Venaus. Splende il sole sul corteo di ventimila persone che ricorda l’inizio della protesta della valle. Una scuola di politica che promette di durare un minuto di più della grande opera
Gli stessi passi, la stessa lotta, solo con qualche ruga in più. Dieci anni dopo, il movimento No Tav torna a Venaus dove, l’8 dicembre del 2005, liberò il presidio da cui era stato cacciato a manganellate. Fu il giorno in cui una comunità prese consapevolezza della propria forza e della propria storia. Una comunità che diceva no a un’opera inutile e dannosa e rivendicava il diritto a contestarla e anche a fermarla. E che dimostrava tutta la sua natura popolare. Testimoniata ancora dallo striscione in piemontese «Dai nonu ai cît» (dai nonni ai bambini), che ha aperto uno degli spezzoni della marcia.
Ieri, in ventimila hanno percorso la strada da Susa a Venaus: un corteo coloratissimo fino a quel prato che doveva essere il cantiere dell’alta-velocità e grazie al movimento non lo è diventato. «Abbiamo resistito dieci anni e giuriamo di poter resistere altri dieci anni», ha detto Lele Rizzo, uno dei leader della protesta. «Ma soprattutto possiamo giurare — ha aggiunto — che lotteremo e resisteremo per tutto il tempo necessario per cacciarli via uno per uno, portandosi dietro tutte le viti, le reti e il filo spinato che ci sono dentro quel cantiere, con le ingiustizie che quotidianamente vengono commesse per realizzare un’opera che ancora oggi sfidiamo chiunque a ritenere utile».
La nebbia è rimasta in pianura, a Venaus splendeva il sole; e sono rimasti a bocca asciutta anche gli uccelli del malaugurio che fotografavano un movimento stanco ed egemonizzato da presunti estremisti. Non è così, e non lo diciamo per una strenua difesa, bastava percorrere i prati di Venaus per farsene un’idea tra teste bianche e ciocche colorate che ieri hanno composto un mosaico di storie di resistenza nell’estremo Nord d’Italia, a due passi dalla Francia.
Le ragioni della protesta restano immutate. «Continueremo a far girare le scatole», ha ribadito Alberto Perino. In marcia anche numerosi amministratori locali capitanati da Sandro Plano, sindaco di Susa, presente anche il primo cittadino di Rivalta e quelli di Alpignano e Venaria Reale, comuni che da poco hanno deciso di lasciare l’Osservatorio Tav, nato nel 2006 come tavolo di confronto istituzionale, ma che presto perse la sua ragion d’essere e la sua autonomia. «Sono cambiate tantissime cose, ma il sistema politico-istituzionale non è riuscito a smontare le ragioni della nostra opposizione alla Torino-Lione», ha spiegato il sindaco di Venaus Nilo Durbiano. «Non dico che si possa ancora pensare alla cosiddetta “opzione zero”, ma si deve puntare, e resta tempo per farlo, sul potenziamento massiccio della linea storica esistente, evitando di realizzare la stazione internazionale a Susa, un vero schiaffo in tempi di crisi». Presente al corteo anche il deputato M5s Alessandro Di Battista.
Dieci anni per un movimento possono essere un’eternità, i No Tav smentiscono l’assioma: sono stati e rimangono la più grande realtà di opposizione popolare in Italia, sono stati una scuola di politica, quando la militanza e l’attivismo diventavano tabù, e calamita per molte altre esperienze: ieri sono arrivati in Val di Susa da Alessandria e Genova (i No Terzo Valico) e i comitati contro l’alta velocità Brescia-Verona. Nei prossimi giorni la protesta si sposterà in tribunale, dove venerdì riprenderà il processo d’appello a quattro attivisti, Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, condannati in primo grado a tre anni e mezzo per il «sabotaggio» al cantiere di Chiomonte nel maggio 2013. Il procuratore generale Marcello Maddalena ha ripresentato l’accusa di terrorismo da cui erano stati assolti. Dovrà tenere conto della sentenza della Cassazione che ha recentemente rigettato il ricorso avanzato dalla procura nei confronti di altri militanti coinvolti in quell’assalto. Per la Suprema Corte l’azione non fu terrorismo.
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