Alex Langer, oltre Caino e Abele

Langer

Intervista a Edi Rabini presidente della Fondazione Alex Langer

BOLZANO. Alexander Langer ha collaborato per molti anni con il manifesto e c’è una ricca collezione di suoi articoli negli spazi della Fondazione Langer a Bolzano, dove abbiamo incontrato Edi Rabini, suo collaboratore storico e animatore di tanti progetti assieme a un nutrito gruppo di persone. “Una delle regole che Alex si era dato sin da piccolo – ricorda con un sorriso — era che per fare un buon lavoro sono necessarie tre cose: un buon indirizzario, un buon archivio di documentazione sulle cose di cui ci si occupa e un giornale che spinge a rendere pubblici, elaborare come attualità pubblica i temi su cui si sta riflettendo”. Per un lungo periodo, mentre in Alto Adige c’erano stati alcuni giornali alternativi come Tandem (una grande sfida all’epoca per porre in altro modo alcune problematiche, durata soltanto tre anni) e Südtiroler Volkszeitung, i luoghi in cui lui poteva parlare delle cose, giorno per giorno, erano il manifesto, Radio Radicale e Radio Popolare di Milano. Il filo col manifesto si era intensificato grazie all’incontro con Giuseppina Ciuffreda al convegno di Bolzano nel 1983 dedicato a L’Altro Sudtirolo/Das andere Südtirol (in seguito lei aveva partecipato a tutti gli eventi promossi da Langer). Con l’arrivo in Italia di Wolfgang Sachs nel 1986 e l’inizio di incubazione di ciò che si chiamavaCampagna Nord-Sud, biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito, legando il tema dell’ecologia al tema del debito e della vita quotidiana delle persone, il manifesto aveva ospitato una serie di articoli dello stesso Sachs, raccolti e pubblicati nel volume Ecologia e sviluppo. Questo tema fu poi coltivato dalla campagna che assunse una rilevanza internazionale in preparazione della Conferenza Mondiale di Rio nel 1992 fino a essere, proprio a Rio, riconosciuto come motore principale delle questioni dell’ambiente: come occuparsi di un ambiente abitato da popoli e come le persone grazie a quell’ambiente hanno la possibilità di vivere. Si voleva ripensare dunque la questione del debito, motivo per cui la comunità internazionale aveva spinto i paese più poveri a svendere il loro patrimonio per ripagare un debito finanziario che invece, secondo Sachs, era più un debito ecologico che, semmai, avrebbe dovuto essere ripagato dal Nord al Sud per l’impoverimento causato dai suoi interventi.

“Leggendo i materiali che la Fondazione ha acquisito e che unirà all’archivio di Alex – ci dice ancora Edi Rabini — è interessante notare che tutti i meccanismi che abbiamo visto in azione di recente con la Grecia, e ancor prima anche con Italia e Spagna, erano già stati esattamente descritti e funzionanti per altri paesi. Sono arrivati sin qui come un boomerang, perché non trattati a fondo a suo tempo e non essendone state studiate le conseguenze, colpendo i paesi più poveri dell’economia occidentale, ossia quella del ricco Nord. Per preparare il ventennale di Rio avevamo lavorato a lungo con Giuseppina, rileggendo l’intero materiale di quella Campagna Nord-Sud e i testi più significativi (erano numerosissimi) lei li aveva attualizzati con un’antologia ridotta della sua rubrica settimanale sul giornale in sintonia con l’approccio elaborato in quegli anni nel volumetto Conversione ecologica e stili di vita che, oggi, che Giuseppina non c’è più (morta il 7 luglio 2015, ndr) è anche un omaggio alla sua tenacia di trattare temi così ostici e importanti. A partire dal 1992 Alexander Langer fu via via coinvolto sempre di più nelle vicende dell’ex Jugoslavia e a questo dedicò tutte le sue energie fino al 1995 avendo riconosciuto in esse alcuni (con il rispetto delle proporzioni) degli elementi vissuti qui in Alto Adige, soprattutto nell’impianto che ha il conflitto di tipo etnico, religioso o nazionale”. E’ di questo che parliamo con Edi Rabini, presidente della Fondazione nata nel 1999, mentre già dal 1997 viene conferito il Premio internazionale Alexander Langer a personalità distintesi per un lavoro di pace in terre di conflitti. Il filosofo politico, insegnante e traduttore si era tolto la vita il 3 luglio 1995 perché “non ce la faceva più” consegnando il testimone ad altri che in suo nome portino avanti l’impegno per una convivenza pacifica. La pubblicazione di due volumi a distanza di vent’anni con edizioni alphabeta verlag va in questa direzione:Südtirol ABC Sudtirolo elaborato dallo stesso Langer nel 1989, lasciato incompiuto, “è un breviario di storia locale costruito per voci che parla tra le righe anche di Europa e di rapporti tra i popoli”, mentre Oltre Caino e Abele, a cura di Massimiliano Boschi, Adel Jabbar e Hans-Karl Peterlini, spiega intento e contenuto nel sottotitolo: Il Decalogo per la convivenza riletto e commentato in memoria di Alexander Langer 1995–2015.

