Bologna. Liberati i manifestanti che andranno a giudizio per direttissima. Il leader della Lega: «La giustizia italiana mi fa schifo»
«Questa è la mia città, io non mi muovo da qui». Due del pomeriggio, Piazza Maggiore. La polizia tenta di allontanare un gruppo di manifestanti antirazzisti arrivati alla spicciolata per contestare la Lega e, tra balli e canti, urlare che «Bologna è meticcia». Quando gli agenti avanzano con scudi e manganelli, i presenti alzano le mani, poi danno vita a un festoso sit-in con tamburelli e copie della Costituzione in bella vista. E’ stato un «no» a Salvini corale e eterogeneo, quello di domenica sotto le Due Torri: dai grandi cortei antifascisti alle feste di piazza con dj set, fino a chi si è messo a girare per il centro appendendo cartelli con l’art. 3 della Costituzione che garantisce pari dignità sociale davanti alla legge senza distinzioni di razza, lingua e religione.
La risposta del popolo leghista è spesso stata scomposta, a base di insulti, spintoni e saluti romani. Segno che tra i 20 mila di Piazza Maggiore c’erano sì le famiglie con i passeggini che Salvini aveva annunciato, ma anche una nutrita presenza fascista. E anche curiosi (e bellicosi) soggetti vestiti con le mimetiche dell’esercito russo e foto di Putin al petto. Non tutti gli anti-Lega sono riusciti ad arrivare in Piazza Maggiore. A Flavia, nemmeno 20 anni, è stato impedito il transito in via Rizzoli perché armata di un foglio con scritto sopra a pennarello «Pace, amore e mai con Salvini».
Più complicata la situazione dei cortei antifascisti. Gli autonomi di Crash e gli occupanti di Social Log hanno trovato sbarrato da carabinieri e poliziotti il ponte di via Stalingrado, primissima periferia di Bologna. Gli agenti, rimasti immobili, si sono fatti circondare da un secondo corteo guidato dal centro sociale Tpo e dal collettivo Hobo. Mille persone da una parte, poco meno dall’altra. In mezzo ai manifestanti, circa 70 agenti con l’ordine di non fare riunire i due gruppi. Nonostante le trattative, ci sono stati tafferugli e cariche di alleggerimento. Molte manganellate, qualche militante in prima fila che ha riportato ferite lievi, un dirigente della polizia finito in ospedale perché sarebbe stato colpito da una bomba carta, almeno quattro agenti feriti e tre attivisti fermati e rilasciati ieri (saranno processati per direttissima il 23). «Sbarramento assurdo della polizia che impedisce confluenza dei cortei. Forze del disordine. Questore inqualificabile», scriverà su facebook il consigliere comunale Mirco Pieralisi. Ma la sua, tra chi siede tra i banchi di Palazzo d’Accursio, è una voce isolatissima.
La giornata dei cortei si è chiusa in via Zamboni, zona universitaria. Un gruppo di ragazzi vestiti di nero, supportato dai cori dei militanti di Hobo, ha iniziato a lanciare bombe carta contro gli agenti. Lo spezzone è stato bloccato in mezzo ai viali. Mura della città da un lato, edifici dall’altro, davanti e dietro carabinieri e polizia: per tre ore in 200 sono rimasti intrappolati.
In strada non si sono visti i militanti del Pd. Sabato il sindaco Merola e i partigiani dell’Anpi, commemorando la Battaglia di Porta Lame del 1944 tra gappisti e nazifascisti, avevano invitato a non raccogliere la provocazione leghista. Ieri il sindaco ha fatto i complimenti a chi ha gestito l’ordine pubblico: «Nell’insieme una situazione tenuta bene sotto controllo. Bologna ha dimostrato di essere una città civile, le manifestazioni sono state contenute e sono stati evitati scontri o conseguenze peggiori». Ma Salvini rilancia: «Sono già liberi i ’bravi ragazzi’ dei centri a-sociali arrestati. Più di 5 anni di galera al povero Ermes Mattielli, che si era difeso dai ladri, e neanche 12 ore a chi picchia un poliziotto. La ’giustizia’ italiana mi fa schifo», tuona su Fb. Gli fa eco Giorgia Meloni: «I soliti figli di papà che si sentono intoccabili perché qualcuno li protegge nelle istituzioni e nella politica». Ma questa volta il ministro Alfano è con loro: «Noi con le nostre forze di polizia li abbiamo arrestati — rivendica — I magistrati li hanno scarcerati, l’opinione pubblica giudicherà».
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