratico in nome della sicurezza nazionale.
La repressione del dissenso è un punto cardine delle leggi antiterrorismo e dello stato di emergenza.
La guerra come risposta al terrorismo, i fili spinati e il Frontex per respingere donne e uomini migranti, la costruzione del nemico interno ed esterno sono le facce di una stessa logica securitaria e repressiva che connota sempre più l’Europa.
Ieri, alla biblioteca della Chiesa Valdese di via Marianna Dionigi 69, a Roma, si è discusso nel primo convegno europeo su questo nodo fondamentale, promosso dall’Osservatorio sulla Repressione e dall’associazione Sgattabuia, con Legal Team Italia e il gruppo della Sinistra Unitaria Europea al Parlamento Europeo (Gue/Ngl). Hanno partecipato, tra gli altri, esponenti del sindacato degli avvocati francesi, giuristi, attivisti e rappresentanti di lotte sociali, dai No Tav al portavoce della Coalizione internazionale sans papiers, migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Perché il fil rouge che lega lotte e movimenti in Europa, è, in questo momento, il fatto che le legislazioni speciali, mentre sospendono alcune libertà individuali per rafforzare e facilitare l’intervento delle autorità, siano sempre rivolte non solo a colpire la minaccia esterna ma anche quella interna. Le lotte sociali sono temute e vengono affrontate con la criminalizzazione mediatica e il pugno di ferro nelle piazze e nei tribunali.
Questo avviene oggi all’interno della “fortezza Europa”, dove i sistemi cosiddetti democratici sono sempre meno portatori di consenso popolare e il potere si tutela restringendo gli spazi di diritto e libertà. Il rischio che l’Ue si costruisca come entità politica e non solo di governance economica, che costruisca il suo popolo, il suo consenso, proprio sulla logica securitaria è molto alto. Gli stati diventano gli esecutori dell’ordinamento penale come dispositivo di prevenzione, organizzando il sistema penale intorno alla paura.
All’insicurezza sociale si risponde con l’implementazione delle istituzioni totali, una rete poliziesca e penale dalle maglie sempre più fitte. I Cie e le varie sigle che si usano per descrivere la detenzione dei migranti sono laboratorio di un meccanismo che si applica all’intera società. Viviamo ormai dentro una società di reclusi: siamo oggetto e soggetto delle politiche securitarie degli stati d’emergenza, reclusi e guardiani contemporaneamente.
E l’Italia è il paese dove da più di 40 anni si vive dentro uno “stato di emergenza”. Dall’emergenza per antonomasia che è stata la cosiddetta lotta al terrorismo, che ha prodotto la legislazione speciale ancora oggi vigente, è stato un susseguirsi di emergenze. In questo senso l’Italia è servita da laboratorio durante il processo di integrazione europea delle dinamiche di repressione e controllo sociale.
Basti pensare al reato di devastazione e saccheggio, una legge di matrice fascista introdotta dal codice Rocco nel 1930 e tutt’ora in vigore – siamo l’unico Paese ad avere una legge simile -, e dall’altra parte all’assenza del reato di tortura, come previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Con buona pace di tutte le pagine più nere degli ultimi anni: dalla macelleria messicana del G8 di Genova ai casi di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Carlo Giuliani, Franco Mastrogiovanni, Giuseppe Uva e purtroppo di molte altre vittime della violenza delle forze dell’ordine.
Solo opponendoci alle misure emergenziali, affermando la nostra libertà e la nostra necessaria agibilità politica, potremo rafforzare e far crescere le lotte sociali.
Dobbiamo opporci alla barbarie del terrorismo lottando contro i bombardamenti e le leggi speciali che invece alimentano la guerra al terrore.
La guerra non consiste solo in missioni militari e bombardamenti. La guerra è anche quella che subiscono quotidianamente i migranti – quelli che riescono ad arrivare vivi in Europa -, è anche quella di interi contingenti militari schierati come forze occupanti in Val Susa contro il movimento No Tav, è nelle strade delle città pattugliate dai militari armati, è il divieto di manifestare liberamente, come succede ora a Parigi, a Roma, a Madrid, con la ley mordaza. Lo “stato di eccezione” è uno “stato di guerra”.
* Osservatorio sulla Repressione
** eurodeputata de L’Altra Europa con Tsipras – gruppo GUE/NGL
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