In Bosnia Langer aveva trovato somiglianze convivendo anche lì tre etnie diverse…

Quando inizia a occuparsene dapprima partecipa ad alcuni viaggi di esplorazione, le Carovane di Pace, accompagnando intellettuali serbi e bosniaci locali andando in luoghi dove si stava incubando ciò che nessuno aveva pensato si potesse scatenare in una ferocia tale. Ancor prima, nel 1991, ci fu un viaggio analogo partito da Trieste per Belgrado, e passando per Sarajevo arrivò a Pristina nel Kosovo, dove le persone partecipanti, intellettuali dissidenti, erano già molto pessimisti, non avendo loro accettato di schierarsi come si stava invece schierando la politica. Nei testi (ora quasi tutti pubblicati sul sito www?.alexanderlanger?.org, ndr) vediamo aumentare l’allarme, finché in Bosnia dopo essere passato rapidamente in Slovenia e più intensamente in Croazia, nell’aprile 1992 precipita la guerra. Abbiamo trovato da poco una lunga conversazione, mandata trascritta da Vicenza, dove Langer riassume ciò che lui aveva visto sino allora in quelle zone. Dà l’idea, per la prima volta, del suo grande spavento di fronte a una situazione ormai incontrollabile (un estratto è qui accanto, ndr). Alla fine della lunga riflessione aveva definito quel tipo di guerra non un residuo di conflitti interni della ex Jugoslavia che si stavano riposizionando secondo linee nazionali e che poteva terminare con la definizione nuova di poteri nazionali all’interno di una repubblica che si era tenuta attraverso l’autorità di Tito ma non ne aveva creato gli appositi anticorpi. Langer lo vide come ‘inizio di un nuovo ciclo di guerre’ – una situazione tremenda, dove le armi più potenti non erano quelle tradizionali di cui la Jugoslavia era piena per via della politica militare di Tito, ma partivano dalla capacità di gruppi dirigenti a portare le persone a odiare il proprio vicino di casa, e a farlo in pochissimo tempo. Questo odio avrebbe causato, come già iniziava a causare, una spinta a creare territori puliti da un punto di vista etnico, e quindi flussi, anzi esodi di profughi che perdevano o per paura o per atti di violenza la propria dimora. Ripensando a ciò che era accaduto l’anno scorso in Ucraina, vediamo un meccanismo molto simile a quello che era successo in Bosnia: laddove c’è una conquista territoriale e subito dopo una costituzionalizzazione con artefici giuridici (una costituzione, un referendum per attribuire il potere al più forte), c’è anche l’espulsione di chi non è appartenente a quell’etnia.

Forte della sua esperienza in Alto Adige, Alex temeva una prosecuzione su altri piani del conflitto…

Nel giugno 1995, infatti, molto per merito del suo lavoro di informazione del Parlamento europeo (quasi tutti gli emendamenti approvati erano stati scritti da lui avendo quel rapporto quotidiano con l’intero territorio grazie a un Forum riunito con centinaia di personalità che continuavano a incontrarsi nonostante le grosse difficoltà, ndr), il Consiglio d’Europa su spinta dello stesso Parlamento approva una nuova direttiva sulle minoranze che nei suoi principi era rivoluzionaria e aveva avuto anche effetti qui in Sudtirolo: nell’articolo 3 si dice che ognuno ha il diritto di dichiararsi appartenente a una minoranza – questa fu eredità delle lotte per i diritti delle minoranze negli anni precedenti – ma nessuno può esservi obbligato e tanto meno ne deve subire danni inerenti a ciò.

Quali erano gli effetti di quell’articolo nel Sudtirolo?

Da noi la dichiarazione di appartenenza etnica non era frutto di un atto giuridico ma ad hoc e ciò che un tempo era ‘appartenenza’ nel 2003 fu cambiato in ‘aggregazione’. Fu certamente un atto importante, ossia non devi dire più ‘appartengo’ ma ‘mi aggrego’ a uno dei tre gruppi (tedesco, italiano o ladino) trasformandolo quindi in atto di opportunità. Nel 2007 dopo l’ennesima contestazione esce una norma di attuazione che toglie la valenza al dato dichiarato al censimento attribuendogli un valore unicamente statistico. Praticamente nel 2011 il dato di appartenenza etnica è tornato a essere quello che era prima del 1981: indicativo e persino modificabile. Il censimento è tornato segreto, atto di volontà e non obbligo, anzi opportunità, tanto da convincere molte persone immigrate di altri paesi a dichiararsi ‘aggregati al gruppo tedesco’ perché sentono di voler stare col gruppo più forte. La penalità nel voler modificare questo dato è che la sua validità parte soltanto uno o due anni dopo. In ogni caso, la norma che aveva spinto allo schieramento dei gruppi linguistici è stata considerata di fatto superata e le idee di Langer finalmente riconosciute come fondate. Ad Alex infatti fu impedito di candidarsi per le elezioni a sindaco di Bolzano nel giugno 1995 con una lista civica, dopo aver ottenuto il 17% a Bolzano nel maggio 1994 alle elezioni europee, perché lui si era rifiutato di fare quella dichiarazione di appartenenza etnica che allora era ancora in vigore come dato obbligatorio. Soltanto dopo la sua morte, i comitati elettorali iniziarono ad accettare il fatto che la dichiarazione indicata al censimento non fosse limitante per chi voleva candidarsi, ma bastava una dichiarazione ad hoc politica, e che Langer era disposto a fare.

Alla luce di tutto questo, considerando il suo ABC per il Sudtirolo, scritto per essere inserito in un volume a cura di Reinhold Messner poi lasciato lì, si riconosce la lungimiranza e la percezione dei lati spinosi e di come convertirli in aspetti positivi. Ciò che non mi torna è che Langer al pari di Baumann nella sua teoria di società liquida parla di convivere nell’apertura all’altro, che rimane un fatto che in Alto Adige fa paura. Mi chiedo: come mai ?

Qui si fa importante una cosa che ho scoperto da poco, nella campagna del 1981 contro il censimento che voleva creare le cosiddette ‘gabbie etniche’ e i cui motivi erano elencati in un libricino, che mi sono letto con cura: la dichiarazione etnica era stata paragonata all’opzione (nel 1939, per risolvere la questione alto-atesina era stata inventata congiuntamente dal regime nazi-fascista, per cui si doveva ‘optare’ per il gruppo tedesco o per il gruppo italiano, il che significava ‘andarsene’ nel Terzo Reich o ‘rimanere’ nella terra italica, ndr). Fu un pugno allo stomaco, allora, per il gruppo tedesco! Va detto che Langer aveva scritto il tutto con un linguaggio molto moderato e l’obiettivo era portare tutta una generazione, la mia, cioè i giovani negli anni settanta, che ingenuamente era convinta che se avesse vinto la rivoluzione egualitaria, socialista, il tema etnico non avrebbe più avuto molta importanza. C’era questa illusione. Invece, a un certo punto Alex si era accorto – e lo vide confermato nella questione della ex Jugoslavia – che il tema etnico è più forte. Il fondamentalismo è più forte di ogni spirito egualitario e lo vediamo dalle notizie che arrivano sui telegiornali… Lui si era accorto che aveva passato fuori dal Sudtirolo gli anni più importanti dell’attuazione della nuova autonomia iniziata nel 1972, non confrontandosi con essa. Alex era tornato in Alto Adige tra il 1978 e il 1980. Per dire, anch’io non avevo letto lo statuto dell’autonomia fino allora. Lui cosa diceva in sostanza? ‘Metto una leva, una controindicazione, allo spirito separatista, essendo il censimento non obbligatorio secondo lo statuto ma indicato come tale nelle norme di attuazione’. Era chiaro che nel censimento si applicò una metodologia che per legge non era obbligatoria.

Quel censimento era stato giustificato per gestire la proporzionale per cui i posti di lavoro nella sfera pubblica dovevano essere ripartiti secondo i dati emersi riguardo i vari gruppi etnici?

No, la proporzionale c’era prima del 1981 e c’è tuttora, col censimento nel frattempo tornato anonimo. Langer invita tutti a rifletterci, si era fatto eleggere in consiglio provinciale proprio per essere attivo politicamente e non fare soltanto il parolaio. Ha voluto misurarsi con quell’istituzione, combattuta. Lui non nomina mai la proporzionale nel fascicolo, è un terreno diverso, perché nello statuto si parla attuazione entro trent’anni e ciò non significa affatto che la dichiarazione etnica è definitiva. A questo proposito in Oltre Caino e Abele (il secondo testo pubblicato da alfabeta per il ventennale della morte di Langer, ndr) c’è un bell’intervento di Arno Kompatscher, il presidente della provincia, assolutamente non demagogico. Lui pensa a una diluizione di tutti i meccanismi proprio poggiando sulle tante diverse identità che una persona può avere. Per se stesso fa l’esempio della musica jazz. In tanti campi lui ha già visto un superamento, applicandola ormai a un numero ristretto nell’impiego pubblico visto che tanti servizi sono privatizzati. Nella scuola e formazione professionale non c’è e altrove si fanno molte deroghe. Alex si era sempre portato dietro lo statuto d’autonomia quando andava in territori con minoranze etnico-linguistiche, sottolineando sempre di non usarla come sistema per dividere e non dargli carattere permanente di governo. E’ interessante che nel 1994 scrive i dieci punti per la convivenza (punto di partenza per la riflessione teorico-politica nel testo già citato Oltre Caino e Abele, a cura di Massimiliano Boschi, Adel Jabbar, Hans-Karl Peterlini, ndr): vi fa appello all’iniziativa civica. Nonostante ci sia un punto dedicato alle leggi, Langer preme sul fatto che il tema della convivenza etnica è innanzitutto un tema che riguarda la società civile. Le leggi non devono ostacolarla ma non si può nemmeno chiedere una legge per regolamentare la convivenza: essa va fatta di persona, una a una, con incontri, scambi, frequentazioni, letture, conoscenza.

L’NTERVENTO

“La disponibilità, oggi, a usare violenza è il primo punto da individuare in un lavoro di pace”. Lo aveva detto Alexander Langer nel lontano 1992 in uno dei suoi tanti interventi nel periodo della guerra in ex Jugoslavia. Qui era a Vicenza, il 12 novembre, dopo un viaggio di ricognizione nelle terre dilaniate da conflitti etnici con la Carovana della pace composta da intellettuali dissidenti jugoslavi erano partiti da Trieste per arrivare a Belgrado dopo aver toccato i punti più caldi a quell’epoca, ossia Zagabria in Croazia, Skopje in Macedonia, Pristina nel Kosovo. Ne voglio citare un passaggio non soltanto per ricordare lui e la sua lungimiranza, com’è stato fatto a Bolzano in Sudtirolo e per segnalare due libri pubblicati da edizioni alphabeta verlag con sede a Merano nel ventennale della sua morte (avvenuta il 3 luglio 1995), quanto perché ci racconta un dato illuminante per la odierna e sempre più accanita jihad condotta dai fondamentalisti islamici. Alla luce di ciò la si potrebbe considerare anche come estensione di quella guerra della fine del Novecento in cui lui aveva visto “un pericolo molto grave per la pace in Europa e in generale nel mondo”, sottolineando ripetutamente che “chi lavora sulla pace, sul tema della convivenza, deve approfondire molto la questione dell’esclusivismo etnico” rischiando altrimenti il “prevalere dell’idea che ogni convivenza non può che portare conflitti e pertanto è meglio evitarla”.

Veniamo al punto chiave. “Tornando alle risultanze della visita nella ex-Jugoslavia credo di poter dire secondo testimonianze e informazioni temo attendibili che ci sono qualcosa come tra 60mila e 100mila morti in Bosnia-Erzegovina. Forse di più. La grande maggioranza forse il 90% di questi morti sarebbero musulmani. Lo sottolineo per due ragioni: un po’ perché i musulmani sono in questo conflitto la parte che non ha un potente vicino, quindi più esposta all’aggressione; un po’ anche perché non è da sottovalutare cosa significa questo per tutto il mondo islamico. Questi musulmani non sono stati finora ‘culturalmente musulmani’, era più un’eredità, una tradizione che voleva dire ‘slavo-islamizzato non particolarmente schierato né da parte croata né da parte serba’. Infatti scrivono con lettere latine, la loro lingua era ancora serbo-croata; infine parliamo di popolazione molto urbanizzata. Così come nel mio piccolo Alto Adige le città sono più italiane, così durante la conquista turca vennero islamizzate le città perché è lì che si insediano i nuovi padroni, è lì che l’influenza culturale delle potenze conquistatrici è più forte. Le campagne rimangono in genere quello che erano prima, dovunque.

Ecco, il fatto che questi musulmani adesso siano come obbligati a fare della loro ‘musulmanità’ l’elemento anche politico che li distingue, li spinge inevitabilmente molto al di là di quello che loro vorrebbero. Incominciano a dire: ‘se vogliamo fare gli islamici, facciamolo davvero!’. Vengono così stimolati gli integralismi religiosi e un senso della differenza. Proprio com’è successo agli ebrei: molti ebrei secolarizzati, assimilati, di fronte alla persecuzione o anche all’antisemitismo risorgente erano diventati ebrei militanti, molto più di quanto non lo fossero mai stati prima. Questo significa che il mondo islamico potrà dire che ‘in Europa possono macellare impunemente i musulmani’, dopo che già l’Europa si mostra quasi insensibile alla sorte dei palestinesi. Anche questo avrà delle conseguenze molto gravi. In particolare, dal punto di vista culturale si rischia di accentuare una distanza tra mondo ‘cristiano’ (anche qui in senso culturale, non religioso) e mondo ‘islamico’. Dal punto di vista geopolitico significa che chi rappresenterà in qualche modo uno scudo islamico diventerà un punto di attrazione molto forte. Nell’immediato sarà probabilmente la Turchia, ma poi potrà essere qualcun altro, l’Arabia Saudita, l’Iran e la Libia. E’ un elemento che renderà più difficile anche l’integrazione europea, una nuova Europa. Sono tutte cose che ci riguardano.” (testo inedito, pubblicato per la prima volta col titolo La lezione bosniaca sul Quaderno della Fondazione Alexander Langer n. 4, ottobre 2015)

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